Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19132 del 20/09/2011

Cassazione civile sez. III, 20/09/2011, (ud. 04/07/2011, dep. 20/09/2011), n.19132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE BISACQUINO (OMISSIS) in persona del Sindaco in carica

Dott. C.F., elettivamente domiciliato in ROMA presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’Avv. CARONNA ANDREA giusto mandato in atti;

– ricorrente –

contro

P.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 5, presso lo studio dell’avvocato LOFFREDA

GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato GERACI STEFANO giusto

mandato in atti;

– controricorrente –

e contro

EAS ENTE ACQUEDOTTI SICILIANI (OMISSIS), IMPRESA C.

G.;

– Intimati –

Nonchè da:

EAS ENTE ACQUEDOTTI SICILIANI in liquidazione (OMISSIS) in

persona del Commissario Liquidatore e legale rappresentante p.t.

Dott. M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

VINCENZO BELLINI 4, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GEMMA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SPALLINO AURELIA giusto mandato

in atti;

– ricorrente incidentale –

e contro

P.M. (OMISSIS), COMUNE BISACQUINO

(OMISSIS), IMPRESA C.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 217/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 11/02/2009 R.G.N. 747/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato STEFANO PARLATORE per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’11/2/2009 la Corte d’Appello di Palermo, in accoglimento del gravame interposto dalla sig. P.M. nei confronti della pronunzia Trib. Termini Imerese 19/11/2002, condannava il Comune di Bisacquino, l’Ente Acquedotti Siciliani (E.A.S.) ed il sig. C.G., quale titolare dell’omonima impresa individuale, al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza del sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS), allorquando la P. cadeva dal ciclomotore di cui era alla guida a causa della presenza di uno scavo nella sede stradale.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Comune di Bisacquino propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resistono, con separati controricorsi, la P. e l’Ente Acquedotti Siciliani (E.A.S.), il quale ultimo spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 2 motivi.

L’intimato C., nella qualità, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 e il 2 motivo il ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè erronea e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito l’abbia ritenuto responsabile, in difetto di prova in ordine all’esatto punto nel quale la caduta è nel caso avvenuta, trattandosi di strada appartenente in parte al Comune di Giuliana.

Formula al riguardo i seguenti quesiti di diritto:

se ove si chieda al giudice di accertare ed affermare la responsabilità della pubblica amministrazione in dipendenza dell’art. 2051 c.c., in relazione a strade pubbliche, sia necessario o meno per l’attore fornire la prova del punto ove l’evento si sia verificato, al fine di consentire la esatta determinazione dell’ente effettivamente proprietario (1 motivo); se sia possibile affermare la responsabilità della pubblica amministrazione in dipendenza dell’art. 2051 c.c., in relazione a strade pubbliche, ove sussista almeno incertezza sulla proprietà della strada (2 motivo).

Con il 3 motivo denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che la corte di merito ha pronunziato omettendo di considerare le emergenze dalla querela a firma P.M. e B.F..

Formula al riguardo il seguente momento di sintesi: In conclusione è da riconoscere che la motivazione è carente ed insufficiente là ove ha omesso di tenere conto di quanto affermato e risultante nella querela acquisita, dalla quale è possibile evincere l’asserita direzione di marcia del motociclo, e sotto altro profilo è contraddittoria là ove si intendono applicare obblighi od almeno possibilità per il comproprietario a soggetto che tale qualifica non riveste.

Con il 4 motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che rigettandosi l’appello le spese processuali avrebbero dovuto essere poste a carico di parte avversa.

Formula al riguardo il seguente quesito: se costituisce violazione dell’art. 91 c.p.c. la mancata condanna della parte soccombente alle spese.

Con il 1 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia erronea e falsa applicazione degli artt. 2697, 2051, 2043, 1227 c.c., degli artt. 115, 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che la corte di merito non ha ®minimamente considerato e accertato il fatto colposo del danneggiato che abbia eventualmente escluso il nesso causale necessario ovvero abbia dato luogo a un eventuale concorso eziologico, con connesse carenze e contraddittorietà di motivazione, ed inadeguato ed illogico apprezzamento degli elementi processuali raccolti.

Formula al riguardo il seguente quesito: se, in virtù dell’art. 2697 c.c., sia possibile ritenere provata la responsabilità per danni ex art. 2043 c.c. ed ex art. 2051 c.c. prescindendo da ogni accertamento circa l’esistenza del nesso causale tra fatto ed evento e da ogni valutazione circa l’eventuale apporto causale del comportamento dello stesso danneggiato ed in carenza di prova piena nel merito in ordine al concorso della doppia condizione della non visibilità oggettiva e della non prevedibilità soggettiva caratterizzanti una situazione di pericolo occulto.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili, in applicazione degli artt. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – ale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108)-, e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il sito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso i quesiti di diritto formulati nel ricorso principale e nel ricorso incidentale non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando invero la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti;

del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione.

Nel sostanziarsi in espressioni evocanti le rispettive non accolte tesi difensive, i suddetti quesiti si palesano invero privi di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), circoscrivendo la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), pure in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso i motivi risultano formulati in violazione del principio di autosufficienza, atteso che i ricorrenti, sia principale che incidentale, fanno richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., all’atto notificato il 21/12/2000, alle comparse di costituzione e risposta del giudizio di primo grado, alle prove testimoniali, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello della P., alle informazioni pervenute dal Comune di Giuliana (il ricorrente in via principale); agli atti dei giudizi di merito e alle dichiarazioni dei testi escussi in primo grado sigg.ri T.M. e T.G. (il ricorrente in via incidentale) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente -per quanto in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso, ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità, laddove la mancanza anche di una sola delle suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr.

Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a consolidato principio che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il 3 motivo del ricorso principale ed il 1 motivo del ricorso incidentale non recano la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle relative “ragioni”, tale non potendo invero ritenersi la proposizione, più sopra riportata, posta dal ricorrente principale (laddove il momento di sintesi non risulta invero nemmeno “adombrato” dal ricorrente in via incidentale) a chiusura del motivo, non contemplando essa la sintetica e riassuntiva indicazione del fatto controverso, la specifica indicazione degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Con il 2 motivo il ricorrente in via incidentale denunzia erronea e falsa applicazione degli artt. 2697, 2051, 2043, 2055, 1655 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito l’abbia ritenuto responsabile pur avendo appaltato i lavori all’Impresa C.G., senza prova o deduzione che l’appaltatore fosse stato ridotto a nudus minister.

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, poichè di regola nell’esecuzione dei lavori appaltati opera in autonomia, con propria organizzazione ed apprestando i relativi mezzi, l’appaltatore è esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell’esecuzione dell’opera, salva (a parte l’ipotesi di una culpa in eligendo) l’esclusiva responsabilità del committente laddove questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l’appaltatore al rango di nudus minister; ovvero la corresponsabilità del medesimo, qualora si sia ingerito con direttive che abbiano solamente ridotto l’autonomia dell’appaltatore.

Ne consegue che non sussiste responsabilità del committente se non rimane accertato che questi, avendo in forza del contratto di appalto la possibilità di impartire prescrizioni nell’esecuzione dei lavori o di intervenire per chiedere il rispetto della normativa di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (v. Cass., 12/7/2006, n. 15782).

I suindicati principi trovano applicazione anche nell’appalto – come nella specie – di opere pubbliche, atteso che anche in tali ipotesi, pur se in limiti più ristretti rispetto all’appaltatore di opera privata (stante l’obbligatorietà della nomina del direttore dei lavori e la continua ingerenza dell’amministrazione appaltante), l’appaltatore conserva margini di autonomia, sicchè è da considerarsi di regola unico responsabile dei danni cagionati ai terzi nel corso dei lavori, la responsabilità concorrente e solidale dell’amministrazione committente potendo configurarsi solamente laddove il fatto dannoso sia stato posto in essere in esecuzione del progetto o di direttive impartite dall’amministrazione committente, mentre una responsabilità esclusiva di quest’ultima resta configurabile solo allorquando essa abbia rigidamente vincolato l’attività dell’appaltatore, così da neutralizzarne completamente la libertà di decisione (v. Cass., 22/10/2002, n. 14905; Cass., 31/7/2002, n. 11356).

Accertare se ricorra o meno la responsabilità del committente costituisce questione di fatto, come tale rimessa al giudice di merito, la cui decisione è insindacabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione (v. Cass., 12/7/2006, n. 15782;

Cass., 21/6/2004, n. 11478).

Orbene, nell’affermare la responsabilità (oltre che dell’impresa C., per avere omesso di sistemare il manto stradale, in modo da porlo in condizioni di efficienza, e che è intervenuta dopo l’incidente occorso alla P., anche) dell’EAS, per non avere tale ente esercitato gli specifici poteri di controllo nella fase finale dell’esecuzione dei lavori, e per avere in particolare omesso di imporre all’appaltatore, a mezzo del direttore dei lavori, l’esecuzione delle opere necessarie per consentire il transito sulla strada in sicurezza, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi, pervenendo a ravvisare la sussistenza della (cor)responsabilità dell’ente committente in ordine al sinistro de quo erroneamente argomentando dalla relativa mancata ingerenza nell’appalto, con esplicazione di attività di controllo e di direttiva vincolanti al punto di eliminarne del tutto l’autonomia dell’appaltatore.

Movendo cioè da assunti logici invero esattamente contrari ai principi, più sopra riportati, che governano la materia.

Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere peraltro decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con esclusione della responsabilità dell’ente EAS, anche in ordine alle spese processuali dei gradi di merito, delle quali ultime va disposta la compensazione per quanto riguarda la relativa posizione.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e si pongono a carico del ricorrente principale in favore di ognuna delle controparti costituite.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’intimato C., nella qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, non avendo il medesimo svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte accoglie il 2 motivo del ricorso incidentale, dichiara inammissibile il 1 motivo del medesimo e il ricorso principale. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, esclude la responsabilità dell’ente EAS, anche in ordine alle spese processuali dei gradi di merito, che per quanto riguarda la sua posizione compensa. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuna delle controparti costituite.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2011

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