Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19126 del 07/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2010, (ud. 21/05/2010, dep. 07/09/2010), n.19126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12532/2005 proposto da:

S.F.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

MONTI PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato MARINI Giuseppe, che

lo rappresenta e difende, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

e contro

CONCESSIONARIO SERVIZIO NAZ. RISCOSSIONE PROV. ROMA BANCA MPS SPA;

– intimato –

sul ricorso 4853/2007 proposto da:

S.F.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

MONTI PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato MARINI GIUSEPPE, che

lo rappresenta e difende, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, AGENZIA

DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS) in persona del

Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA FINANZE, BANCA MPS CONCESSIONARIO SERVIZIO

NAZ. RISCOSSIONE PROV. ROMA, GERIT AGENTE RISCOSSIONE PROV. ROMA SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 18/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 31/03/2004 per il n. di r.g. 12532/05, sentenza n.

139/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 20/12/2005 per

il n. di r.g. 4853/07;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/05/2010 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato MARINI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il n. di r.g. 12532/05

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione, per il n. di r.g.

4853/07 l’inammissibilità del ricorso, in subordine il rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 18/7/04 del 31/3/2004 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva il gravame interposto dal contribuente sig. S.F.S. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Roma di rigetto dell’opposizione spiegata nei confronti di avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate Roma (OMISSIS) a titolo di I.R.P.E.F. per l’anno d’imposta 1993.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello il S. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria, effettuando altresì deposito ex art. 372 c.p.c..

Resistono con controricorso l’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’economia e delle finanze.

Con sentenza n. 139/08/05 del 31/3/2004 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio dichiarava inammissibile il ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 5, proposto dal contribuente sig. S.F.S. nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Regionale di Roma n. 18/7/04 del 31/3/2004 di rigetto dell’opposizione spiegata nei confronti di avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate Roma (OMISSIS) a titolo di I.R.P.E.F. per l’anno d’imposta 1993.

Avverso la suindicata decisione del giudice dell’appello il S. propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.

Resistono con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, e logicamente esaminato anzitutto il ricorso sub R.G. n. 4853 del 2007.

Con unico motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 395 c.p.c., n. 5, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, L. n. 289 del 2002, art. 16, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che il giudice dell’appello abbia erroneamente ritenuto applicabile nel caso la L. n. 289 del 2002, art. 16, in tema di sospensione delle liti fiscali pendenti suscettibili di definizione per condono, e conseguentemente erroneamente ritenuto non formatosi il giudicato, pur essendo decorso il termine di decadenza ex art. 327 c.p.c..

Lamenta che con sentenza n. 372/5/06 del 12/12/2006 la CTR del Lazio ha “espressamente escluso la condonabilità di tale lite fiscale”.

Il motivo è inammissibile.

Osservato anzitutto che dal ricorrente viene in realtà denunziato un errore non già di fatto bensì, se del caso, di diritto, va posto in ogni caso in rilievo che, giusta principio consolidato in giurisprudenza di legittimità, perchè il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere provata attraverso la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c., dell’intervenuto passaggio in giudicato (v. Cass., 8/5/2009, n. 10623; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., 2/4/2008, n. 8478; Cass., 22/5/2007, n. 11889; Cass., 3/11/2006, n. 23567).

Orbene, nel caso la sentenza il cui giudicato il ricorrente intende far valere nel presente giudizio, prodotta in atti con la citata memoria ex art. 378 c.p.c., non reca invero la suindicata attestazione.

Deve farsi quindi luogo alla disamina del ricorso sub R.G. n. 12532 del 2005.

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia “intervenuta cessata materia del contendere”.

Eccepisce che “la cartella di pagamento è stata definitivamente annullata a seguito di sentenza passata in giudicato (all. 2)”, instando per la declaratoria di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere.

Con il 2^ motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 39 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Lamenta che “Il giudizio concluso con sentenza passata in giudicato con cui è stata annullata la cartella di pagamento è stato instaurato precedentemente rispetto al presente giudizio (il numero di R.G. del primo è 21267/01 mentre quello del secondo è R.G. 21280/01)”.

Si duole che non sia stata invero dichiarata la litispendenza e conseguentemente disposta la cancellazione della causa dal ruolo, sicchè “la sentenza di 2^ grado è viziata”.

Con il 3^ motivo il ricorrente denunzia violazione del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Lamenta l’assoluta irrilevanza dell’attestazione fornita dall’Amministrazione in udienza relativa all’interrogazione fatta all’anagrafe tributaria”, depositata tardivamente ed inidonea a fornire la prova della tempestiva emissione del ruolo.

Con il 4^ motivo il ricorrente denunzia violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Lamenta che alla stregua della stessa “attestazione rilasciata per la prima volta in udienza pubblica in secondo grado dall’Ufficio” risulta che la consegna del ruolo al concessionario per la riscossione è avvenuta il 25/11/2001, laddove la notifica della cartella è stata effettuata solamente il 30/4/2001, e pertanto tardivamente, in quanto oltre l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo.

Con il 5^ motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che il giudice dell’appello gli abbia sostanzialmente imposto di dare la prova del fatto negativo, laddove gli richiede di provare l’eccezione di non aver percepito alcuna somma mediante allegazione della “documentazione comprovante la percezione della somma in questione”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito.

Sebbene l’esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sè stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonchè delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ed il ricorso per cassazione (v. Cass., 23/7/2004, n. 13830; Cass., 17/4/2000, n. 4937; Cass., 22/5/1999, n. 4998).

E’ cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto”, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (v.

Cass., 4/6/1999, n. 5492).

Allorquando con quest’ultimo viene come nella specie in particolare denunziato il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è infatti sufficiente una doglianza meramente apodittica e non seguita da alcuna dimostrazione, la stessa non consentendo alla Corte di legittimità di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali la pronunzia impugnata è fatta oggetto di censura (v.

Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 15/2/2003, n. 2312; Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Avuto riguardo al pure denunziato vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va per altro verso ribadito che esso si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr. Cass,, 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste invero nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., 7/3/2006, n. 4842;. Cass, 27/4/2005, n. 8718).

Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall’odierno ricorrente.

Già sotto l’assorbente profilo dell’autosufficienza, va posto in rilievo come il medesimo faccia invero richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto impugnato”, al “ricorso avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Roma”, all’atto di appello, all’atto di annullamento della cartella di pagamento impugnata “a seguito di sentenza passata in giudicato (all. 2)”, all'”attestazione fatta all’anagrafe tributaria … depositata tardivamente”, alla notifica del “ruolo”, alla “notifica della cartella impugnata, avvenuta il 30 aprile 2001″, all'”attestazione rilasciata per la prima volta in udienza pubblica in secondo grado” dalla controparte di cui lamenta la mancata o erronea valutazione, limitandosi a meramente rinviare agli atti del giudizio di merito, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

A tale stregua esso non pone questa Corte nella condizione di effettuare il richiesto controllo anche in ordine alla tempestività e decisività dei denunziati vizi, da condursi sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 172/1995, n. 1161).

Quanto al 1^ motivo va ulteriormente osservato che la sentenza il cui giudicato il ricorrente intende far valere il giudicato non reca invero la relativa attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c., risultando a tale stregua violato il principio al riguardo già più sopra ribadito.

In ordine al 5^ motivo va per altro verso sottolineato che, nel ritenere infondata la doglianza in sede di gravame di merito proposta circa il difetto di motivazione della cartella di pagamento impugnata, il giudice dell’appello ha viceversa ritenuto quest’ultima sufficientemente motivata (“Il contribuente … si è invece limitato ad asserire un difetto di motivazione non persuasivo, visto che si trattava di una pretesa descritta con sufficiente precisione e, quindi, assistita dall’enunciazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche sulle quali si sorreggeva”), a tale stregua invero non ingenerando, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, alcuna inversione dell’onere probatorio a carico del contribuente.

Emerge pertanto evidente che, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell’odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., n. 4, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa l’asseritamele erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di lettura dei medesimi diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr., da ultimo, Cass., 18/4/2006, n. 8932).

A tale stregua il medesimo allora sollecita, contro ius e cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto come nella specie già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte riunisce al presente il ricorso sub R.G. n. 4853 del 2007, che dichiara inammissibile. Rigetta il ricorso sub R.G. n. 12532 del 2005. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6,200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2010

 

 

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