Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19140 del 07/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 07/09/2010), n.19140

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – rel. Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22377/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 75/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 30/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. SERGIO BERNARDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate notificava a M.P. l’accertamento di un maggior reddito di partecipazione concernente la società di persone Hotel (OMISSIS), in base al D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 18 (convertito nella L. n. 140 del 1997), avendo la società definito il reddito dell’anno 1993 accettando l’importo proposto dall’Ufficio ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, art. 3 (convertito nella L. n. 656 del 1994). La contribuente impugnava l’avviso sul rilievo che l’accertamento era stato operato sulla base di una normativa introdotta nel 1997, successivamente alla definizione del concordato fiscale che era stato concluso nel 1995.

La CTP di Rieti accoglieva il ricorso. L’Amministrazione finanziaria ricorre con un motivo avverso la decisione della CTR del Lazio che ha respinto il suo appello. La M. non si è difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa non richiede l’integrazione del contraddittorio con la società di persone e gli altri suoi soci, perchè la contribuente ha contestato l’imputabilità a se stessa del reddito di partecipazione definito in base al concordato concluso dalla società per proprie ragioni personali (Cass. 2827/2010).

La CTR ha osservato: “In punto di fatto è pacifico che la contribuente ha definito il proprio maggior reddito forfettariamente in base alla norma “concordato di massa”. D.L. n. 564 del 1994, art. 3, convertito con modificazioni nella L. 30 novembre 1994, n. 656, per l’anno 1993. E’ altrettanto pacifico che l’Ufficio ha notificato il proprio accertamento sulla base del D.L. 28 marzo 1997 n. 79, art. 9 bis, comma 18 e del maggior reddito definito successivamente in capo alla società della quale era compartecipe la contribuente. Al momento della adesione al concordato di massa la normativa prevedeva la definizione totale del rapporto tributario e, quindi, una normativa successiva non può disegnare un nuovo imponibile ed una nuova imposta. Lo statuto del contribuente ricorda al legislatore ed all’interprete che le norme non possono avere efficacia retroattiva e che il principio dell’affidamento deve sempre costituire l’elemento essenziale del rapporto cittadino contribuente”.

L’Amministrazione ricorrente critica la seconda parte di tale motivazione denunciando violazione di legge. Osserva che il D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 9 bis, comma 18, disponeva espressamente la proroga di due anni dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per la notifica degli accertamenti, e pertanto “non poteva non essere chiarificatore della portata del concordato di massa, i cui termini venivano riaperti … al 31 luglio 1997”. La disposizione che la CTR ha ritenuto non potesse avere applicazione retroattiva era viceversa – secondo la ricorrente – ben applicabile alla fattispecie, perchè priva di portata innovativa e solo esplicativa del principio di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 (al quale il D.L. n. 564 del 1994, art. 3, non derogava) secondo cui “i redditi delle società semplici, in nome collettivo ed in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.

L’argomento sviluppato col motivo è fondato, ma non vale a far accogliere il ricorso. La censura non coinvolge invero la prima parte della motivazione impugnata, con la quale è affermato come pacifico in causa il fatto che la M. aveva personalmente definito il proprio imponibile Irpef 1993 in base al D.L. n. 564 del 1994, art. 3. Ciò stante, quel reddito non poteva più essere contestato, inerendo ad un rapporto tributario ormai esaurito. La disposizione invocata (D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 18) è del resto espressamente dichiarata applicabile soltanto “nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata”, ed il precedente comma 17 dello stesso articolo di legge dichiara espressamente che “sono fatti salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15 dicembre 1995”, Mentre il ricorso (pag. 2) muove dalla premessa, contrastante con l’accertamento di fatto contenuto nella sentenza impugnata, “che la socia M. non aveva conseguentemente definito il reddito di partecipazione nella società, ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, art. 3”.

Va quindi respinto il ricorso, senza decisione in punto spese perchè la contribuente non si è difesa.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2010

 

 

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