Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19131 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/07/2019, (ud. 10/04/2019, dep. 17/07/2019), n.19131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17368-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.C., D.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7013/4/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro M.C. e D.F., impugnando la sentenza resa dalla CTR Lazio indicata in epigrafe con la quale, confermando la decisione di primo grado, si è rigettato l’appello dell’Ufficio, ritenendo l’illegittimità dell’accertamento relativo a redditi di partecipazione imputati per trasparenza alla Martis per l’anno 2008, già socia accomandante al 51% della società s.a.s. Diemme Impianti, compagine nella quale il di lei marito D. – nei confronti del quale era stato integrato il contraddittorio in corso di causa – era socio nel restante 49% del capitale. Osservava che doveva ritenersi sufficientemente provata sia l’esclusione del socio accomandante dai poteri di verifica e controllo della società gestita dal di lei marito con il quale era in corso la separazione, sia la mancata percezione dei redditi alla stessa imputati pro quota.

Le parti intimate non si sono costituite in giudizio.

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia deduce la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, comma 1. La CTR avrebbe errato nell’escludere la responsabilità della M., essendo questa socia accomandante della società. La presunzione legale nascente dall’art. 5 ult. cit. avrebbe dovuto essere considerata, al di là della distribuzione degli utili, anche nei confronti del socio accomandante.

Il motivo è fondato.

Ed invero, questa Corte ha inizialmente precisato che i redditi delle società di persone, a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. Le quote si presumono proporzionate al valore dei conferimenti dei soci se non risultano determinate diversamente dall’atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all’inizio del periodo d’imposta. Ne consegue che “la presunzione legale così posta – “in virtù della quale i redditi delle società di persone sono imputati pro quota a ciascun socio (anche accomandante) indipendentemente dall’effettiva percezione – opera anche in caso di accertamento a carico della società di utili neri iscritti in bilancio: non solo, infatti, il socio è in grado di conoscere i rilievi e gli accertamenti fiscali condotti nei confronti della società, avendo diritto alla comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle perdite ed alla consultazione dei libri e degli altri documenti della società, ma il reddito di partecipazione costituisce un suo reddito personale, indipendentemente dalla mancata contabilizzazione dei ricavi e dai metodi adoperati dalla società per realizzarli, e fermo restando il diritto di agire nei confronti della società, in sede civile ordinaria, per recuperare la quota di utili a lui spettante, nonchè l’esclusione della sua responsabilità per sanzioni, qualora sia dimostrata la sua buona fede” (Cass. n. 23359 del 2006; cfr. anche Cass. n. 17492).”

Peraltro, l’imputazione proporzionale dei redditi della società ai singoli soci, di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, in quanto indipendente dall’effettiva percezione degli utili e dalla stessa partecipazione del socio alla gestione sociale, neppure “è esclusa dal carattere illecito dell’attività posta in essere dall’amministratore della società: lo svolgimento di tale attività in violazione di norme organizzative o di legge non comporta infatti l’interruzione del rapporto organico – sempre che gli atti posti in essere siano comunque pertinenti all’azione della società e rispondano ad un interesse riconducibile, anche indirettamente, all’oggetto sociale -, nè la nullità degli atti compiuti, ma solo l’inefficacia o l’inopponibilità degli stessi ai terzi, che può essere fatta valere solo dalla società, con la conseguenza che, qualora quest’ultima abbia ratificato l’illegittimo operato dell’amministratore, resta irrilevante ogni questione relativa all’estraneità dell’atto all’oggetto sociale (Cass. n. 17731 del 2006)”-cfr. Cass. n. 11989/2015 -.

Con specifico riferimento alle società di persone, questa Corte non ha mancato di precisare che in forza del principio di trasparenza dettato dall’art. 5 T.U.I.R. (“i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”), il reddito della società di persone (nonchè delle associazioni professionali e delle imprese familiari) – enti che, pur dotati di autonomia patrimoniale sotto il profilo civilistico, possiedono, nell’ambito dell’imposizione diretta, una autonoma soggettività passiva tributaria solo ai fini ILOR, prima, ed IRAP, successivamente è imputato automaticamente e direttamente, in misura proporzionale alla rispettiva quota di partecipazione agli utili, ai soci, indipendentemente dalla effettiva percezione.

Il che equivale ad ammettere la sussistenza di una presunzione legale di avvenuta percezione di tali utili (Cass. nn. 2899/2002, 2699/2002), vincibile soltanto mediante adeguata prova del contrario, il cui onere grava sul contribuente socio – cfr. Cass. n. 5655/2014 -.

Orbene, la CTR, a sostegno del superamento della presunzione legale di cui si è detto ha genericamente affermato che sarebbe stata “sufficientemente provata sia l’esclusione del socio accomandante, odierna appellata, dai poteri di verifica e controllo della società gestita dal marito col quale era in corso la separazione, sia la mancata percezione dei redditi alla stessa imputati pro quota”.

Ora, risulta evidente che dalla scarna motivazione sopra riportata non emergono in concreto quali elementi abbiano condotto il giudice di appello a scardinare la presunzione legale che sorreggeva l’accertamento richiamato, non risultando gli elementi sui quali si sarebbe dovuto affermare che la contribuente non aveva percepito i redditi accertati nei confronti della società.

Sulla base di tali considerazioni, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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