Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19142 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. I, 17/07/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 17/07/2019), n.19142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto ai n. 8718/2015 R.G. proposto da:

COMUNE DI CASTIGLIONE OLONA, in persona del Sindaco p.t.,

rappresentato e difeso dagli Avv. Sebastiano Zimmitti e Monica

Curcuruto, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in

Roma, via XXIV Maggio, n. 23;

– ricorrente –

contro

T.L., D.R. e C.M., in qualità di erede di

M.F., rappresentati e difesi dagli Avv. Federico Sbrana e

Giuseppe Gueli, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Monserrato, n. 34;

– controricorrenti –

e

CO.BR., rappresentato e difeso dall’Avv. Emilio Battaglia, con

domicilio eletto in Roma, via A. Depretis, n. 86;

– controricorrente –

e

B.F.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 3147/14,

depositata il 12 agosto 2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 febbraio 2019

dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

uditi gli Avv. Monica Curcuruto ed Emilio Battaglia;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Ge. e Co.Ve. convennero dinanzi al Tribunale di Varese il Comune di Castiglione Olona, per sentir determinare la giusta indennità dovuta per l’espropriazione di un fondo riportato in Catasto al foglio (OMISSIS) e quella dovuta per l’occupazione di altri fondi riportati in Catasto al foglio (OMISSIS).

Si costituì il Comune, ed eccepì l’incompetenza del Giudice adito e l’inammissibilità della domanda, affermandone inoltre l’infondatezza nel merito.

Il giudizio, ripetutamente dichiarato interrotto per la morte di entrambi gli attori, fu riassunto dapprima da Co.Ve., in qualità di erede di Co.Ge., ed in seguito, in qualità di eredi dell’attrice, da Co.Br., B.G., T.L. e D.R., in proprio e nella qualità di procuratore di M.F..

1.1. Con sentenza del 4 febbraio 2011, il Tribunale di Varese dichiarò la propria incompetenza in favore della Corte d’appello di Milano.

2. Gli attori provvidero pertanto alla riassunzione del giudizio, nel corso del quale, essendo deceduto B.G., si costituirono, in qualità di eredi, T.L. e B.F..

2.1. Con sentenza del 12 agosto 2014 la Corte d’appello ha accolto la domanda, determinando in Euro 460.000,00, oltre interessi legali dal 18 gennaio 1989, ed Euro 25.961,81, oltre interessi legali dal 30 novembre 1987, le indennità dovute rispettivamente per l’espropriazione e l’occupazione dei fondi contraddistinti dalle particelle (OMISSIS) ed in Euro 6.089,65, oltre interessi legali dal 6 settembre 1989, l’indennità dovuta per l’occupazione degli altri fondi, ordinando al Comune di provvedere al deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti della differenza tra i predetti importi e quelli determinati in via amministrativa.

Premesso che il termine di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 decorre dalla pubblicazione della relazione della Commissione provinciale soltanto nel caso in cui tale adempimento costituisca l’atto finale del procedimento, dovendo essere altrimenti ancorato alla notificazione ai proprietari dell’indennità definitiva e del decreto di espropriazione, la Corte ha ritenuto ammissibile la domanda, rilevando che nella specie non era stato dimostrato il rispetto della sequenza procedimentale prevista dalla legge, e ritenendo insufficiente l’attestazione del deposito della stima presso la segreteria del Comune, in quanto solo la notificazione poteva considerarsi idonea a portare a conoscenza degli espropriati il provvedimento di determinazione dell’indennità.

Ha ritenuto poi inammissibile, in quanto tardiva, l’eccezione di carenza di legittimazione ad agire sollevata dal Comune nel corso del giudizio, osservando comunque che erano stati prodotti una sentenza passata in giudicato con cui era stata accertata la qualità di eredi degli attori e le rispettive denunzie di successione, nonchè il progetto delle opere di urbanizzazione delle aree incluse nel Piano per l’edilizia economica e popolare, in cui erano menzionati i fondi di proprietà di Co.Ge..

Nel merito, ha richiamato la relazione depositata dal c.t.u. nominato nel corso del giudizio, il quale aveva accertato che all’epoca dell’apposizione del vincolo espropriativo, coincidente con l’inclusione nel piano di zona approvato dalla Giunta regionale della Lombardia e risalente al 3 maggio 1979, gl’immobili riportati alle particelle (OMISSIS) risultavano inseriti in una zona residenziale semiestensiva destinata all’edilizia economico-popolare, mentre quelli riportati alle particelle (OMISSIS) avevano destinazione agricola, in quanto situati al di fuori del perimetro edificabile. Precisato che ai fini del riconoscimento della vocazione edificatoria non può attribuirsi alcun rilievo alla mera edificabilità di fatto, ma occorre fare riferimento alle possibilità legali ed effettive di edificazione, ha ritenuto condivisibili gl’importi liquidati dal c.t.u., che aveva determinato l’indennità di espropriazione in riferimento alla data del relativo decreto (18 gennaio 1989) e quella di occupazione in misura pari agl’interessi legali dalla data dell’immissione in possesso (30 novembre 1987) a quella del decreto di esproprio per le particelle espropriate, e da quella dell’immissione in possesso (6 settembre 1989) a quella di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità (16 dicembre 1993) per le altre particelle.

Ha ritenuto infine non dovuta la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta, escludendo altresì il riconoscimento del maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., in quanto non provato.

3. Avverso la predetta sentenza il Comune ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, illustrati anche con memoria. Hanno resistito con controricorsi il T., il D. e C.M., in qualità di erede di M.F., nel frattempo deceduta, nonchè il Co.. La B. non ha invece svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, si rileva che con atto depositato in Cancelleria il 15 maggio 2018 il Comune, il T., il D., la C. e la B. hanno chiesto congiuntamente che sia dichiarata la cessazione della materia del contendere, con l’integrale compensazione delle spese processuali, esponendo di aver raggiunto un accordo, stipulato l’8 agosto 2017 ed integrato con scrittura privata sottoscritta il 5 aprile 2018, in virtù del quale il ricorrente ha provveduto, in data 7 settembre 2017, a corrispondere ai controricorrenti ed all’intimata una parte dell’importo liquidato dalla sentenza impugnata, maggiorato degl’interessi e delle spese processuali, impegnandosi a versare il residuo in sette rate, due delle quali sono state già pagate.

L’accordo in tal modo intervenuto in ordine alla misura delle indennità di espropriazione ed occupazione, con il contestuale pagamento di una parte delle somme dovute e la determinazione delle modalità di versamento del residuo, risolvendosi nella completa soddisfazione della pretesa azionata, comporta l’eliminazione di ogni ragione di contrasto tra le parti e quindi il venir meno dell’interesse ad una decisione sul merito della controversia (cfr. Cass., Sez. III, 9/06/2016, n. 11813; 8/07/2010, n. 16150; Cass., Sez. lav., 20/03/2009, n. 6909): ciò giustifica, in conformità delle conclusioni congiuntamente rassegnate dai contraenti, la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, cui consegue la pronuncia d’inammissibilità del ricorso nei confronti dell’intimata e dei controricorrenti che hanno aderito all’istanza, restando ovviamente impregiudicato l’esame dell’impugnazione proposta nei confronti del Co., rimasto estraneo all’accordo.

2. Con il primo motivo, il Comune denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 865 del 1971, art. 19 censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione d’inammissibilità della domanda, senza tener conto della tardività delle contestazioni sollevate dagli attori in ordine alla regolarità e completezza del procedimento espropriativo. Premesso che tali contestazioni erano state proposte in modo del tutto generico nella memoria autorizzata di osservazioni alla relazione del c.t.u. e specificate soltanto in comparsa conclusionale, afferma che tale ritardo gli ha impedito di produrre i documenti attestanti l’avvenuta notificazione della stima amministrativa.

2.1. Il motivo è infondato.

Ai fini del rigetto dell’eccezione d’inammissibilità, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio, costantemente ribadito da questa Corte in tema di espropriazione per pubblica utilità, secondo cui l’inserzione della relazione di stima nel Foglio annunzi legali della Provincia, costituendo l’atto finale del procedimento, può far decorrere il termine di trenta giorni previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 19 soltanto nel caso in cui la sequenza procedimentale prefigurata dalla legge sia stata puntualmente rispettata, dovendosi altrimenti avere riguardo al compimento dell’ultima delle formalità prescritte, che in caso d’inversione dell’ordine tra la predetta pubblicazione e la notifica del decreto di esproprio e della determinazione dell’indennità definitiva ai proprietari espropriati è costituita proprio da tale adempimento, avente la funzione di dare certezza della conoscenza dell’atto da parte dei destinatari (cfr. Cass., Sez. I, 18/08/2017, n. 20176; 4/02/ 2016, n. 2193; 3/07/2013, n. 16614). A sostegno dell’eccepita tardività della domanda, l’Amministrazione aveva infatti ammesso di non aver rispettato l’ordine degli atti previsto dalla legge, indicando la data di deposito della relazione di stima, coincidente con quella della pubblicazione, e precisando che la notificazione era stata effettuata successivamente; in proposito, si era tuttavia limitata ad affermare che la notifica aveva avuto luogo “nei dieci giorni successivi”, senza indicarne la data e senza fornire la relativa prova, per poi concludere che l’atto di citazione era stato notificato ben oltre il trentesimo giorno dal compimento di tutti gli adempimenti prescritti dalla L. n. 865 cit., artt. 15 e 19.

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui, dato atto della mancata dimostrazione della avvenuta notifica, ha ritenuto insufficiente, ai fini dell’accoglimento dell’eccezione, l’attestazione della data di deposito della relazione, contenuta nello avviso pubblicato nel Foglio annunzi legali, correttamente osservando che soltanto la notificazione può costituire atto idoneo a portare a legale conoscenza dell’espropriato il provvedimento di determinazione dell’indennità. Non può condividersi, al riguardo, la tesi sostenuta dalla difesa del Comune, secondo cui la tardiva contestazione delle predette allegazioni da parte degli attori avrebbe imposto alla Corte territoriale di ritenere provata l’effettuazione della notifica e la relativa data: nel presente giudizio, instaurato in data anteriore all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 15 non trova infatti applicazione il nuovo testo dell’art. 115 c.p.c., introdotto dal comma 14 predetta disposizione, che consente al giudice di porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita; il rispetto del termine di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 19 costituisce d’altronde oggetto di una verifica cui il giudice deve provvedere d’ufficio, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti: la decadenza dall’azione non è pertanto condizionata dalle allegazioni di parte, ma dalle risultanze degli atti di causa, e segnatamente dal riscontro degli adempimenti che ne costituiscono il presupposto, la cui mancata dimostrazione impedisce la dichiarazione d’inammissibilità della domanda (cfr. Cass., Sez. I, 28/01/2016, n. 1622; 4/10/2014, n. 7993; 25/11/2010, n. 23966). Nessun rilievo può dunque assumere, nella specie, la circostanza che la mancata notificazione della determinazione definitiva dell’indennità sia stata fatta valere dagli attori soltanto in comparsa conclusionale: il relativo controllo risultava infatti doveroso per la Corte territoriale, soprattutto alla luce della riconosciuta inversione dell’ordine degli atti del procedimento, che poneva a carico del Comune l’onere di dimostrare l’avvenuta effettuazione del predetto adempimento e la relativa data. Tale onere, rimasto inadempiuto nel giudizio di merito, non può essere certamente assolto in questa sede, mediante la produzione degli avvisi notificati ai proprietari, ostandovi il disposto dell’art. 372 c.p.c., che dichiara inammissibile, nel giudizio di legittimità, il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, fatta eccezione per quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel procedere alla determinazione del valore dei fondi, la sentenza impugnata ha recepito integralmente le risultanze della relazione depositata dal c.t.u., senza fare alcun riferimento a quelle di un’altra c.t.u. espletata nella fase svoltasi dinanzi al Tribunale di Varese, della quale la Corte d’appello ha ingiustificatamente disposto la rinnovazione, nonostante l’identità dell’oggetto delle indagini.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, in subordine, la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 196 c.p.c., ribadendo che la Corte distrettuale ha aderito acriticamente alle risultanze della relazione depositata dal c.t.u. da essa nominato, senza spiegare le ragioni per cui ha ritenuto opportuna la rinnovazione delle indagini e quelle per cui ha ritenuto di dover disattendere le risultanze della relazione depositata dal precedente c.t.u.

5. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, per l’ipotesi di mancato accoglimento del primo, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nella determinazione del valore dei fondi, il c.t.u. nominato dalla Corte d’appello non ha tenuto conto della circostanza, fatta valere dal consulente di parte e confermata dal c.t.u. nominato dal Tribunale di Varese, che all’epoca dell’espropriazione, disposta oltre venti anni prima dello svolgimento delle indagini, l’area occupata, coltivata a prato, era ancora priva di opere di urbanizzazione. In tal modo, egli è pervenuto alla determinazione di valori pari a circa il triplo di quelli stimati dal consulente di parte e notevolmente superiori anche a quelli determinati dal precedente c.t.u.

6. I tre motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto riflettenti profili diversi della medesima questione, sono inammissibili.

E’ pur vero, infatti, che la dichiarazione d’incompetenza del giudice adito non spiega effetti invalidanti sugli atti istruttori dallo stesso compiuti, i quali devono considerarsi pienamente utilizzabili in caso di tempestiva riassunzione, dal momento che quest’ultima, ai sensi dell’art. 50 c.p.c., non comporta l’introduzione ex novo del giudizio, ma la prosecuzione dello stesso dinanzi al giudice dichiarato competente (cfr. Cass., Sez. I, 10/05/2013, n. 11234; 6/08/1994, n. 7309; Cass., Sez. III, 17/12/1999, n. 14243). Nella specie, pertanto, la relazione depositata dal c.t.u. nominato dal Tribunale di Varese non poteva considerarsi inutilizzabile per effetto della successiva dichiarazione d’incompetenza di quest’ultimo, essendo il giudizio ritualmente proseguito a seguito della riassunzione dinanzi alla Corte d’appello, pienamente legittimata ad avvalersi delle risultanze delle indagini compiute nella precedente fase processuale.

La predetta utilizzazione non costituiva peraltro un obbligo per il Giudice competente, restando affidata al suo prudente apprezzamento, non diversamente da quanto accade nel caso in cui abbia già disposto egli stesso una c.t.u., la valutazione dell’opportunità di ordinare indagini suppletive o integrative, sentire il consulente a chiarimenti sulla relazione depositata o disporre la rinnovazione in tutto in parte delle indagini, eventualmente affidandola ad un altro consulente: tale valutazione, avente carattere discrezionale, e quindi incensurabile in sede di legittimità ove sorretta da adeguata motivazione (cfr. Cass., Sez. VI, 24/01/2019, n. 2103; Cass., Sez. III, 30/03/2010; 14/11/2008, n. 27247), non risulta nella specie validamente censurata, essendosi il ricorrente limitato a contrapporre alle conclusioni cui è pervenuto il consulente nominato dalla Corte d’appello quelle rassegnate dal consulente nominato dal Tribunale, senza dare specificamente conto delle circostanze di fatto eventualmente emerse dalle indagini effettuate da quest’ultimo e da lui addotte a sostegno del minor valore attribuito ai fondi occupati, che, se prese in considerazione dalla sentenza impugnata, avrebbero imposto di ritenere maggiormente attendibile la prima relazione. Qualora, infatti, lo svolgimento del giudizio sia stato contrassegnato dall’espletamento di più c.t.u., l’acritica adesione del giudice alle risultanze dell’ultima consulenza non si traduce necessariamente in un vizio di motivazione, non essendo richiesta la specificazione delle ragioni per cui il Giudice ha ritenuto di discostarsi dalle conclusioni della prima, a condizione che le stesse abbiano costituito oggetto di esame critico nell’ambito della nuova relazione peritale, con considerazioni non specificamente contestate dalle parti (cfr. Cass., Sez. lav., 26/08/2013, n. 19572; 27/02/2009, n. 4850; Cass., Sez. II, 30/10/2009, n. 23063). La parte che intenda dolersi della predetta adesione non può quindi limitarsi a richiamare il diverso avviso espresso dal primo consulente, ma deve dimostrare di averlo sottoposto all’attenzione del secondo, mediante osservazioni rimaste prive di adeguata risposta, e di averne vanamente sollecitato l’esame da parte del giudice, mediante la ri-proposizione delle stesse all’esito della nuova consulenza: nella specie, invece, la difesa del Comune si è limitata ad evidenziare la difformità dei valori stimati dai due consulenti, insistendo sulle conclusioni della prima relazione, senza neppure farsi carico di contestare l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui quelle della seconda relazione erano state discusse in contraddittorio con i consulenti di parte, alle cui osservazioni il consulente d’ufficio aveva puntualmente replicato.

Peraltro, ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omesso esame della relazione depositata da uno dei consulenti in tanto è deducibile come motivo di ricorso per cassazione in quanto si sia tradotta nella pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed appaia idoneo a determinare un esito diverso della controversia, oppure incida così profondamente sul percorso logico seguito dalla sentenza impugnata da far risultare la motivazione meramente apparente o comunque inidonea a rendere comprensibili le ragioni della decisione (cfr. Cass., Sez. III, 12/10/2017, n. 23940; Cass., Sez. VI, 20/11/2015, n. 23828; 8/10/2014, n. 21257). Diversamente, essendo la c.t.u. finalizzata all’acquisizione di un parere tecnico per la valutazione di elementi probatori acquisiti o per la soluzione di questioni che richiedano specifiche conoscenze, il vizio in questione si risolve nella mancata o inadeguata valutazione di elementi istruttori, e quindi in una mera insufficienza della motivazione, destinata a rimanere priva di effetti ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ogni qualvolta il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza impugnata non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. II, 29/10/2018, n. 27415; Cass., Sez. III, 11/04/2017, n. 9253). E’ quanto accade nel caso in esame, in cui, come evidenziato dalla stessa difesa del ricorrente, la collocazione del fondo espropriato in una zona non ancora urbanizzata all’epoca dell’occupazione aveva costituito oggetto di specifica deduzione in sede di rinnovazione delle indagini peritali, all’esito delle quali il secondo c.t.u. aveva confermato le proprie conclusioni, successivamente recepite dalla sentenza impugnata: a quest’ultima non può dunque addebitarsi l’omessa considerazione della predetta circostanza, ma, al più, la mancata valutazione delle ragioni addotte a fondamento della stima compiuta dal primo consulente, rimaste tuttavia imprecisate in questa sede, in quanto non riportate a corredo dei motivi d’impugnazione.

7. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del Comune al pagamento delle spese processuali in favore del Co., che si liquidano come dal dispositivo. Nei rapporti con gli altri controricorrenti, le spese vanno invece compensate integralmente, come concordato tra le parti. La mancata costituzione di B.F. esclude infine la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali nei rapporti tra la stessa ed il ricorrente.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di T.L., D.R., C.M. e B.F.; rigetta il ricorso nei confronti di Co.Br.. Compensa integralmente le spese processuali tra il Comune di Castiglione Olona, T.L., D.R. e C.M.. Condanna il Comune di Castiglione Olona al pagamento, in favore di Co.Br., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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