Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19120 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/07/2021, (ud. 16/04/2021, dep. 06/07/2021), n.19120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6617-2018 proposto da:

Z.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALADIER 43,

presso lo studio dell’avvocato EGIDIO LIZZA, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GUIDO PRINCIPE giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

01/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/04/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Roma con decreto n. 7096 del 1 agosto 2017 ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta da Z.C., con ricorso depositato in data 18/6/2012 in relazione all’eccessiva durata di una procedura esecutiva dinanzi al Tribunale di Benevento, nella quale lo Z., inizialmente unitamente ad altri, era debitore esecutato, ritenendo che il debitore sottoposto a procedura esecutiva non potesse vantare alcun diritto al ristoro del pregiudizio derivante e dalla durata eccessiva della procedura.

Nella specie emergeva anche l’inattività del debitore esecutato che per l’effetto aveva tratto vantaggio dalle lungaggini procedurali, essendo anche rimasto nel godimento del bene esecutato.

Per la cassazione di questo decreto Z.C. ha proposto ricorso sulla base di due motivi.

Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, con contestuale violazione dei principi elaborati dalla CEDU, quanto al rigetto della domanda proposta nella veste di debitore esecutato.

Si rileva che nella fattispecie la procedura esecutiva si era estinta, a seguito della rinuncia, dapprima del creditore pignorante e poi dell’inattività del creditore intervenuto.

In realtà l’assenza di pregiudizio per il debitore può presumersi esistente laddove la procedura abbia il suo esito ordinario, e cioè si concluda con l’aggiudicazione del bene, ma non anche nel caso in cui la procedura si estingua, lasciando quindi i beni nella titolarità dello stesso esecutato.

Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dei principi elaborati dalla CEDU, in quanto proprio sulla scorta di tali ultimi principi è stata ormai riconosciuta l’indennizzabilità del pregiudizio lamentato dal fallito, con la conseguenza che non vi sarebbero ragioni per addivenire ad una diversa soluzione per quanto concerne la posizione del debitore esecutato.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili ex art. 360 bis c.p.c., n. 1. Quanto al diritto al riconoscimento dell’indennizzo di cui alla L. n. 89 del 2001, ritiene il Collegio di dover assicurare continuità ai principi affermati da Cass. n. 29139/2019 (e poi confermati da Cass. n. 30492/2019 e Cass. n. 15497/2020) secondo cui di norma al debitore esecutato non spetta l’indennizzo oggetto di causa.

In tale decisione, la Corte dopo avere richiamato i precedenti favorevoli al debitore (Cass. n. 6459/12, secondo cui nel processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.; pertanto, anche il debitore esecutato, in quanto parte, è legittimato a richiedere l’indennizzo L. 24 marzo 2001, n. 89, ex art. 2, per l’irragionevole protrarsi del processo esecutivo; conf. Cass. n. 5265/03), ha ricordato altresì come fosse prevalente l’orientamento contrario (Cass. n. 17153/13) a base del quale vi era la convinzione che non ha diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del procedimento esecutivo il debitore esecutato che di norma, non ha alcun interesse al rapido svolgimento della procedura e, anzi, si avvantaggia del suo protrarsi, avendo mantenuto, come anche nel caso in esame, medio tempore il possesso giuridico del bene.

Ha poi evidenziato che a partire da Cass. n. 8540/15 si è osservato che il debitore esecutato, sebbene sia parte (non già nel senso del diritto processuale interno, ma ai soli fini in questione) del processo esecutivo, non è necessariamente percosso dagli effetti negativi di un’esecuzione forzata di durata irragionevole, atteso che dall’esito finale di tale processo egli ritrae essenzialmente un (giusto) danno. Pertanto, quella presunzione di danno non patrimoniale derivante dalla pendenza del processo, affermata in linea generale a partire dai noti arresti nn. 1338, 1339 e 1340/04 delle Sezioni Unite di questa Corte, ma negata dagli stessi precedenti con riguardo a situazioni specifiche, in particolare, quella del conduttore convenuto in giudizio per il rilascio dell’immobile locato, non può operare di regola quanto alla posizione del debitore esecutato. Questi, nell’ambito del procedimento di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, ha l’onere di allegare non un generico ma uno specifico suo interesse ad un’espropriazione celere, e di dimostrarne l’effettiva esistenza, nel rispetto degli usuali oneri probatori gravanti sulla parte attrice.

Infine, Cass. n. 89/16 ha osservato che il debitore esecutato rimasto inattivo non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicchè egli – a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo – è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi di opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica.

Il Collegio ritiene di dover fare propria tale soluzione e che pertanto debba affermarsi il principio per cui al debitore esecutato non compete alcun indennizzo salvo che dimostri uno specifico interesse ad una definizione celere della procedura espropriativa (conf. da ultimo Cass. n. 7044/2021; Cass. n. 1836/2021; Cass. n. 503/2021).

Le allegazioni del ricorrente sono però rimaste nel caso in esame del tutto generiche, avendo semplicemente lamentato una lungaggine della procedura esecutiva, una volta che, a seguito della rinuncia del creditore procedente, si era profilata la possibilità anche di una rinuncia del creditore intervenuto, il cui intervento aveva mantenuto attiva la procedura esecutiva. Pacifica, come riferito dal decreto impugnato, senza che sul punto sia stata mossa contestazione, è però la permanenza dello Z. nel godimento del bene durante tutta la pendenza della procedura, nè risulta allegato un pregiudizio effettivamente ricollegabile alla persistenza della trascrizione del pignoramento sul bene, mancando la dimostrazione che il ricorrente avesse tentato di alienare il bene nelle more della procedura e che il vincolo trascritto lo avesse impedito (trattandosi peraltro questo, ove sussistente, di pregiudizio patrimoniale e non a carattere non patrimoniale come quello invece spettante di norma in base alla L. n. 89 del 2001).

Nè risulta documentato, una volta intervenuta la rinuncia del creditore procedente (posto che solo a seguito della stessa il ricorrente prospetta che si sarebbe profilata la possibilità di un’estinzione della procedura) che questi si sia reso parte attiva al fine di favorire la chiusura della procedura, essendo riferito in ricorso che, a fronte delle iniziative del GE finalizzate a sollecitare le parti ad esplicitare quali fossero le intenzioni del creditore intervenuto, all’udienza a tal fine fissata per la data del 16/11/2011 non compariva nessuna parte nè lo stesso ricorrente, e ciò a conferma dell’assenza di uno specifico interesse del ricorrente ad una rapida definizione della procedura.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non sussistono i presupposti di legge sul raddoppio del contributo unificato (Cass. n. 2273/2019) come si desume da D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 (conf. Cass. S.U. n. 4315/2020).

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 aprile 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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