Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19122 del 20/09/2011

Cassazione civile sez. III, 20/09/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 20/09/2011), n.19122

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10847-2009 proposto da:

C.M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato

STUDIO LEGALE MANFREDONIA E ASSOC., rappresentata e difesa

dall’avvocato LAROSA NICOLA giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE BARLETTA (OMISSIS), in persona del sindaco pro-tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L. ANDRONICO 24, presso lo

studio dell’avvocato ROMAGNOLI ILARIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ACCLAVIO GENNARO giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 279/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI, Terza

Sezione Civile, emessa il 16/03/2005, depositata il 18/03/2008;

R.G.N. 62/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito L’Avvocato LA ROSA NICOLA;

udito L’Avvocato ROMAGNOLI ILARIA per delega Avvocato ACCLAVIO

GENNARO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per p.q.r. accoglimento motivi 4 D e 4

E rigetto nel resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. C.F. e L.A.A., quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore M.G., convenivano in giudizio (nel gennaio 1995) il Comune di Barletta per il risarcimento del grave danno subito dalla minore, caduta per effetto dell’investimento da parte di una bicicletta, condotta da un ragazzo rimasto sconosciuto. Deducevano che l’incidente si era svolto al centro della città, lungo il Corso, a quell’ora isola pedonale.

Il Tribunale di Trani rigettava la domanda.

L’appello dei coniugi veniva rigettato, in parte correggendo la motivazione del primo giudice, dalla Corte di appello di Bari (sentenza del 18 marzo 2008).

2. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione C.M.G. – divenuta maggiorenne prima dell’unica udienza di appello – con quattro motivi, corredati da quesiti ed esplicati da memoria.

Resiste con controricorso il Comune di Barletta, eccependo il passaggio in giudicato della sentenza di appello per la tardività del ricorso per cassazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’eccezione sollevata dal Comune, logicamente preliminare, va rigettata.

1.1. La sentenza di appello, depositata il 18 marzo 2008, è stata notificata al difensore dei coniugi appellanti il 24 giugno 2008. Il ricorso per cassazione è stato proposto da C.M.G., divenuta maggiorenne nelle more del giudizio di appello, con atto notificato il 30 aprile 2009, nel termine annuale.

E’ pacifico che: – il difensore dei coniugi appellanti non aveva dichiarato l’intervenuta perdita della capacità processuale dei genitori, per la raggiunta maggiore età della figlia; – la sentenza impugnata non era stata notificata a C.M.G., ma ai suoi genitori.

1.2. Il Comune, nell’eccezione richiama Sez. Un., 28 luglio 2005, n. 15783, criticandola per il diverso trattamento che deriverebbe, a seconda che si tratti della morte della parte o della perdita della capacità della parte costituita. Conclude nel senso che, dovendosi ritenere legittima la notifica della sentenza di appello al difensore dei coniugi appellanti, sarebbe inutilmente decorso il termine breve di impugnazione, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto, nel termine annuale, dalla parte la cui maggiore età non era stata dichiarata nel processo.

1.3. La decisione delle Sez. Un. richiamata ha affermato il principio di diritto, secondo cui “qualora uno degli eventi idonei a determinare l’interruzione del processo (nella specie, il raggiungimento della maggiore età da parte di minore costituitosi in giudizio a mezzo dei suoi legali rappresentanti) si verifichi nel corso del giudizio di primo grado, prima della chiusura della discussione (ovvero prima della scadenza dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi dei nuovo testo dell’art. 190 cod. proc. civ.), e tale evento non venga dichiarato nè notificato dal procuratore della parte cui esso si riferisce a norma dell’art. 300 cod. proc. civ., il giudizio di impugnazione deve essere comunque instaurato da e contro i soggetti effettivamente legittimati: e ciò alla luce dell’art. 328 cod. proc. civ., dal quale si desume la volontà del legislatore di adeguare il processo di impugnazione alle variazioni intervenute nelle posizioni delle parti, sia ai fini della notifica della sentenza che dell’impugnazione, con piena parificazione, a tali effetti, tra l’evento verificatosi dopo la sentenza e quello intervenuto durante la fase attiva del giudizio e non dichiarato nè notificato.

Limitatamente, peraltro, ai processi pendenti alla data del 30 aprile 1995 – rispetto ai quali non opera la possibilità di sanatoria dell’eventuale errore incolpevole nell’individuazione del soggetto nei cui confronti il potere di impugnazione deve essere esercitato, offerta dal nuovo testo dell’art. 164 cod. proc. civ., come sostituito dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, nella parte in cui consente la rinnovazione, con efficacia ex nunc, della citazione (e dell’impugnazione) in relazione alle nullità riferibili ai nn. 1 e 2 dell’art. 163 cod. proc. civ. – il dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza, da parte del soggetto che propone l’impugnazione, essendo tale interpretazione l’unica compatibile con la garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.) – Un’esigenza di tutela della parte incolpevole non si pone, in ogni caso, rispetto all’ipotesi del raggiungimento della maggiore età nel corso del processo, che non costituisce un evento imprevedibile, ma, al contrario, un accadimento inevitabile nell’an – essendo lo stato di incapacità per minore età naturaliter temporaneo – ed agevolmente riscontrabile nel quando”.

1.4. Da tale principio il Collegio non intende discostarsi, anche in considerazione degli approdi della giurisprudenza successiva, che si sono sviluppati lungo la stessa linea direttiva.

1.4.1. Innanzitutto, va precisato che, rispetto al minore divenuto maggiorenne, il principio affermato dalle Sez. Un. nel 2005 è stato costantemente confermato (da ultimo, Cass. 15 febbraio 2007, n. 3455), in riferimento alla notificazione dell’impugnazione. Premesso che, già sulla base della sentenza delle Sez. Un. non può rinvenirsi differenza tra notifica dell’impugnazione e notifica della sentenza (ai fini dell’impugnazione), deve aggiungersi che per la notifica della sentenza un’applicazione si registra nella materia fallimentare. Si è affermato, infatti, che “Qualora il fallimento della parte intervenga nel corso del giudizio di primo grado senza che l’evento interruttivo sia dichiarato, la sentenza – i cui effetti non siano espressamente limitati al rientro in bonis del fallito – deve essere notificata nei confronti del curatore; pertanto, la notifica effettuata al fallito personalmente non è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare e la curatela può proporre appello nel termine di un anno dal deposito della decisione”. (Cass. 22 maggio 2007, n. 11848).

Inoltre, il profilo della notifica della sentenza è venuto autonomamente in rilievo rispetto alla morte del procuratore. Le S.U. hanno ritenuto che “In caso di morte del procuratore costituito dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ma prima dell’udienza di discussione della causa, il termine breve per l’impugnazione decorre dalla notifica personale della sentenza alla parte rimasta priva di difensore, senza che assuma rilievo la mancata conoscenza incolpevole dell’evento interruttivo verificatosi (benchè non dichiarato) ai danni della parte stessa; da un lato, invero, in questa fase processuale di transizione, la parte non può sottrarsi all’onere dì informarsi circa le ragioni dell’avvenuta notifica alla sua persona e non al difensore, e, dall’altro, nessun dovere di avvisare la controparte della morte del suo difensore ricade sulla parte notificante”. (Sez. Un. 8 febbraio 2010, n. 2714).

1.4.2. Quanto alla morte della parte – che il controricorrente evoca per criticare la decisione delle S.U. del 2005 – va rilevato che negli anni successivi (in due importanti decisioni delle Sez. Un.) è emersa una linea evolutiva volta a dare rilievo alla notifica (dell’impugnazione) agli eredi, senza attribuire rilevanza sia al momento in cui il decesso è avvenuto, sia all’ignoranza dell’evento, anche incolpevole.

La decisione del 2009, secondo cui “L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; ove l’impugnazione sia proposta invece nei confronti del defunto, non può trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 291 cod. proc. civ.” (Principio enunciato dalla S.C. in riferimento ad un giudizio iniziato in epoca anteriore alla L. 26 novembre 1990, n. 353). (Sez. Un. 16 dicembre 2009, n. 26279. Il principio è stato poi costantemente riaffermato.

Quella del 2010, secondo cui “L’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa (o parzialmente vittoriosa), deve essere rivolto agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dall’eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente; detta notifica – che può sempre essere effettuata personalmente ai singoli eredi – può anche essere rivolta agli eredi in forma collettiva ed impersonale, purchè entro l’anno dalla pubblicazione (comprensivo dell’eventuale periodo di sospensione feriale), nell’ultimo domicilio della parte defunta ovvero, nel solo caso di notifica della sentenza ad opera della parte deceduta dopo l’avvenuta notificazione, nei luoghi di cui al primo comma dell’art. 330 cod. proc. civ.” (Sez. Un. 18 giugno 2010, n. 14699).

1.4.3. Pertanto, il ricorso è tempestivo, in quanto proposto entro l’anno (aumentato dei tempi della sospensione feriale) dalla pubblicazione della sentenza di appello, non notificata a C. M.G., divenuta maggiorenne nelle more del giudizio di appello.

2. Con il primo motivo del ricorso principale, si deduce la violazione degli artt. 300 e 101 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, con conseguente nullità della sentenza. Sostanzialmente si lamenta che la sopravvenuta maggiore età avrebbe dovuto essere rilevata dal giudice di appello (emergendo dagli atti) e che la mancata rilevazione, con la prosecuzione del giudizio nei confronti dei genitori, avrebbe comportato la lesione del contraddittorio nei confronti dell'(ex) minore, oramai legittimato, con conseguente nullità della notifica della sentenza ai genitori.

Il motivo è, in parte assorbito, in parte infondato. Resta logicamente assorbito nella parte in cui tende a far valere la nullità della notifica della sentenza ai genitori, stante il rigetto dell’eccezione del Comune (p. 1).

E’ infondato nella parte in cui deduce la nullità della sentenza per violazione del contraddittorio, sulla base del principio consolidato, secondo cui “La rappresentanza processuale del minore non cessa automaticamente allorchè questi diventi maggiorenne ed acquisti, a sua volta, la capacità processuale, rendendosi necessario che il raggiungimento della maggiore età sia reso noto alle altre parti mediante dichiarazione, notifica o comunicazione con un atto del processo. Tale principio dell’ultrattività della rappresentanza opera – tuttavia – soltanto nell’ambito della stessa fase processuale, attesa l’autonomia dei singoli gradi di giudizio”. (da ultimo, Cass. 2 settembre 2010, n. 19015).

3. Con i successivi motivi di ricorso si deduce insufficienza e contraddittorietà della motivazione sui punti decisivi della controversia e sulla valutazione delle prove (secondo) e violazione degli artt. 2051, 2043 e 2697 cod. civ. e artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (terzo e quarto), oltre alla violazione del solo art. 112 cod. proc. civ. (solo terzo), in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

I motivi vanno trattati unitariamente per la stretta connessione.

3. 1. La sentenza impugnata si fonda sulle seguenti argomentazioni essenziali.

Il sinistro è avvenuto in zona pedonale, sulla quale è agevole esercitare i compiti di vigilanza; pertanto, soggetta alla custodia del Comune. Il sinistro è stato causato da un ragazzo (rimasto ignoto) alla guida di una bicicletta. E’ applicabile l’art. 2051 cod. civ. La responsabilità presunta in capo al custode può essere superata dalla prova del fortuito, comprensivo del fatto del terzo (o del danneggiato) che, quale causa esclusiva, può interrompere il nesso causale tra la cosa e il danno. Risulta provato che la zona era: delimitata da transenne, che lasciavano dei varchi, connaturali alla funzione e natura delle transenne; segnalata da cartelli, che vietavano l’accesso a tutti i veicoli, nessuno escluso; che i vigili urbani in servizio svolgevano ordinari compiti di sorveglianza, nè è ipotizzabile la loro presenza fissa ai varchi; non risulta provata la presenza di altri ciclisti nella zona. Pertanto, il Comune aveva predisposto sistemi idonei a segnalare che nella zona il traffico veicolare era interdetto e a scoraggiare eventuali trasgressori. La condotta del ciclista, non evitabile con l’adozione di normali accorgimenti interdittivi posti in essere da custode, si è inserita nel dinamismo causale del danno spezzando il nesso tra la cosa in custodia e il danno, esonerando il Comune dalla responsabilità che grava presuntivamente sul custode.

3.2. La sentenza impugnata, che correttamente inquadra la fattispecie nell’ambito dell’art. 2051 cod. civ., con conseguente presunzione di responsabilità del custode, salvo la prova del fortuito, che può essere anche costituito dal comportamento del terzo (anche danneggiato), incorre, però, in una contraddizione nella motivazione su un fatto controverso e determinante ai fini dell’esito del giudizio, Si tratta dell’esistenza delle transenne, che, insieme ai cartelli interdittivi del traffico – la cui presenza non è messa in discussione – costituiscono i normali accorgimenti del custode finalizzati al rispetto della zona pedonale.

Il giudice assume come pacifico, e ne da atto in più punti della motivazione, che al momento del sinistro la zona pedonale fosse delimitata da transenne e si sofferma piuttosto sui varchi lasciati dagli stessi, connaturali alla funzione. Su questa base ritiene idonee le misure poste in essere dal custode, unitamente ai cartelli interdittivi e alla presenza, almeno come ordinaria vigilanza dei vigili urbani.

Conseguentemente, ritiene non evitabile l’evento, causato solo dalla condotta imprudente del ciclista terzo. Omette di considerare, invece, e, comunque, di motivare, in ordine alla testimonianza del Comandante dei Vigili Urbani, il quale ha dichiarato, come evidenziato nel ricorso, di non essere certo che quelle sera “tutte le strade di accesso alla zona pedonale erano transennate”.

Per tale profilo il ricorso va accolto, con conseguente rinvio al giudice del merito.

3.3. Gli altri profili di censura, contenuti sempre nei motivi da secondo a quarto, sono, in parte inammissibili, in parte infondati.

Premesso che i motivi non contengono una vera e propria violazione di legge rispetto all’art. 2051 cod. civ., gli stessi sono inammissibili nella parte in cui si sostanziano nella censura delle valutazioni effettuate dal giudice del merito, attraverso la prospettazione di una valutazione diversa e favorevole alla ricorrente.

Per sostenere l’assenza di un controllo efficace da parte dei vigili nell’area pedonale si deduce che nelle testimonianze sarebbe emersa la contemporanea presenza di altri ciclisti. Ma, tale circostanza è stata espressamente ritenuta non provata dal giudice all’esito della valutazione delle prove, svolta con argomentazioni coerenti e sufficienti. Quanto alla mancata escussione dei vigili di turno quel giorno, la censura non può esaminarsi per difetto di autosufficienza, non emergendo dal ricorso chi ne aveva chiesto l’escussione e se il giudice aveva valutato o meno la richiesta.

Infine, è del tutto irrilevante – stante il principio di acquisizione della prova – l’utilizzo di risultanze probatorie comunque acquisite, anzichè in esito ad articolazioni probatorie del Comune. Con conseguente infondatezza del profilo di censura prospettato in riferimento agli artt. 112 e 115 cod. proc. civ..

3.4. In conclusione, rigettato il primo motivo, accolto il quarto motivo limitatamente alla contraddizione suddetta in riferimento alla presenza delle transenne, rigettati per il resto il secondo, terzo e quarto motivo, cassa in relazione la sentenza impugnata e rimette la causa al giudice del merito, anche per le spese del processo di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il quarto motivo del ricorso, per il profilo di cui in motivazione; rigetta per il resto i motivi di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2011

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