Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19125 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/07/2021, (ud. 16/04/2021, dep. 06/07/2021), n.19125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4513-2019 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LISIPPO 33,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO GUERRINI, che lo rappresenta

e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA

851, presso lo studio dell’avvocato ANGELO PERRELLA FESTA, che lo

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4387/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/04/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

S.D. conveniva in giudizio il fratello M. dinanzi al Tribunale di Velletri affinchè fosse condannato al pagamento della somma di Euro 15.494,00 oltre che di Euro 3.750,00 e di Euro 500,00.

Deduceva che a seguito del decesso del genitore, con atto del 12/3/2003 aveva rinunciato alla sua quota di eredità, ma che tale rinuncia era priva di effetti, così che, avendo anche la sorella rinunciato alla quota ereditaria, la somma pagata dal fratello per la rinuncia andava rideterminata non già sull’originaria quota di un terzo, ma sulla maggiore quota del 50%.

In pari misura doveva essergli riconosciuto il corrispettivo per il mobilio ed aveva diritto alla restituzione della somma spesa per l’atto notarile di rinuncia.

A tal fine evidenziava che prima di tale rinuncia, con scrittura privata del 4/3/2003, aveva convenuto con il fratello M. che quest’ultimo avrebbe acquistato la sua quota ereditaria sull’appartamento caduto in successione solo a condizione che l’attore avesse rinunciato all’eredità.

Nella resistenza del convenuto il Tribunale adito con la sentenza n. 2232 del 13/11/2013 rigettava la domanda attorea, attesa l’inammissibilità della simulazione della rinuncia quale atto unilaterale.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 4387 del 27/6/2018, in parziale riforma della decisione impugnata, ha dichiarato che la quota dell’attore sul bene oggetto di causa era pari al 50%, dichiarando inammissibili le altre domande proposte.

Rilevava che in realtà con la scrittura del 4 marzo 2003 l’appellante aveva venduto al fratello la sua quota sul bene ereditario, e che l’acquisto era subordinato al fatto che lo stesso attore avesse poi rinunciato all’eredità.

Nella fattispecie risultava quindi applicabile l’art. 478 c.c., in quanto la rinuncia ai diritti successori era stata fatta dietro corrispettivo, importando quindi accettazione dell’eredità, e ciò a prescindere dal momento in cui il corrispettivo della rinuncia fosse stato effettivamente versato.

Peraltro, la vendita non riguardava l’intera quota ereditaria ma solo i diritti su di un singolo immobile.

Ne derivava che, avendo l’altra coerede, sorella delle parti in causa, a sua volta rinunciato all’eredità, la quota vantata dall’appellante era pari al 50%.

Le altre domande non potevano essere accolte, essendo correlate alla divisione degli altri beni caduti in successione, per la quale non era stata avanzata domanda.

Per la cassazione di tale sentenza S.M. ha proposto ricorso per cassazione, articolato su tre motivi.

Resiste con controricorso S.D..

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 478 in relazione all’art. 519 c.c..

Si rileva che la rinuncia all’eredità posta in essere dalla controparte non può essere inquadrata nella previsione di cui all’art. 478 c.c., e ciò perchè la rinuncia all’eredità può essere considerata inefficace solo se tra la data dell’apertura della successione e quella della rinuncia siano stati posti in essere comportamenti idonei a configurare un’accettazione tacita dell’eredità, che nella fattispecie risultano carenti.

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 478 c.c. in relazione all’art. 519 c.c..

Si rileva che l’art. 478 c.c. considera la rinuncia dietro corrispettivo come atto di accettazione dell’eredità, laddove nel caso di specie nessuna somma era stata versata all’attore.

Inoltre, la somma prevista nel contratto del 4/3/2003, con il quale si prevedeva l’acquisto da parte del ricorrente della quota spettante al fratello a condizione che questi avesse rinunciato all’eredità, costituiva corrispettivo non della rinuncia ma della quota del bene.

Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1351 c.c., in relazione all’art. 519 c.c., in quanto per la rinuncia all’eredità è previsto un particolare rigore formale che non è presente nella convenzione preliminare del 4/3/2003.

I tre motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.

In tal senso ritiene però il Collegio che, ferma restando la correttezza della conclusione alla quale è pervenuta la Corte distrettuale, si imponga la correzione della motivazione della sentenza d’appello.

Come si ricava dal tenore della motivazione del giudice di appello, ancorchè sia stato richiamato il contenuto della previsione di cui all’art. 478 c.c., che prevede che la rinuncia ai diritti di successione fatta verso corrispettivo a favore di alcuni soltanto dei chiamati importa accettazione, il fondamento dell’acquisto della qualità di erede ad opera dell’attore, e per la quota accresciutasi a seguito della rinuncia della terza chiamata alla successione, deve individuarsi, non già nella norma in esame, ma nella diversa previsione di cui all’art. 476 c.c., come peraltro esplicitato dallo stesso ragionamento dei giudici di appello.

Infatti, la sentenza gravata, partendo dal contenuto della scrittura privata, con la quale S.D. dichiarava di voler vendere la propria quota su di un bene caduto in successione al germano D., che subordinava l’acquisto alla previa rinuncia all’eredità (e ciò per evidenti ragioni di carattere fiscale, al fine di sottrarsi alla tassazione correlata alla conclusione di un atto traslativo, facendo risultare al fisco un acquisto dell’intero quale risultante dall’accrescimento della quota ereditaria del ricorrente a seguito delle rinunce dei fratelli), ha accertato che la vendita riguardava, non già l’intera quota ereditaria, ma la quota su di un singolo immobile, essendovi altri beni caduti in successione.

La stessa Corte distrettuale ha, quindi, individuato nella vendita dei diritti su di un singolo bene proveniente dalla successione il contenuto dell’accordo intercorso tra le parti, il che rende non conferente il richiamo alla previsione di cui all’art. 478 c.c., che ha invece riguardo all’ipotesi di rinuncia onerosa ai diritti di successione intesi unitariamente, e non anche ai diritti su di un singolo bene.

Tuttavia, l’atto con il quale il chiamato all’eredità dispone dei diritti su di un singolo bene caduto in successione comporta in ogni caso l’acquisto della qualità di erede ai sensi dell’art. 476 c.c., ponendosi quindi come un’ipotesi di accettazione tacita (cfr. in tal senso Cass. n 12753/1999, che ha ritenuto configurata un’accettazione tacita dell’eredità anche nella semplice promessa di alienazione di un singolo bene ereditario).

Ne deriva, quindi, che, come appunto sostenuto dalla stessa difesa del ricorrente, poichè è la stessa scrittura del 4 marzo 2003, con la dichiarazione dell’attore di voler alienare al germano la propria quota vantata sul bene caduto in successione a porsi come atto di accettazione tacita, la successiva rinuncia, anche a voler sostenere che sia avvenuta in assenza di un corrispettivo (dovendosi la somma versata imputare quale prezzo per la vendita della quota ereditaria come appunto sostenuto nel secondo motivo), è da reputarsi del tutto priva di efficacia, non potendosi rinunciare all’eredità una volta che sia stata acquisita la qualità di erede (semel heres, semper heres).

Ne discende altresì che ricollegandosi l’acquisto della qualità di erede all’accettazione tacita scaturente dalla vendita dei diritti su di un bene caduto in successione, diviene altresì irrilevante il rispetto nella scrittura privata oggetto di causa dei requisiti di forma prescritti per la rinuncia all’eredità, essendo invece sufficiente per l’alienazione di diritti su beni immobili il rispetto della sola forma scritta, che l’accordo del 4/3/2003 assicura.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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