Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19136 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19136 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

ORDINANZA
sul ricorso 20856-2015 proposto da:
BERNARDO ADRIANA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA DEI GRACCHI 39, presso lo studio dell’avvocato
ADRIANO

GIUFFRE’,

dall’avvocato

RENATO

rappresentata
RIZZI

e

dall’avvocato

difesa
giusta

procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro

BERNARDO GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA,
P.ZZA MINCIO 4, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCO TAGLIAFERRI, rappresentato e difeso
dall’avvocato

GIOVANNI

FIORELLA

speciale a margine del controricorso;

1

giusta

procura

Data pubblicazione: 19/07/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 243/2014 della CORTE D’APPELLO
di CAMPOBASSO, depositata il 08/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 09/01/2018 dal Consigliere Dott.

RAFFAELE FRASCA;

2

R.g.n. 20856-15 (c.c. 9.1.2018)

Rilevato che:
1. Adriana Bernardo ha proposto ricorso per cassazione contro il suo
germano Giovanni Bernardo avverso la sentenza del 26 agosto 2014,
con cui la Corte d’Appello di Campobasso ha rigettato il suo appello
avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Campobasso il
6 ottobre 2010, la quale aveva accolto la domanda contro di lei proposta
dal fratello per ottenere il pagamento della somma di C 27.383,16,

siccome dovuta sulla base di una scrittura privata e di un prospetto ad
essa allegato.
2. Al ricorso, che è fondato su quattro motivi, ha resistito con
controricorso Giovanni Bernardo.
3. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio ai
sensi dell’art. 380-bis.1, cod. proc. civ. e non sono state depositate
conclusioni scritte dal Pubblico Ministero, mentre entrambe le parti
hanno depositato memorie.

Considerato che:
1. Il Collegio rileva che i primi tre motivi del ricorso sono
inammissibili per palese inosservanza dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ.
Queste le ragioni.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa
applicazione degli artt. 1987 e 1988 c.c.” e vi si censura la sentenza
impugnata riguardo alla valutazione espressa in iure con riferimento a
quello che si definisce “prospetto in data 8.7.1998 reca[nte] in calce
un’appendice” sottoscritta dalle odierne parti.
Il motivo si fonda, dunque, su tale documento, già evocato anche
nell’esposizione del fatto.
Senonché, mentre si trascrive il tenore della detta appendice, si
omette di indicare (a parte il se e il dove esso era stato prodotto nelle
fasi di merito) soprattutto il se e il dove essa ed il conteggio siano stati
prodotti (anche agli ulteriori effetti di cui all’art. 369, secondo comma,
n. 4, cod. proc. civ.) in questo giudizio di legittimità, onde consentire a
queste Corte di esaminare l’uno e l’altro documento. Tale indicazione
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Est. Co . Raffaele Frasca

R.g.n. 20856-15 (c.c. 9.1.2018)

(non presente, d’altronde, in nessun’altra parte del ricorso) era
necessaria, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (a
partire da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e Cass., sez. Un. n. 28547 del
2008, cui si può aggiungere ex multis Cass., sez. Un. n. 7161 del 2010),
in quanto parte dell’onere di indicazione specifica dei documenti sui
quali si fonda il ricorso per cassazione, di cui all’art. 366 n. 6 cod. proc.
civ. (norma che costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di

autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione:
Cass. n. 7455 del 2013).
L’omissione del rispetto dell’art. 366 n. 6 giustifica l’inammissibilità
del motivo.
Il motivo evoca, peraltro, sempre in funzione della critica in iure in
ordine alla valutazione dell’altro documento, anche un atto notarile di
divisione parimenti oggetto di riferimento anche nell’esposizione del
fatto e nuovamente riguardo a tale documento si rileva che è violato
l’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. nei termini su indicati.
Nella descritta situazione la Corte non è messa in grado di
esaminare i documenti sui quali si fonda il motivo e, quindi, di vagliare
la prospettazione con la quale in esso si discute della qualificazione
dell’indicata appendice, operata dalla corte territoriale, non
diversamente dal primo giudice, sub specie di promessa di pagamento,
nonché della sussistenza di una fattispecie di simulazione dell’atto
divisionale.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa
applicazione degli artt. 1418 c.c., 1325 c.c. e 1350, n. 11, c.c., in
relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.”.
Anche tale motivo si fonda su argomentazioni che suppongono
l’esame della già cennata appendice e del relativo prospetto in relazione
all’indicato atto pubblico di divisione, riguardo al quale vi si prospetta
che il primo avrebbe illegittimamente (per mancata partecipazione di
tutti i soggetti del negozio divisionale modificato) assunto carattere
modificativo: poiché perdura anche in tal caso l’inosservanza dell’art.
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Est. C s Raffaele Frasca

R.g.n. 20856-15 (c.c. 9.1.2018)

366 n. 6 cod. proc. civ. nei sensi indicati, il motivo è inammissibile per
ragioni identiche a quelle esposte per il motivo precedente.
1.3. Con un terzo motivo si prospetta “omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in
relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Anche tale motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 6 cod.
proc. civ., in quanto si fonda sul contenuto della scrittura dell’8 luglio

1998, che anche questa volta trascrive riguardo ad una parte, ma
nuovamente senza localizzare il documento, nonché sull’atto pubblico
divisionale, che parimenti non localizza.
Tanto è dirimente a prescindere dalla palese evocazione del n. 5
dell’art. 360 cod. proc. civ. al di fuori dei limiti indicati da Cass., Sez.
Un. n. 8053 e 8054 del 2014, atteso che non si lamenta l’omesso esame
di un fatto principale o secondario, ma si prospetta che la corte
territoriale abbia erroneamente apprezzato la detta scrittura
escludendone il valore di rinuncia a qualsiasi azione nascente del
negozio divisionale pure fra i germani qui in lite.
1.4. Le considerazioni evidenziatrici delle cause di inammissibilità dei
primi tre motivi rendono superfluo esaminare le deduzioni del resistente
circa la novità della prospettazione inerente alla simulazione.
2. Con il quarto motivo si denuncia “omessa pronuncia su un motivo
di gravame – violazione e falsa applicazione del’art. 112 c.p.c., in
relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.”.
Ci si duole che la corte territoriale non abbia pronunciato sul motivo
di appello con il quale la ricorrente aveva lamentato che il primo giudice,
nell’accogliere la domanda avversaria di pagamento della somma di C
27.383,16 avesse riconosciuto gli interessi di mora non già dalla data
della domanda, in assenza di una messa in mora, ma dall’8 luglio 1998.
2.1. Il motivo è fondato.
Effettivamente dall’atto di appello, il cui contenuto è stato riprodotto
nell’illustrazione del motivo e corrisponde a quanto si rinviene nel
fascicolo di parte ricorrente emerge che la medesima aveva
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Est. Co

Raffaele Frasca

R.g.n. 20856-15 (c.c. 9.1.2018)

effettivamente svolto il detto motivo contrassegnandolo con il numero
5. Ed aveva anzi chiesto la condanna della controparte alla restituzione
di quanto percepito a titolo di interessi dall’8 luglio 1997 alla data della
domanda, cioè il 1° ottobre 2004.
Su tale motivo la corte territoriale non risulta essersi in alcun modo
pronunciata. Peraltro, la sentenza impugnata dà atto che le conclusioni
prese dalle parti erano state quelle indicate negli scritti difensivi e,

dunque, esse erano state mantenute.
L’esame dell’atto di appello presente nel fascicolo di parte della
ricorrente conferma che effettivamente il motivo di appello era stato
svolto.
Risulta, dunque, palese la denunciata omessa pronuncia e tanto
impone di cassare parzialmente la sentenza impugnata quanto alla
rilevata omissione di pronuncia.
2.2. La Corte rileva a questo punto che la cassazione può essere
disposta senza rinvio, in quanto può farsi luogo a decisione sul merito in
base all’esame degli atti pervenuti in questa sede, posto che occorre
solo esaminarli e non è necessario procedere ad accertamenti di fatto,
cioè ad attività istruttorie che sono estranee ai compiti di questa Corte e
vietate dall’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ. con l’uso
dell’espressione concernente il riferimento a quegli accertamenti.
Nel fascicolo della ricorrente e segnatamente in quello relativo al
giudizio davanti al Tribunale, si rinviene la citazione introduttiva del
giudizio di primo grado, nella quale l’attore aveva richiesto la condanna
a interessi e rivalutazione dall’8 luglio 1998, senza peraltro nulla
motivare su detta richiesta. Nel fascicolo di parte ricorrente relativo al
giudizio di appello si rinviene la sentenza di primo grado, la quale,
dando rilievo a quanto dedotto nella conclusionale, negò la debenza
della rivalutazione monetaria sulla base di quanto argomentato nella
conclusionale. Quest’ultima si rinviene nel fascicolo di parte di primo
grado ed in essa venne dedotto che non spettava la rivalutazione
monetaria per essere il preteso debito di valuta.
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Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 20856-15 (c.c. 9.1.2018)

Ora, essendo inerente il debito, di cui alla nota appendice, un debito
di natura monetaria, la produzione da parte della somma dovuta di
interessi legali necessitava della mora ai sensi dell’art. 1224 cod. civ.
Nel fascicolo del giudizio di primo grado del resistente, presente nel
fascicolo di parte del giudizio di appello, si rinviene (come produzione n.
4, secondo l’indice sul fascicolo) una lettera raccomandata di messa in
mora, inviata dall’Avvocato Giovanni Fiorella per conto della ricorrente e

datata 22 aprile 2004. Si rinviene pure la ricevuta a data 24 aprile
2004.
La mora, dunque, risultava in atti dimostrata a far tempo da quella
data.
Ne segue che deve essere accolto parzialmente il quinto motivo di
appello e riformata la sentenza di primo grado riguardo alla statuizione
di condanna al pagamento degli interessi legali dall’8 luglio 1998 ed
essa deve sostituirsi con la condanna alla corresponsione degli interessi
legali dalla data del 24 aprile 2004. Ove gli interessi siano stati
corrisposti in ottemperanza alla sentenza di primo grado, parte
resistente dovrà restituirli alla ricorrente per il periodo fra 1’8 luglio 1998
e il 23 aprile 2004.
3. Conclusivamente sono dichiarati inammissibili i primi tre motivi di
ricorso. E’ accolto il quarto e la sentenza è cassata in relazione.
Pronunciando nel merito, in accoglimento parziale del quinto motivo
ed in riforma parziale della statuizione del Tribunale di Campobasso, si
dichiarano dovuti dalla qui ricorrente gli interessi legali sulla somma di C
27.383,16 dal 24 aprile 2004 al saldo effettivo, con conseguente obbligo
di restituzione degli interessi eventualmente riscossi dall’8 luglio 1998 al
23 aprile 2004.
4. Dovendosi procedere ad una valutazione globale delle spese del
giudizio di primo grado e stante il limitatissimo accoglimento
dell’appello, resta confermata la statuizione resa sulle spese del giudizio
di primo grado dalla sentenza di prime cure parzialmente riformata,
mentre il parziale limitatissimo accoglimento dell’appello è ragione
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Est. Cons. Raffaele Frasca

R.g.n. 20856-15 (c.c. 9.1.2018)

giustificativa della integrale compensazione anche delle spese del
giudizio di secondo grado.
Il limitato parziale accoglimento del ricorso per cassazione giustifica,
altresì, la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile i primi tre motivi di ricorso. Accoglie

all’omessa statuizione sul quinto motivo di appello. Pronunciando nel
merito su tale motivo, in parziale riforma della sentenza di primo grado
del Tribunale di Campobasso dichiara dovuti dalla qui ricorrente al
resistente gli interessi legali sulla somma di C 27.383,16 dal 24 aprile
2004 al saldo effettivo, con conseguente obbligo di restituzione degli
interessi eventualmente riscossi dall’8 luglio 1998 al 23 aprile 2004.
Conferma la statuizione sulle spese del giudizio di primo grado resa
dalla sentenza di primo grado parzialmente riformata. Provvedendo sulle
spese del giudizio di appello ne dispone la compensazione. Compensa le
spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione

il quarto e cassa parzialmente la sentenza impugnata in relazione

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