Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19141 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2020, (ud. 18/06/2020, dep. 15/09/2020), n.19141

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12016-2019 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

FEDELE CANNEROZZI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA

dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati

ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO,

LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1780/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 24/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa LEONE

MARGHERITA MARIA.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Bari con la sentenza n. 1780/2018 aveva rigettato l’appello proposto da R.C. avverso la decisione con la quale il tribunale di Foggia aveva, a sua volta, rigettato la domanda dalla stessa proposta nei confronti dell’Inps, diretta ad ottenere l’accredito, come operaia agricola a tempo determinato, di 114 giornate nell’anno 2006.

La corte territoriale, confermando la decisione del primo giudice, aveva ritenuto non soddisfatto l’onere probatorio incombente sulla parte che richieda la prestazione previdenziale, e nella specie, il riconoscimento del requisito delle giornate di lavoro agricolo, in quanto non provata la effettiva esistenza del rapporto in questione e della prestazione effettuata. la Corte valutava peraltro inammissibile la censura inerente la omessa ammissione dei mezzi di prova richiesti al primo giudice in quanto non correttamente ed efficacemente censurata la pronuncia in tal senso adottata, ed infine non fornita dalla R. la prova contraria rispetto alle risultanze del verbale ispettivo contestato.

Avverso tale statuizione la R. proponeva ricorso affidato a quattro motivi cui resisteva con controricorso l’Inps.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1)- con il primo motivo è dedotta la Violazione dell’art. 97 Cost., comma 2, della L. n. 241 del 1990, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per aver, la Corte territoriale, errato nel non ritenere applicabile al caso di specie, il generale principio di necessaria motivazione degli atti della Pubblica amministrazione finalizzato al buon andamento e trasparenza della amministrazione.

2)- Con il secondo motivo è dedotta la omessa valutazione delle motivazioni della cancellazione dagli elenchi anagrafici in relazione alla loro sufficienza; Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver, la corte territoriale, effettuato alcuna valutazione in merito alla sussistenza e sufficienza della motivazione del provvedimento di cancellazione.

I due motivi, da trattare congiuntamente, denunciano la omessa valutazione della Corte territoriale circa la sufficienza motivazionale del provvedimento di cancellazione adottato dall’Inps.

I motivi sono infondati. La corte barese ha esaminato le censure poste alla motivazione del provvedimento in questione, ha richiamato precedenti decisioni assunte in materia, escludendo il rilievo delle ragioni addotte in termini di illegittimità della pretesa dell’Istituto previdenziale, anche riferendosi al principio secondo cui una eventuale irregolarità del provvedimento avrebbe, al più, potuto determinare il solo risarcimento del danno. Questa Corte ha infatti chiarito che la natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all’accertamento, alla liquidazione e all’adempimento della prestazione pensionistica in favore dell’assicurato comporta che l’inosservanza, da parte del competente Istituto previdenziale, delle regole proprie del procedimento, nonchè, più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento, dettate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, o dei precetti di buona fede e correttezza, non dispiega incidenza sul correlato rapporto obbligatorio. Ne consegue che l’assicurato non può, in difetto dei fatti costitutivi dell’obbligazione, fondare la pretesa giudiziale di pagamento della prestazione previdenziale in ragione di disfunzioni procedimentali addebitabili all’Istituto, salva, in tal caso, la possibilità di chiedere il risarcimento del danno (Cass.n. 20604/2014; Cass.n. 31954/2019).

La denuncia dell’omesso esame di un fatto decisivo, anche contenuta nel secondo motivo in esame, non è corredata dagli elementi che necessariamente devono essere allegati e dimostrati quali la specificazione del fatto storico omesso nonchè la sua decisività (Cass. n. 23238/2017), e deve quindi essere ritenuta inammissibile. 3)- Con il terzo motivo è dedotta la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 nonies in combinato disposto con la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 136 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per non aver, la corte d’appello, ritenuto applicabile il principio che impone alla PA di adottare provvedimenti di revoca in autotutela di precedenti provvedimenti nel termine ragionevole di tre anni dall’acquisizione di efficacia dei provvedimenti stessi.

Anche tale censura risulta infondata alla luce di quanto evidenziato con riguardo ad eventuali vizi del procedimento che, se pur esistenti, possono determinare solo un effetto risarcitorio in favore dell’assicurato ma non l’annullamento del provvedimento emesso dall’istituto, ove siano presenti e non confutati i fatti costitutivi dell’obbligazione cui l’assicurato è tenuto.

4)Con l’ultimo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente, il giudice d’appello, attribuito valore probatorio, ai fini della cancellazione, al solo provvedimento di cancellazione, rispetto al quale l’Inps, in sede processuale, non aveva aggiunto alcun ulteriore elemento che avvalorasse la decisione. In tal modo era stata imposto all’assicurato un onere di prova cui non era tenuto.

Il motivo è infondato. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli assolve una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza di un rapporto di lavoro esercitando una propria facoltà, che trova fondamento nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9, con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto di iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio. (Cass.n. 12001/2018).

Il principio inquadra esattamente la distribuzione degli oneri probatori in materia: l’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli costituisce una agevolazione probatoria che viene meno allorchè, sulla base di accertamenti successivi svolti dall’Istituto, come accaduto nel caso in esame, sia esclusa l’esistenza del rapporto di lavoro. In tal caso l’onere di positiva prova del rapporto stesso pesa sul lavoratore che invochi l’iscrizione o contesti la cancellazione.

Nel caso in esame la corte territoriale ha dato conto in sentenza degli elementi su cui è stata basata la cancellazione richiamando la relazione ispettiva e gli elementi di fatto ivi accertati, (pg 6), peraltro del tutto simili a quelli oggetto di altre pronunce in materia emesse dal medesimo giudice.

La doglianza deve quindi essere rigettata perchè infondata.

Il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese in applicazione del disposto dell’art. 152 disp. attua. c.p.c., di cui, nel caso di specie, sussistono le condizioni.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2020.

Depositato in cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

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