Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19133 del 07/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2010, (ud. 11/06/2010, dep. 07/09/2010), n.19133

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso rgn 28971/2007, proposto da:

G. & F. srl, di seguito anche “Società”, in persona del

legale

rappresentante in carica, Signor P.G.,

rappresentata e difesa dall’avv. NAPOLITANO Francesco, presso il

quale è elettivamente domiciliata in Via Po 9, Roma;

– ricorrente –

contro

l’Agenzia delle Entrate, di seguito “Agenzia”, in persona del

Direttore in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, Via dei

Portoghesi 12;

– intimata e controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (CTR) di

Roma 6 febbraio 2007, n. 28/4/07, depositata il 27 marzo 2007;

udita la relazione sulla causa svolta nell’udienza pubblica dell’11

giugno 2010 dai Cons. Dott. Achille Meloncelli;

udito l’avv. Francesco Napolitano, per la Società;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale FEDELI

Massimo, che ha concluso per l’inammissibilità del primo e del

quarto motivo d’impugnazione e per il rigetto degli altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti di incoazione del giudizio di legittimità.

1.1. L’8-10-12 novembre 2007 è notificato all’Agenzia un ricorso della Società per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe, che ha accolto l’appello dell’Ufficio di Roma (OMISSIS) dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Roma n. 693/32/2004, che aveva accolto il ricorso della Società contro l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) dell’IVA 1997.

1.2. Il 20 dicembre 2007 è notificato alla Società il controricorso dell’Agenzia.

2. I fatti di causa.

I fatti di causa sono i seguenti:

a) il 9 febbraio 2002 l’Ufficio di Roma (OMISSIS) dell’Agenzia chiede alla Società, esercente il commercio all’ingrosso di calzature ed accessori, la documentazione relativa al bilancio chiuso al 31 dicembre 1997;

b) la Società produce, tra l’altro, anche copia della denuncia del furto di merci subito nella notte tra il 22 e il 23 ottobre 1997 per L. 581.797.000;

c) il 9 dicembre 2002 è notificato alla Società l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) dell’Irpeg e dell’Ilor 1997, con il quale si accertano maggiori ricavi non contabilizzati per L. 672.954.000 e che è impugnato dalla Società;

d) sulla base dell’accertamento delle imposte sui redditi, il 23 dicembre 2002 è notificato alla Società l’avviso di rettifica dell’IVA 1997, con il quale si accerta una maggiore IVA di L. 127.861.000 (Euro 66.034,70), pari al 19% di L. 672.954.000 di maggiori ricavi determinati ai fini dell’irpeg e dell’ilor;

e) l’avviso di rettifica dell’IVA è impugnato dalla Società dinanzi alla CTP, che ne accoglie il ricorso;

f) l’appello dell’Ufficio è, poi, accolto dalla CTR con la sentenza ora impugnata per cassazione.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è così motivata:

a) “la richiesta dell’appellato circa l’inammissibilità del ricorso in appello … non sussiste”;

b) nel merito, “è stato possibile appurare, consultando gli allegati all’appello (inventario 1997, modello 760/989), che dal valore del costo del venduto risulta già detratto quello inerente al la merce rubata. A proposito è necessario illustrare le modalità di calcolo dell’aggregato “costo del lavoro” ammontante ad Euro 4.358.963,36 costituito dalla formula “valore delle rimanenze di merci iniziali (Euro 1,281.017,62) + quello delle merci acquistate (Euro 4.531.290,57) – quello delle rimanenze finali (Euro 1.453.334,83)”, laddove, queste ultime, come risulta dall’inventario, già tengono conto del valore di Euro 300.473,07 della merce trafugata. In sostanza il valore delle merci rubate risulta già conteggiato nelle rimanenze finali come da inventario, e pertanto sottrarlo come fatto dalla società direttamente dal costo del lavoro si configura una duplicazione che altera il calcolo della percentuale di ricarico”.

4. Il ricorso per cassazione della Società, integrato con memoria, è sostenuto con quattro motivi d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa nella misura compresa tra Euro 52.000 ed Euro 260.000, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con vittoria di spese.

5. Il controricorso dell’Agenzia si conclude con la richiesta di rigetto del ricorso principale,per inammissibilità e, comunque, per infondatezza, e dell’adozione di ogni statuizione consequenziale, anche in ordine alle spese di giudizio.

6. Il difensore della Società deposita osservazioni scritte sulle conclusioni del pubblico ministero ex art. 379 c.p.c., comma 4.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

7. Il primo motivo d’impugnazione.

7.1.1. Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Omessa motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

7.1.2. Con il primo motivo d’impugnazione si contesta quel capo della sentenza d’appello che s’è qui testualmente riprodotto nel par.

3.a). La tesi della Società ricorrente è che “la sentenza della CTR è carente sotto il profilo della motivazione in quanto i giudici di secondo grado non si sono pronunciati sull’eccezione, sollevata dalla società in sede di controdeduzioni avvero l’appello dell’Ufficio, relativa all’inammissibilità dell’atto di appello perchè notificato in difformità del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, e art. 20, commi 1 e 2”, a mezzo del messo speciale dell’Agenzia.

7.1.3. A conclusione della motivazione della censura non è formulato nè alcun quesito motivazionale omologo di quello di diritto nè alcun quesito di diritto.

7.2. Il motivo è inammissibile per le ragioni qui di seguito esposte.

Come si deduce dai parr. 7.1 e 7.2, il primo motivo d’impugnazione dapprima (nella rubrica (par. 7.1)) denuncia un vizio di omessa motivazione, basandosi sull’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e poi, nella motivazione (par. 7.2), pur ribadendo che la sentenza d’appello sarebbe carente sotto il profilo della motivazione, ipotizza, in realtà, un vizio di violazione di legge, in quanto la CTR avrebbe ammesso un appello notificato per il tramite del messo dell’Ufficio.

Ora, se s’interpreta il primo motivo come una censura della motivazione della sentenza d’appello, esso è inammissibile, perchè a conclusione di esso e della sua motivazione non è formulato il quesito motivazionale omologo di quello di diritto, richiesto appunto a pena d’inammissibilità, dall’art. 366 bis c.p.c.. In tal senso si è espressa questa Corte, Sezioni unite civili, con la sentenza 1 ottobre 2007, n. 20603, secondo la quale “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità”. Il principio è stato, poi, applicato, dalle Sezioni semplici, per esempio dall’ordinanza 7 aprile 2008, n. 8897, secondo cui, “allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso”.

Se, poi, come sembra preferibile al Collegio, il primo motivo s’interpreta come una censura che, a prescindere dalle parole impiegate per presentarlo e per illustrarlo, denuncia un vizio di violazione di legge, ancora una volta la mancata formulazione finale del quesito di diritto ne pregiudica l’ammissibilità.

8. Il secondo motivo d’impugnazione 8.1.1. Il secondo motivo d’impugnazione è preannunciato dalla seguente rubrica: “Violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

8.1.2. La ricorrente sostiene che la CTR avrebbe violato l’art. 2909 c.c., perchè sulla medesima questione controversia, relativa all’illegittimità del metodo usato dall’Ufficio per la determinazione dei maggiori ricavi e della conseguente IVA sulla base della percentuale di ricarico, la CTR di Roma si sarebbe pronunciata in materia di imposte sui redditi 1997 della Società con la sentenza 27 febbraio 2006, n. 231/10/05, ritenendo infondata la pretesa dell’Ufficio. La sentenza, che sarebbe passata in giudicato per mancata impugnazione da parte dell’Ufficio, sarebbe stata prodotta in allegato alle sue controdeduzioni in appello.

8.1.3. A conclusione del secondo motivo d’impugnazione si formula il seguente quesito di diritto: “si chiede … che codesta Corte …

voglia … affermare il principio secondo cui qualora due giudizi tra le stesse parti, relativi alla medesima annualità ed a tributi diversi (imposte sui redditi ed Iva), facciano riferimento alla medesima questione ed uno dei due sia stato definito in ordine alla questione comune ad entrambe le cause fa stato nell’altro procedimento ed ha efficacia vincolante, con la conseguenza che, con riguardo alla fattispecie, deve ritenersi censurabile la sentenza della CTR che, intervenuta in materia di Iva, si pone in contrasto con il giudicato formatosi per la stessa annualità ai fini delle imposte sui redditi, laddove la questione oggetto del contendere risulta del tutto analoga”.

8.1.4. Il difensore della Società afferma, nelle osservazioni scritte depositate in udienza ex art. 379 c.p.c., comma 4, che “la sentenza della CTR di Roma n. 231/10/05 del 27/2/2006 depositata dalla ricorrente al momento dell’iscrizione a ruolo è l’originaria sentenza rilasciata dalla Segreteria della CTR di Roma al fine dell’attestazione del passaggio in giudicato della stessa”.

8.2. Il motivo è inammissibile, perchè, come si può dedurre dalla motivazione della sentenza d’appello che s’è testualmente riprodotta nel par. 3, la CTR non si è affatto pronunciata sull’eccezione di giudicato che sarebbe stata sollevata dalla Società appellata nelle sue controdeduzioni in secondo grado, cosicchè l’impugnazione in questa sede avrebbe dovuto essere proposta per l’omessa pronuncia e non per una violazione di legge, della quale non esiste traccia nella sentenza della CTR. 9. Il terzo motivo d’impugnazione.

9.1.1. Il terzo motivo d’impugnazione è presentato sotto la seguente rubrica: “Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51, 54 e 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

9.1.2. La Società “ritiene censurabile la sentenza della CTR …

nella parte in cui ha ritenuta legittima … la metodologia utilizzata dall’Ufficio ai fini della determinazione dei maggiori ricavi e della conseguente pretesa … in particolare perchè non può essere considerata legittima la ricostruzione del reddito …, se non si tiene conto del furto delle merci subito dalla società nell’anno 1997…”.

9.1.3. Il terzo motivo d’impugnazione è concluso dalla formulazione del seguente quesito di diritto: si chiede che la Corte “voglia affermare il principio secondo cui non è legittima la rideterminazione dei ricavi previa ricostruzione del reddito sulla base di una percentuale di ricarico che, sia pure riferita al tipo di attività esercitata, non tiene conto, in caso di furto di merci riconosciuto anche nella sua entità dallo stesso ufficio impositore, dell’incidenza del valore delle merci rubate”.

9.2. Il motivo è inammissibile per mancanza di rilevanza. Infatti, la CTR ha accertato che “dal valore del costo del venduto risulta già detratto quello inerente al la merce rubata”, cosicchè il quesito di diritto risulta prospettato rispetto ad una fattispecie diversa da quella accertata e categorizzata dal giudice d’appello.

10. Il quarto motivo d’impugnazione 10.1.1. Il quarto motivo d’impugnazione è prospettato sotto la seguente rubrica: “Insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

10.1.2. Secondo la Società la CTR avrebbe valutato le circostanze di fatto in maniera insufficiente, incoerente e del tutto illogica, perchè, dopo aver illustrato le modalità di calcolo, così come s’è qui riferito nel par. 3b), avrebbe erroneamente concluso “che sottrarre il costo delle merci rubate come ha fatto la società direttamente dal costo del venduto si configura una duplicazione che altera il costo della percentuale di ricarico”.

10.1.3. Può esser interpretata come quesito motivazionale omologo la formula impiegata dalla ricorrente nel corpo della motivazione per esprimere un momento di sintesi della censura: “Più specificamente, la decisione dei giudici di appello è censurabile per il segnalato vizio di motivazione perchè – posto che il valore delle merci rubate risulta già conteggiato nelle rimanenze finali – è illogico ritenere che sottrarre il costo delle merci rubate dal costo del venduto … configura una duplicazione che altera il costo della percentuale di ricarico)”.

10.2. Il motivo è fondato, perchè, se si raffronta la motivazione della sentenza (v. par. 3.b) con il quesito omologo formulato dalla ricorrente, si constata agevolmente che la sentenza, dopo aver accertato che l’Ufficio avrebbe tenuto conto delle merci rubate, tenta un’esposizione del suo processo dinamico di conoscenza che è destinato all’insuccesso, perchè è, per certi aspetti, riferito a profili della controversia del tutto fuorvianti, come il costo del lavoro, e, per certi altri, è di oscura prospettazione, come quando si formulano considerazioni e calcoli sul computo delle merci rubate, del quale si dice che risulterebbe dall’inventario, ma senza specificare che cosa si legga in tale inventario e come i dati in esso contenuti si colleghino con i vari profili contabili. In sostanza, la motivazione è, a causa della sua insufficienza, incomprensibile e, quindi, priva di logica.

11. Conclusioni.

Le precedenti considerazioni comportano l’inammissibilità dei primi tre motivi di ricorso e il riconoscimento della fondatezza del quarto motivo d’impugnazione, con il conseguente accoglimento del ricorso, cui deve seguire il rinvio della causa ad altra Sezione della CTR del Lazio, che, oltre a motivare validamente la sua decisione, liquiderà le spese processuali relative al giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte accoglie il quarto motivo d’impugnazione, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra Sezione della CTR del Lazio, anche per le spese processuali relative al giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2010

 

 

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