Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19135 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. I, 17/07/2019, (ud. 14/09/2018, dep. 17/07/2019), n.19135

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in Roma, piazza

Verbano 16, presso lo studio dell’avv. Giovanni Conte, che lo

rappresenta e difende nel presente giudizio, giusta procura speciale

per atto del notaio L.G. dell'(OMISSIS), e dichiara di

voler ricevere le comunicazioni relative al processo alla p.e.c.

giovanniconte-ordineavvocatiroma.org e al fax n. 06/9170808;

– ricorrente –

nei confronti di:

Q.M., elettivamente domiciliata in Roma, piazza Monte

Gennaro 24, presso lo studio dell’avv. Pompilia Rossi che la

rappresenta e difende nel presente giudizio in virtù di procura

speciale a margine del controricorso e dichiara di voler ricevere le

comunicazioni relative al processo al fax n. 06/871800023 e alla

p.e.c. pompiliarossi-ordineavvocatiroma.org;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4313/2015 della Corte di appello di Roma,

emessa il 26 giugno 2015 e depositata il 16 luglio 2015, n.

4536/2013 R.G.;

lette le conclusioni scritte del P.G., dell’11 luglio 2018, con le

quali il sostituto procuratore generale, cons. Dott. Sorrentino

Federico, ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons. Dott.

Giacinto Bisogni.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Roma, dopo aver pronunciato la separazione dei coniugi Q.M. e M.G. ha accolto la domanda di addebito proposta dalla sig.ra Q., ha imposto al sig. M. il versamento mensile di 600 Euro, a titolo di assegno di mantenimento della moglie, e di 300 Euro, a titolo di contributo al mantenimento della figlia maggiorenne, ma non ancora indipendente economicamente, M.M.. Ha assegnato la casa familiare alla Q. in ragione della sua coabitazione con la figlia. Ha rigettato la domanda di addebito della separazione proposta dal sig. M. che ha condannato al pagamento delle spese processuali, liquidandole in 6.000 Euro, oltre oneri di legge.

2. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4313/2015, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal sig. M. ha ridotto l’ammontare dell’assegno mensile in favore della sig.ra Q. a 500 Euro. Ha dichiarato inammissibile l’appello relativo alla determinazione dell’ammontare delle spese del primo grado liquidate dal Tribunale.

3. Ricorre per cassazione M.G. affidandosi a sei motivi di impugnazione illustrati con comparsa di costituzione del nuovo difensore e con memoria ex art. 378 c.p.c.

4. Si difende con controricorso Q.M. e deposita memoria difensiva ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RITENUTO

che:

5. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura la decisione della Corte di appello relativamente alla conferma della statuizione sulla domanda di addebito proposta dalla Q. essendosi basata la Corte di appello su una sentenza non ancora passata in giudicato e sulle deposizioni delle figlie da sempre ostili al padre. Sostiene che, anche a voler ritenere provato il comportamento ascrittogli, lo stesso dovrebbe comunque essere valutato in una ottica complessiva che prenda in considerazione il comportamento dell’altro coniuge e l’insieme della relazione che, nella specie, era ormai da tempo assimilabile a quella di coniugi separati in casa.

6. Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza costante di questa Corte secondo cui le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sè sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei (Cass. civ. sez. VI-1 n. 3925 del 19 febbraio 2018, n. 433 del 12 gennaio 2016; Cass. civ. sez. I n. 817 del 14 gennaio 2011). La Corte di appello ha reso una motivazione esauriente e congrua sulla base sia dell’accertamento penale che delle dichiarazioni delle figlie le quali vengono senza alcuna prova ritenute dal ricorrente ostili e schierate da sempre con la madre mentre lo stesso ricorrente non contesta l’episodio del maggio 2008 di aggressione fisica che ha provocato lesioni alla persona della moglie.

7. Con il secondo motivo di ricorso si censura la decisione della Corte di appello relativamente alla conferma della statuizione di rigetto della domanda di addebito proposta dal ricorrente il quale lamenta di non aver potuto provare i fatti su cui aveva basato la propria richiesta di addebito. Afferma che la crisi coniugale è ascrivibile alla totale disaffezione e al comportamento prevaricatore e umiliante tenuto dalla moglie nel corso del matrimonio.

8. Il motivo è inammissibile. Il ricorrente afferma, per un verso, che è non è stato consentito l’espletamento della prova contraria sulle circostanze dedotte dalla Q. laddove la sentenza impugnata afferma invece che il M. ha rinunciato all’escussione dei testi. Per altro verso il ricorrente assume di essere stato impedito a provare il comportamento violativo dei doveri coniugali della moglie ma non indica neanche il contenuto delle prove articolate come più ampiamente si dirà relativamente al quinto motivo di ricorso.

9. Con il terzo motivo di ricorso si censura la insoddisfacente, perchè modesta, riduzione dell’ammontare dell’assegno di mantenimento liquidato in favore della sig.ra Q. nonostante la prova della riduzione dei redditi del ricorrente a causa del suo collocamento in mobilità.

10. Il motivo è in larga parte inammissibile perchè propone una diversa valutazione del materiale istruttorio che la Corte di appello ha effettuato compiendo non solo un raffronto fra le rispettive situazioni reddituali ed economiche ma anche tenendo conto della ripartizione dei ruoli lavorativi e di contributo alla cura familiare e alla formazione del patrimonio nel corso del matrimonio. La Corte distrettuale ha ritenuto che la separazione ha posto la Q. in una difficile situazione economica dalla quale sta cercando di affrancarsi con prestazioni professionali sebbene non sufficienti a garantirle una situazione di piena autosufficienza economica. Per altro verso il motivo è infondato laddove afferma che la Corte di appello non ha preso in esame la messa in mobilità del ricorrente.

11. Con il quarto motivo di ricorso si censura la decisione di conferma dell’assegno di mantenimento in favore della figlia trentenne (all’epoca della sentenza di appello) e esercente la professione di avvocato.

12. Il motivo deve ritenersi infondato alla luce della giurisprudenza secondo cui la dichiarazione della cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni che non siano ancora autosufficienti deve essere suffragata da un accertamento di fatto che abbia riguardo all’acquisizione di una condizione di indipendenza economica (Cass. civ. ord. n. 17738 del 7 settembre 2015), all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonchè, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto (Cass. civ. sez. VI-1 n. 5088 del 5 marzo 2018 e Cass. civ. sez. I n. 12952 del 22 giugno 2016). In particolare il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso, e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poichè il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e aspirazioni che devono tuttavia essere compatibili con le condizioni economiche dei genitori (Cass. civ. sez. I n. 18076 del 20 agosto 2014).

13. Nella specie la Corte di appello ha accertato che all’epoca della sua decisione la figlia dell’odierno ricorrente aveva completato il suo percorso formativo e aveva anche iniziato a svolgere l’attività professionale di avvocato ma ancora gli introiti percepiti non la rendevano autosufficiente economicamente. La decisione presa in considerazione della situazione attuale da parte della Corte di Appello non appare censurabile in sede di legittimità salva la possibilità per l’odierno ricorrente di riproporre la propria domanda di revoca dell’assegno di mantenimento in favore della figlia all’esito della presumibile acquisizione da parte di quest’ultima di un livello reddituale idoneo a farle acquisire l’autosufficienza economica.

14. Con il quinto motivo si censura la decisione della Corte di appello perchè ha omesso completamente la motivazione in ordine alla censura relativa alla mancata ammissione in primo grado della richiesta istruttoria che sarebbe stata riformulata anche nei motivi di appello. Rileva il ricorrente che all’udienza del 24 novembre 2009 il giudice istruttore non ha ammesso la sua prova diretta in quanto non articolata per capitoli specifici e carente nell’indicazione dei testi da escutersi capitolo per capitolo. Alla successiva udienza dell’8 giugno 2010 l’odierno ricorrente chiedeva al G.I. di revocare la propria ordinanza in quanto i testi già indicati potevano riferire su tutti i capitoli. Secondo il ricorrente, nella stessa udienza, il G.I. non prendeva alcuna decisione su tale richiesta, sentiva i testi di parte attrice per poi introdurre i testi del M. in prova contraria. Nè la sentenza di primo grado nè quella di appello ha dato motivazione sulla richiesta istruttoria presentata anche nelle rispettive conclusioni.

15. Il motivo è inammissibile in primo luogo perchè non impugna la ratio decidendi. Dalla lettura della sentenza impugnata non risulta che la censura relativa alla mancata ammissione della prova diretta abbia costituito uno specifico motivo di appello, tuttavia la Corte di appello ha ribadito che la prova diretta per testimoni richiesta dal M. non è stata giustamente ammessa perchè non articolata in capitoli specifici e carente della indicazione dei testi da escutersi capitolo per capitolo, secondo quanto prescritto dall’art. 244 c.p.c., mentre, come si è detto, la prova contraria, benchè ammessa, non è stata espletata avendo il M. rinunciato ai testimoni.

Il ricorrente non riproduce il testo della prova diretta nel ricorso per cassazione nè specifica se ha riproposto la richiesta di ammissione di tale prova, modificando la sua stesura, all’esito della contestazione da parte del giudice istruttore della mancata articolazione della stessa in capitoli. Anche sotto questo profilo pertanto la censura è inammissibile (cfr. Cass. civ. S.U. n. 21670 del 23 settembre 2013 e Cass. civ. sez. II n. 23896 del 23 novembre 2016) e comunque infondata dato che sulla base delle stesse argomentazioni e deduzioni del ricorrente deve ritenersi che egli abbia fatto acquiescenza al provvedimento negativo del giudice istruttore. Va inoltre rilevato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la censura contenuta nel ricorso per cassazione, relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale, è inammissibile qualora con essa il ricorrente si dolga della valutazione, specificamente rimessa al giudice del merito, sulla non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza allegare le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, nè adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto e la tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione (Cass. sez. lavoro, n. 8204 del 4 aprile 2018).

16. Con il sesto motivo di ricorso si censura la decisione sul motivo di appello relativo alla liquidazione delle spese processuali in primo grado.

17. Il motivo è inammissibile. La Corte di appello ha motivato esaurientemente la dichiarazione di inammissibilità del gravame relativo alla liquidazione delle spese del primo grado di giudizio richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 22287 del 21 ottobre 2009 e n. 24635 del 19 novembre 2014) secondo cui l’impugnazione del capo di sentenza relativo alla liquidazione delle spese giudiziali non può essere accolta se con essa non vengono specificate le singole voci che la parte assume come alla stessa spettanti e non riconosciute, non essendo il giudice del gravame vincolato in alcun modo da eventuali determinazioni quantitative formulate dalla medesima parte impugnante in difetto della individuazione degli specifici errori che essa attribuisce al giudice come commessi nella decisione impugnata. Alla luce di questa giurisprudenza la Corte di appello ha rilevato che l’appellante si è limitato a censurare la liquidazione delle spese del primo grado ritenendola afflittiva e ingiustificata senza dedurre che la stessa è errata per l’applicazione di uno scaglione non corrispondente al valore della controversia ovvero perchè ha riconosciuto voci della parcella non dovute. A fronte di questa chiara e corretta motivazione il ricorrente propone delle censure generiche che attengono astrattamente al rispetto dei criteri di valutazione dell’attività svolta e alla obbligatorietà del rispetto delle tariffe professionali nella liquidazione. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in sede di ricorso per cassazione, la determinazione del giudice di merito, relativa alla liquidazione delle spese processuali, può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, sicchè è generico il mero riferimento a prestazioni, che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, con derivante inammissibilità dell’inerente motivo (Cass. civ., sez. III, n. 10409 del 20 maggio 2016).

18. Per le ragioni sin qui esposte va respinto il ricorso con condanna al pagamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.200 Euro di cui 200 per spese, oltre spese forfettarie e accessori di legge. Dispone omettersi qualsiasi riferimento alle generalità e agli altri elementi identificativi delle parti nella pubblicazione della presente sentenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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