Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19129 del 20/09/2011

Cassazione civile sez. III, 20/09/2011, (ud. 04/07/2011, dep. 20/09/2011), n.19129

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17085/2009 proposto da:

P.D. (OMISSIS), P.S. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI 76, presso

lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI Giordano, che li rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ITALO PAOLILLO giusto mandato in

atti;

– ricorrenti –

contro

COMUNE ARCOLE (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo

studio dell’avvocato VINCENTI Marco, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MANCINI SERGIO giusto mandato in atti;

– controricorrente –

e contro

PE.DA. (OMISSIS), D.M.L.

(OMISSIS), GENERALI ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS),

MA.MA. (OMISSIS), C.D.

(OMISSIS), PE.MA. (OMISSIS), M.

C., C.B. (OMISSIS), F.L.

(OMISSIS), PE.EL., S.A.

(OMISSIS), B.A. (OMISSIS), P.

E. (OMISSIS), p.e., D.M.D.

(OMISSIS), MILANO ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS),

C.A. (OMISSIS), M.G.

(OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

C.B. (OMISSIS), B.A.

(OMISSIS), C.D. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo

studio dell’avvocato PANARITI BENITO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati PALUMBO FRANCESCO, DEIDONE’ IDA giusto

mandato in atti;

– ricorrenti incidentali –

contro

COMUNE ARCOLE (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo

studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MANCINI SERGIO giusto mandato in atti;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

PE.DA. (OMISSIS), D.M.L.

(OMISSIS), GENERALI ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS), P.

S. (OMISSIS), MA.MA. (OMISSIS),

PE.MA. (OMISSIS), M.C., P.D.

(OMISSIS), F.L. (OMISSIS), P.

E., S.A. (OMISSIS), PE.ES.

(OMISSIS), p.e., D.M.D.

(OMISSIS), MILANO ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS),

C.A. (OMISSIS), M.G.

(OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

PE.EL., p.e., C.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE

FLAMINIO 9, presso lo studio dell’avvocato FOTI CARLO SEBASTIANO, che

li rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– ricorrenti incidentali –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato PERILLI MARIA

ANTONIETTA, che la rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

PE.DA. (OMISSIS), D.M.L.

(OMISSIS), GENERALI ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS), P.

S. (OMISSIS), MA.MA. (OMISSIS),

C.D. (OMISSIS), PE.MA.

(OMISSIS), COMUNE ARCOLE (OMISSIS), M.C.,

C.B. (OMISSIS), P.D. (OMISSIS),

F.L. (OMISSIS), S.A.

(OMISSIS), B.A. (OMISSIS), P.

E. (OMISSIS), D.M.D. (OMISSIS),

M.G. (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

S.A. (OMISSIS), D.M.D.

(OMISSIS), M.C., MA.MA.

(OMISSIS), M.G. (OMISSIS), D.M.

L. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato RICCI SANTE, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PARENTE GIUSEPPE giusto

mandato in atti;

– ricorrenti incidentali –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato PERILLI MARIA

ANTONIETTA, che la rappresenta e difende giusto mandato in atti;

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona dei legali

rappresentanti pro tempore Dott. C.T. e Dott. S.

R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 6,

presso lo studio dell’avvocato LETTIERI PIERO PAOLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CINALLI ALESSANDRA

giusto mandato in atti;

COMUNE ARCOLE (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo

studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MANCINI SERGIO giusto mandato in atti;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

PE.DA. (OMISSIS), P.S.

(OMISSIS), C.D. (OMISSIS), P.

M. (OMISSIS), C.B. (OMISSIS), P.

D. (OMISSIS), F.L. (OMISSIS),

PE.EL., B.A. (OMISSIS), P.

E. (OMISSIS), p.e., C.

A. (OMISSIS);

– intimati –

nonchè da:

GENERALI ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona dei legali

rappresentanti pro tempore Dott. C.T. e Dott. S.

R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI BETTOLO 6,

presso lo studio dell’avvocato LETTIERI PIERO PAOLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRA CINALLI

giusto mandato in atti;

– ricorrente incidentali –

contro

MILANO ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS) in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato PERILLI MARIA

ANTONIETTA, che la rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

PE.DA. (OMISSIS), D.M.L.

(OMISSIS), P.S. (OMISSIS), M.

M. (OMISSIS), C.D. (OMISSIS),

PE.MA. (OMISSIS), COMUNE ARCOLE (OMISSIS),

M.C., C.B. (OMISSIS), P.D.

(OMISSIS), F.L. (OMISSIS), P.

E., S.A. (OMISSIS), B.A.

(OMISSIS), PE.ES. (OMISSIS),

p.e., D.M.D. (OMISSIS), C.

A. (OMISSIS), M.G. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 99/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/01/2009 R.G.N. 2676/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2011 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato FASOLA ENRICA per delega;

udito l’Avvocato LETTIERI PIERO PAOLO;

udito l’Avvocato VINCENTI MARCO;

udito l’Avvocato PERILLI MARIA ANTONIETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e

degli incidentali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nella notte del (OMISSIS) si verificò un incidente mortale in località comune di (OMISSIS).

Due autovetture – una Renault condotta da C.P. e assicurata con la compagnia Milano Assicurazioni s.p.a., nella quale viaggiavano M.A., D. e D.M.L., Ma.Ma., ed una Volvo condotta da Pe.Ro. e assicurata con la compagnia Le Generali – si scontrarono violentemente ad un incrocio.

Persero la vita nello scontro frontale entrambi i conducenti, C. e Pe., e il trasportato M..

Riportarono ferite i germani D.M. e il Ma..

Il tribunale di Verona adito in sede risarcitoria, nell’individuare e quantificare le responsabilità del sinistro, ritenne colpevole dell’accaduto il comune di Arcole per il 60% e i due conducenti nella restante misura del 20% ciascuno.

Il giudice di prime cure ricostruì i fatti nel modo che segue:

Pe.Ro., approssimandosi ad un incrocio in fase di ridelimitazione, non aveva rispettato il segnale di precedenza, non aveva rispettato la precedenza di fatto acquisita dall’autovettura condotta dal C., e viaggiava a velocità nettamente superiore a quella consentita;

C.P., dal suo canto, non era stato sufficientemente attento alla nuova situazione stradale in corso di modifica, non aveva prestato attenzione alla segnaletica pure esistente e aveva di conseguenza imboccato il tratto terminale di una strada non più percorribile, che andava ad incrociare la traiettoria dell’auto proveniente dall’opposto senso di marcia;

Il Comune di Arcole aveva intrapreso i lavori per sistemare l’area stradale in questione appaltandoli all’impresa di P.A. senza predisporre, alla data dell’incidente, alcun cartello atto ad indicare il nuovo divieto di accesso alla parte terminale della strada (cartelli repentinamente quanto tardivamente apposti in loco dopo l’incidente): erano stati soltanto rinvenuti, difatti, al momento del sinistro, soltanto due segnali giacenti a terra, sul lato destro della strada, coperti da un autocarro in sosta e resi ancor meno visibili dalla carente illuminazione della strada, carente al punto che l’intera area dell’incidente poteva dirsi praticamente al buio.

Il tribunale scaligero riconobbe, pertanto, a titolo di risarcimento, rispettivamente le somme di 250.000 euro agli eredi Pe., di 240.555 Euro agli eredi M., di 240.000 Euro agli eredi C., mentre ai danneggiati D. e D.M.L. e M. M. vennero attribuite, rispettivamente, le somme di 60.000, 45.000 e 20.000 Euro.

La sentenza venne appellata hic et inde, in via principale e incidentale, da tutte le parti in causa.

In particolare:

C.A. e le figlie Pe.El. ed e.

lamentarono: 1) l’errata attribuzione della responsabilità al proprio congiunto (dovendosi ritenere l’incidente conseguenza esclusiva della condotta di guida del C.); 2) la modestia dell’importo riconosciuto a titolo di risarcimento; 3) la mancata liquidazione della rivalutazione monetaria; 4) l’errata determinazione degli interessi; 5) l’erroneità del calcolo delle somme loro dovute; 6) la mancata attribuzione della responsabilità in via solidale ai soggetti condannati al risarcimento; 7) l’omessa motivazione circa la domanda di condanna ultramassimale della Milano Assicurazioni;

Gli eredi C. contestarono, a loro volta, l’erronea attribuzione della concorrente responsabilità del 20% al loro congiunto, tratto in inganno dalla situazione ambientale e la incongruità del risarcimento loro riconosciuto;

Gli eredi M. chiesero la conferma della sentenza di primo grado in punto di accertamento e ripartizione delle responsabilità, e la sua riforma in ordine al quantum debeatur liquidato in loro favore;

I D.M. e il Ma. presentarono le medesime istanze;

Lu., Da., Es., Pe.Ma. e F. L., in proprio e in qualità di eredi di Pe.Lu., padre di Ro., lamentarono che la sentenza di primo grado aveva del tutto omesso di pronunciarsi sulla propria domanda risarcitoria;

Il comune di Arcole lamentò, della sentenza di prime cure:

1) un vizio di ultrapetizione, avendo proposto domanda risarcitoria contro l’ente territoriale i soli eredi C. e la Milano assicurazioni; 2) l’erronea valutazione della perizia in atti; 3) l’erronea valutazione dell’incidenza causale della presenza/mancanza della segnaletica sul luogo del sinistro; 4) il malgoverno di consolidati principi giurisprudenziali in tema di responsabilià aquiliana della P.A.; 5) la erronea quantificazione della percentuale di responsabilità ascritta ai due automobilisti 6) l’erronea valutazione del danno subito dalla parti; 7) la mancata condanna della ditta P., esecutrice dei lavori, sull’erroneo presupposto che, al momento dell’incidente, ogni attività alla medesima riconducibile risultava sospesa;

Le Generali Assicurazioni chiesero la dichiarazione di esclusiva responsabilità del C.;

La Milano Assicurazioni chiese, specularmente, la dichiarazione di esclusiva responsabilità del Pe. e del comune di Arcole, e una più approfondita e attenta quantificazione del danno riconosciuto alle parti.

La corte di appello di Venezia, ritenuto in limine che soltanto gli eredi C. e la Milano assicurazioni avessero proposto domanda risarcitoria in primo grado contro il comune di Arcole, in parziale riforma della sentenza del tribunale:

Dichiarò che l’incidente si era verificato per pari concorso di colpa di Pe.Ro., di C.P. e della ditta P.;

Modificò la liquidazione del danno morale riconosciuto agli eredi Pe., C. e M.;

Rideterminò le poste risarcitorie relative al danno patrimoniale degli eredi Pe., al danno biologico, morale e da invalidità temporanea dei D.M. e del Ma.;

Condannò le compagnie di assicurazioni a titolo di garanzia dei rispettivi assicurati e l’impresa P. al pagamento in solido delle somme dovute ai singoli soggetti aventi diritto.

La decisione fu così motivata dalla corte lagunare:

La censura proposta in limine litis dal comune di Arcole era fondata atteso che in primo grado soltanto gli eredi C. e la Milano assicurazioni, e non anche gli eredi Pe. e M., avevano introdotto domande risarcitorie nei suoi confronti. La questione era, peraltro, “superata dal riconoscimento di un’autonoma responsabilità a carico dell’impresa esecutrice” mentre, per altro verso, il comune avrebbe avuto “comunque diritto di rivalersi nei confronti dell’appaltatore;

La dinamica del sinistro, sì come “ricostruita dal perito di parte”, trovava “significativi riscontri nell’annotazione di servizio redatta dai carabinieri”, onde la ripartizione delle responsabilità andava compiuta “in misura equivalente tra i due conducenti e l’impresa P.”; Nella liquidazione del danno morale da morte del prossimo congiunto convivente poteva farsi ricorso alle tabelle del triveneto, mentre il danno biologico iure proprio in capo ai superstiti andava escluso, al pari del danno esistenziale, mai richiesto;

Gli altri parenti di Pe.Ro., la cui domanda risarcitoria era stata completamente pretermessa in prime cure, avevano diritto a loro volta al risarcimento del danno morale;

Il danno patrimoniale cui avevano diritto gli eredi Pe.

doveva essere liquidato con riferimento alla tabella allegata al R.D. n. 1403 del 1922, recante la tariffa per la costituzione delle rendite vitalizie, sulla premessa che la quota di reddito percepito dalla vittima presumibilmente destinato ai bisogni della famiglia poteva quantificarsi in 2/3 e che, nel caso specifico, egli lasciava una moglie e due figlie minori e conviventi;

Gli importi risarcitori dovuti ai tre feriti – che ne lamentavano l’insufficienza in relazione al decisum di primo grado – andavano computati e liquidati secondo le citate tabelle del tribunale di Venezia, calcolando l’importo del danno morale in frazione pari al 40% del danno biologico in considerazione della particolare gravità della vicenda;

Le spese di lite potevano essere integralmente compensate tra tutti le parti in causa, attesa la parziale soccombenza di ciascuna di esse.

La sentenza è stata impugnata dagli eredi di P.A., D. e S., con ricorso per cassazione articolato in motivi.

Impugnano altresì la sentenza della corte veneta con ricorso incidentale:

gli eredi C., illustrando 6 motivi di doglianza:

gli eredi Pe., esponendo 3 motivi di censura;

gli eredi M., rappresentando 4 motivi oltre ad un quinto riguardante le spese processuali;

la compagnia assicurativa Le Generali, con 3 motivi.

A tutti i gravami resiste con controricorso il comune di Arcole che, al pari degli eredi P., ha depositato tempestiva memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, principale e incidentali – da riunirsi sì come proposti avverso la medesima sentenza -, risultano tutti parzialmente fondati nei limiti di cui si dirà, ad eccezione dell’impugnazione della compagnia di assicurazione Le Generali, che va di converso rigettata.

In particolare, fondati appaiono il 2^ e 4^ motivo del ricorso P., il 1^ e 5^ motivo del ricorso C., il 3^ motivo del ricorso Pe., i 4 motivi di merito del ricorso M..

IL RICORSO “EREDI P.”.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.; insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’attribuzione di responsabilità all’impresa P.A. anzichè al comune di Arcole, quale custode dei luoghi ove si è verificato l’incidente stradale del (OMISSIS) anche dopo l’ordine di sospensione dei lavori del (OMISSIS).

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto.

Poichè il (OMISSIS), data dell’incidente stradale, l’impresa P.A. non aveva più la disponibilità del cantiere presente sui luoghi di causa per averlo abbandonato in ottemperanza all’ordine impartitogli dall’ente proprietario della strada, comune di Arcole, in data (OMISSIS), allora all’impresa non è applicabile la previsione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c..

La doglianza è inammissibile.

Sotto un duplice, concorrente profilo.

Il primo profilo, quanto al denunciato vizio di violazione di legge, attiene alla formulazione del quesito, che appare, invero, non idonea, alla stregua della ormai consolidata giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ad integrarne gli estremi di validità ed efficacia onde consentire alla corte la affermazione di un principio di diritto che, partendo dalla (pur necessaria) fattispecie concreta consenta poi di predicare una regula iuris di carattere generale, applicabile al di là e a prescindere dalla fattispecie medesima.

Assoluta appare, di converso, la carenza di tali requisiti essenziali quanto a forma e contenuto del quesito come formulati a chiusura dell’esposizione del motivo, avendo questo giudice di legittimità avuto più volte modo di affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica unitaria (e non, come nella specie, frammentata o frazionata) della questione, onde consentire alla corte di cassazione l’enunciazione di una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (Cass. 25-3-2009, n. 7197). Ed è stato ulteriormente precisato (Cass. 19-2-2009, n. 4044) che il quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., a corredo del ricorso per cassazione non può mai risolversi nella generica richiesta (quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione della norma stessa da parte del giudice di merito, ma deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno opposto;

non senza considerare, ancora, che le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente specificato (Cass. SS.UU. 2-12-2008, n. 28536) che deve ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non consenta di risolvere il caso sub iudice.

La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva (Cass. 19892/09), che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione, onde, va ribadito (Cass. 19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo.

Il secondo profilo si sostanzia nella mancanza assoluta del pur necessario momento di sintesi espositiva della censura di vizio motivazionale, funzionale all’esame del denunciato vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, da parte della Corte, dovendo tale momento di sintesi del fatto decisivo concludere (e non precedere, come nella specie, in seno all’intestazione del motivo, in un momento espositivo in cui esso risulta assai poco comprensibile) l’esposizione della doglianza di difetto di motivazione. Ancora le sezioni unite di questa corte hanno, in proposito, specificato (Cass. ss.uu. 20603/07) l’esatta portata del sintagma “chiara indicazione del fatto controverso” in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: la relativa censura deve contenere, secondo la giurisprudenza di questa corte regolatrice, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2055 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Con il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente con quello che precede, attesane la intrinseca connessione logico-giuridica, si denuncia ancora violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2051 e 2043 c.c.; insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il secondo motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:

Poichè la zona stradale in cui si è verificato l’incidente, interessata da lavori di ridefinzione dell’intersezione stradale, era aperta al pubblico traffico, si applica al comune di Arcole la previsione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c..

Il quesito afferente al quarto motivo di ricorso è così esposto:

Poichè l’incidente stradale si è verificato, in parte, anche a causa della situazione di insidia creata dalla inadeguatezza della segnaletica stradale installata dall’ente proprietario della strada, Comune di Arcole, allora l’impresa P. non è responsabile della verificazione del predetto incidente stradale.

Entrambi i motivi risultano meritevoli di accoglimento, sia pur sotto il solo profilo della denunziata violazione di legge (risultando di converso inammissibili quanto al lamentato vizio motivazionale per le medesime ragioni esposte nell’esaminare il motivo sub 1).

Ammissibili in rito i quesiti di diritto sì come formulati dalla ricorrente, poichè rispondenti (sia pur assai a fatica) ai requisiti indicati poc’anzi, si osserva, da un canto, che la permanenza dell’obbligo di custodia in capo all’ente proprietario in caso di perdurante apertura al pubblico traffico dell’area interessata dai lavori in corso – e la conseguente configurabilità della responsabilità del comune – è stata già ritenuta e affermata da questa corte regolatrice con la sentenza 6.7.2006, n. 15383, predicativa di un principio di diritto integralmente condiviso dal collegio e dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi (principio più di recente riaffermato, ancora, da Cass. 12425/08);

dall’altro, che la apposizione di una adeguata segnaletica stradale non possa essere legittimamente ricondotta al novero degli obblighi gravanti sull’impresa appaltatrice dei lavori, essendo di converso riconducibile alla integrale responsabilità del comune di Arcole, in assenza di prova (in ordine alla quale mai risulta essersi dibattuto in sede di merito) che quest’ultimo avesse, nell’ambito del contratto di appalto, trasferito all’impresa stessa il relativo obbligo di una corretta ed efficace installazione.

Con il terzo motivo, si denuncia una ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Poichè l’incidente stradale del (OMISSIS) si è verificato per l’accertata inosservanza da parte del C.P. delle norme di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 145 commi 1, 4 e 5, e da parte di Pe.

R. di quelle di cui all’art. 141, commi 1, 2 e 3 e art. 145, commi 1 e 2 del medesimo D.Lgs., allora l’impresa P.A. è esente da responsabilità ex art. 2051 c.c., per sussistenza del caso fortuito costituito dal fatto del danneggiato.

Il quesito, e il motivo che lo precede, risultano palesemente e irredimibilmente inammissibili, sotto il duplice profilo evidenziato nel corso dell’esame del 1^ motivo di doglianza.

Con il quinto motivo, si denuncia nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c., per avere la corte di appello condannato l’impresa P. al risarcimento nei confronti delle parti danneggiate in assenza di specifica domanda sai punto.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Poichè C.A., Pe.El., p.e., Pe.Lu., F.L., Pe.Da., P. E., Pe.Ma., C.B., B.A., C.D., M.G., S.A., M. C., D.m.D., D.m.L. e Ma.Ma.

non hanno svolto alcuna domanda di risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa P.A., la Corte di appello di Venezia, in assenza dell’operatività del principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore al terzo chiamato, non poteva pronunciare condanna dell’impresa P. al risarcimento del danno subito dai predetti.

Con il sesto motivo, si denuncia nuovamente nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c., per avere la corte di appello condannato l’impresa P. al risarcimento nei confronti delle parti danneggiate in assenza di specifica domanda sul punto.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Poichè C.A., Pe.El., p.e., Pe.Lu., F.L., Pe.Da., P. E., Pe.Ma., C.B., B.A., C.D., M.G., S.A., M. C., D.m.D., D.m.L. e Ma.Ma.

non hanno svolto alcuna domanda di risarcimento dei danni nei confronti dell’impresa P.A., la Corte di appello di Venezia non poteva pronunciare condanna dell’impresa P. al risarcimento del danno subito dai predetti.

Entrambe le doglianze, sostanzialmente ripetitive della medesima censura in diritto, sono infondate, alla luce della costante giurisprudenza di questa corte regolatrice che, in fattispecie risarcitorie litisconsortili fondate (eventualmente anche su titoli diversi, ma) su di un unico fatto generatore di responsabilità, discorre condivisibilmente di garanzia propria, con conseguente, automatica estensione della domanda dell’attore al terzo chiamato (cfr. Cass. ss. uu. 13968/04 sulla differenza tra garanzia propria e impropria; Cass. 5057/010 e, sostanzialmente, la stessa Cass. 1748/05, impropriamente evocata dalla ricorrente): non senza considerare, nella specie, che il titolo di responsabilità in ipotesi ascritto al convenuto e al terzo chiamato non poteva che dirsi omogeneo, scaturendo per entrambi dal dettato normativo di cui all’art. 2051 c.c..

IL RICORSO INCIDENTALE EREDI C..

Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge;

erronea e/insufficiente e/o omessa motivazione in relazione alla violazione degli artt. 2043, 2051 c.c., a carico del comune di Arcole.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

Se l’obbligazione di custodia a carico dell’ente gestore della strada, ai sensi dell’art. 2051 c.c., permanga, in via esclusiva o concorrente, anche nell’ipotesi di conclusione di contratto di appalto avente ad oggetto lavori interessanti il tratto di strada teatro dell’evento.

Se la conseguente responsabilità vada a concorrere o meno con quella degli utenti della strada, coinvolti in un incidente nell’ambito del cantiere.

Il motivo è fondato – nei limiti in cui si è ritenuto specularmente fondata la censura mossa alla sentenza della corte veneta dalla ricorrente principale, dovendosi nella specie ritenere e affermare la concorrente responsabilità del comune di Arcole nella verificazione dell’evento mortale – e va, entro tali limiti, accolto quanto alla lamentata violazione di legge (attesa la indiscutibile conformità del quesito di diritto ai principi dettati da questa corte regolatrice in argomento), mentre, per la ragioni già esposte (mancanza assoluta del momento di sintesi espositiva del fatto controverso indicato come decisivo del giudizio sotto il profilo del vizio motivazionale) va dichiarato inammissibile quanto alla formulazione della doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), erronea e/o insufficiente e/o omessa motivazione in relazione all’accertata violazione degli artt. 141, 142, 145 C.d.S., a carico di Pe.Ro. e conseguente accertamento della sua corresponsabilità nella misura del 33% nella causazione del sinistro.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), erronea e/o insufficiente e/o omessa motivazione- scorretta interpretazione delle risultanze processuali in relazione alla ritenuta violazione dell’art. 105 C.d.S. a carico di C. P. e conseguente accertamento di sua corresponsabilità nella misura del 33% nella causazione del sinistro.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati volta che essi muovono, a vario titolo, articolate censure alla sentenza di merito in ordine alla ritenuta responsabilità concorrente di entrambi i conducenti dei veicoli, sono destituiti di fondamento.

La corte veneziana, con puntuale analisi degli elementi di fatto del procedimento, con ricostruzione logica e cronologica degli stessi sicuramente esente da vizi logico-giuridici, ha adottato un impianto motivazionale, incensurabile in questa sede in parte qua, idoneo a fornire ampia e congrua spiegazione (ff. 11-12 dell’impugnata pronuncia di merito) in ordine al proprio convincimento in forza del quale tanto il Pe. quanto il C. dovevano essere ritenuti corresponsabili, insieme con l’impresa P. – oltre che, per effetto della presente decisione, con lo stesso comune di Arcole, come avrà modo di accertare ih punto di quantificazione delle rispettive quote di responsabilità il giudice del rinvio – dell’evento di danno per il quale è ancor oggi processo.

Entrambi i motivi sono, pertanto, irrimediabilmente destinati ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello, dacchè essi, nel loro complesso, pur lamentando formalmente una (peraltro del tutto generica) violazione di legge e un (apparentemente) decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. I ricorrenti, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volgono piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inidonee a trovare ingresso in sede di legittimità perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse -ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), erronea e/o insufficiente e/o omessa motivazione in relazione al principio dell’integrale risarcimento del danno.

Il motivo non può essere accolto.

Pur lamentando, correttamente in punto di diritto, la mancata applicazione, da parte della corte territoriale, delle c.d. tabelle milanesi, i ricorrenti, diversamente da quanto sarebbe stato loro preciso onere (Cass. 12458/011), pretermettono, da un canto, di dar prova – in spregio al principio di autosufficienza del ricorso – di aver già formulato tale istanza in sede di appello, omettendo poi, dall’altro, la pur necessaria allegazione delle medesime tabelle, come viceversa ritenuto indispensabile dalla recente giurisprudenza di questa corte (Cass. 12458/011, cit.), cui il collegio intende dare senz’altro continuità.

Con il quinto motivo, si denuncia violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) in tema di decorrenza degli interessi sulle somme risarcitorie.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

Se debba o meno essere confermato l’orientamento della suprema corte circa la liquidazione degli interessi per il debito di valore (da fatto illecito) dalla data dell’evento, oltre alla rivalutazione monetaria.

Il motivo è manifestamente fondato, avendo la corte territoriale indicato, in sentenza, una data di decorrenza degli interessi del tutto diversa da quella dell’evento, data cui il giudice del rinvio conformerà la relativa liquidazione quoad tempus, secondo i criteri indicati da questa corte regolatrice con la sentenza n. 1712 del 1995.

Il sesto motivo del ricorso, avente ad oggetto la regolamentazione delle spese del giudizio di secondo grado, risulta assorbito nell’accoglimento, quantunque parziale, dei motivi che precedono, e la sua valutazione resta demandata al giudice del rinvio.

IL RICORSO INCIDENTALE EREDI PE..

Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2; insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla attribuzione di responsabilità per il sinistro de quo a Pe.

R..

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione della disposizione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2;

contraddittoria e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione alla attribuzione di pari responsabilità a Pe.Ro. e C.P. anzichè una minore responsabilità a Pe. rispetto a quella di C..

I motivi, che si concludono con un quesito di diritto correttamente formulato, sono inammissibili nella parte in cui, lamentando un vizio motivazionale, omettono del tutto la pur necessaria sintesi espositiva funzionale ad offrire esaustivamente ed autosufficientemente alla corte un chiaro e completo quadro del fatto decisivo erroneamente valutato sul piano motivazionale dal giudice territoriale, mentre risultano del tutto infondati quanto al denunciato vizio di violazione di legge per le medesime considerazioni svolte nell’esaminare gli speculari motivi esposti nel ricorso C. in punto di attribuzione di pari responsabilità ai due conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, considerazioni da intendersi qui interamente richiamate.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione art. 1224 c.c. e art. 1219 c.c., comma 2; omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla condanna al pagamento degli interessi sulle somme liquidate dalla data dell’1.1.2003 anzichè dalla data del fatto.

Il motivo, del tutto speculare a quello accolto in sede di esame del ricorso C., è, al pari di quello, manifestamente fondato e va pertanto accolto.

IL RICORSO INCIDENTALE EREDI M. – GERMANI D.M. – MA..

Con il primo motivo, si denuncia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2051 e 2055 c.c..

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto (di cui risulta evidente la ammissibilità alla luce dei criteri in precedenza indicati):

In presenza di un cantiere stradale, se la pubblica via è aperta al traffico,, sussiste l’obbligo di custodia del comune proprietario della strada ai sensi dell’art. 2051 c.c., e la responsabilità del medesimo comune, anche in via concorrente con quella dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 2055 c.c., per violazione del dovere di vigilanza in relazione ai danni causati dall’insufficienza della segnaletica di chiusura e delle relative opere interdittive da parte dell’appaltatore? Al quesito va data risposta incondizionatamente positiva, atteso che la questione di diritto che esso solleva, volta a censurare, al pari del 2^ e 4^ motivo del ricorso P. e del 1^ motivo del ricorso C., la erronea assoluzione del comune di Arcole da qualsiasi responsabilità risarcitoria, deve essere risolta nel senso auspicato dai ricorrenti per le medesime motivazioni svolte in sede di esame delle predette, analoghe doglianze.

Con il secondo motivo, si denuncia la illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 1, artt. 1223, 1224 e 2056 c.c..

La censura – analoga a quella mossa con il 5^ motivo del ricorso C. e con il 3^ motivo del ricorso Pe., avente ad oggetto l’erronea indicazione, da parte della corte territoriale, del dies a quo del computo degli interessi, è fondata per le medesime ragioni già esposte in sede di analisi di quelle doglianze, e va pertanto accolta al pari di esse secondo le indicazioni già fornite in proposito circa il criterio di computo degli interessi.

Con il 1 terzo motivo, si denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento per omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito da D.m.D., D.M.L. e Ma.Ma., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c..

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

L’omessa pronuncia su alcuni motivi di appello e/o su una domanda formulata dalle parti costituisce un vizio della sentenza che comporta la nullità della stessa per error in procedendo e/o comunque per erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.? Al quesito deve essere fornita risposta positiva, avendo la corte lagunare omesso del tutto di pronunciarsi sulla domanda di danno patrimoniale – ritualmente e tempestivamente introdotta dai ricorrenti, come emerge dagli atti rilevanti in parte qua riportati nell’esposizione del motivo di ricorso, in ossequio al principio della sua autosufficienza – nella parte in cui (ff. 17-18 della sentenza impugnata) ha esaminato la posizione dei D.m. e del Ma..

Con il quarto motivo, si denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento per omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito da M.G., S.A. e M.C. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c..

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto:

L”omessa pronuncia su alcuni motivi di appello e/o su una domanda formulata dalle parti costituisce un vizio della sentenza che comporta la nullità della stessa per error in procedendo e/o comunque per erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.? Anche a tale quesito deve essere fornita risposta positiva, avendo la corte lagunare – equivocando sul contenuto di un inciso della memoria depositata in quel grado di giudizio dalla difesa dei predetti ricorrenti – in sostanza omesso di pronunciarsi sulla domanda di danno patrimoniale – anche in tal caso ritualmente e tempestivamente introdotta dai ricorrenti come emerge dagli atti rilevanti in parte qua indicati nell’esposizione del motivo di ricorso, in ossequio al principio della sua autosufficienza – nella parte in cui (f. 17 della sentenza impugnata) si è occupata della posizione degli eredi M..

Il quinto motivo, avente ad oggetto la disciplina delle spese processuali, è assorbito nell’accoglimento delle censure che precedono e dal conseguente rinvio ad altro giudice per la nuova decisione di merito.

IL RICORSO INCIDENTALE “LE GENERALI ASSICURAZIONI”.

Il primo motivo di ricorso (che lamenta tanto un vizio di violazione di legge quanto un difetto di motivazione della sentenza impugnata) si conclude con il seguente quesito di diritto:

Il giudicante di merito rispetta o meno i principi di diritto che regolano la prova indiziaria, e segnatamente gli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè gli artt. 2727 e 2729 c.c., laddove giunga a presumere una circostanza partendo da una premessa priva della certezza e della correttezza (e se pertanto la corte di appello di Venezia abbia o meno violato il divieto di praesumptio de praesumpto presumendo l’indimostrata andatura lenta della Renault e sulla base di tale presunzione presumendo ulteriormente la derivazione dell’entità dei danni dalla Volvo e l’eccesso di velocità del Pe.)? Il secondo motivo di ricorso (che lamenta a sua volta sia un vizio di violazione di legge sia un difetto di motivazione della sentenza impugnata) si conclude con il seguente quesito di diritto:

Il giudice di merito è tenuto, nel rispetto dell’art. 2054 c.c., a procedere all’accertamento dell’efficienza causale spiegata nella produzione del sinistro dal comportamento dei conducenti cosi da verificare se la condotta di uno di essi abbia carattere assorbente tale da liberare l’altro conducente dalla presunzione di colpa? Entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente attesane la intrinseca connessione, sono destituiti di giuridico fondamento.

Come il collegio ha già avuto modo di rilevare nell’esaminare gli speculari motivi di doglianza degli altri ricorrenti incidentali aventi ad oggetto la condotta di guida del Pe. e del C., la sentenza impugnata si sottrae tout court alle critiche mossele in tal senso dalla ricorrente assicuratrice, avendo il giudice territoriale correttamente esaminato i fatti alla luce delle emergenze processuali, ricostruito la dinamica dell’incidente, analizzato le circostanze all’uopo rilevanti non in base ad una doppia, inammissibile presunzione derivativa, bensì sulla scorta di elementi fattuali che lo hanno ragionevolmente indotto ad affermare la concorrente responsabilità di entrambi i conducenti, come meglio si è avuto modo di esplicitare in precedenza, in sede di analisi dei motivi 2-3 del ricorso C. e 1-2 del ricorso Pe..

Il terzo motivo di ricorso, infine – che lamenta un vizio di contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per avere parificato la responsabilità concorrente dei conducenti pur in presenza di una più grave colpa del C. – risulta, prima ancora che infondato nel merito, per le considerazioni già esposte in sede di analisi dei motivi che precedono, inammissibile in rito, essendo omessa del tutto la sintesi espositiva del motivo che indichi, ex se, alla corte la decisività del fatto controverso e l’altrettanto decisivo vizio di motivazione da cui sarebbe affetta la pronuncia della corte veneziana.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata nei limiti di cui in motivazione, con rinvio del procedimento alla corte di appello di Venezia che, in altra composizione, provvedere anche alla liquidazione delle spese dell’odierno giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte, riuniti i ricorsi:

accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso P., ne rigetta il quinto e il sesto, ne dichiara inammissibili il primo e il terzo;

accoglie il primo e il quinto motivo del ricorso C. e ne rigetta il secondo, il terzo e il quarto, dichiarando assorbito in tale rigetto il sesto motivo;

accoglie il terzo motivo del ricorso PE. e ne rigetta il primo e il secondo;

accoglie il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso M. – D.M. – MA., in tale accoglimento assorbito il quinto motivo;

– rigetta il ricorso GENERALI ASSICURAZIONI;

cassa per l’effetto la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti per ciascuno degli indicati ricorsi e rinvia, anche per le spese dell’odierno giudizio di legittimità, alla corte di appello di Venezia in altra composizione.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2011

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