Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1912 del 25/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/01/2017, (ud. 10/11/2016, dep.25/01/2017),  n. 1912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3274-2011 proposto da:

N.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 34, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

DE PERSIS, rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO MIGNANO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

EUROSPIN LAZIO S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NEMORENSE 18, presso lo studio dell’avvocato MARIO MURANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI MONDAZZI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5310/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/06/2010 R.G.N. 8704/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito l’Avvocato DE PERSIS PAOLO per delega verbale avvocato MIGNANO

GIACOMO;

udito l’Avvocato MONDAZZI GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Roma respingeva la domanda proposta da N.G. nei confronti di Eurospin Lazio s.p.a. intesa a conseguire il riconoscimento della illegittimità del recesso intimatogli in data 5/11/2004 per giusta causa, con gli effetti reintegratori e risarcitori sanciti dalla L. n. 300 del 1970, art. 18. Il giudice adito riteneva comprovato l’addebito contestato al dipendente – consistito nel rifiuto reiterato di svolgere l’attività lavorativa, accompagnato da comportamenti sprezzanti e minacciosi – esprimendo altresì un giudizio positivo circa la sussistenza del requisito di proporzionalità della sanzione applicata rispetto alle mancanze ascritte.

Detta pronuncia rinveniva conferma nella sentenza della Corte distrettuale resa pubblica in data 14/6/2010.

A fondamento del decisum i giudici dell’impugnazione – per quel che in questa sede rileva – respingevano il gravame proposto dal lavoratore sul rilievo che, nello specifico, la circostanza che la decisione impugnata fosse stata assunta da un giudice diverso da quello cui era stata assegnata inizialmente, non costituiva motivo di nullità del procedimento e della sentenza, perchè ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 1 la nullità di un atto per inosservanza delle forme non può essere pronunciata se non è comminata dalla legge, e reputavano, quindi, configurabile una mera irregolarità, inidonea a produrre alcuna conseguenza negativa sugli atti processuali o sulla sentenza.

La Corte di merito rimarcava, altresì, la correttezza della determinazione del primo giudice di escludere la decadenza della società dalla prova per testimoni, attesa la genericità ed equivocità dell’ordinanza che fissava l’udienza di prosecuzione dell’istruttoria, con conseguente giustificazione della mancata citazione dei testi di parte resistente. Riteneva, quindi, l’atto espulsivo esente da vizi, sia con riferimento alla correttezza e tempestività della contestazione delle mancanze, sia con riferimento al requisito di proporzionalità ed alla assenza di un sotteso intento discriminatorio.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione il N. affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso la società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 25 Cost. nonchè degli artt. 273 – 274 e 174 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 4. Si lamenta che nel giudizio di merito sia stata consumata una violazione del principio del giudice naturale essendosi verificata una illegittima avocazione di poteri da parte di un primo giudice rispetto ad un giudizio assegnato alla conoscenza di altro magistrato.

2. Il motivo va disatteso per plurime concorrenti ragioni.

Non può sottacersi che la censura non si pone in linea con i principi affermati da questa Corte secondo cui ai fini della sussistenza del requisito della “esposizione sommaria dei fatti di causa”, prescritto, a pena di inammissibilità, per il ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, che in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, così da acquisire un quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione censurata e i motivi delle doglianze prospettate (in tali sensi, ex aliis, Vedi Cass. 12/6/2008 n. 15808, Cass. 9/3/2010 n.5660).

Nella fattispecie, la articolata vicenda processuale confluita nella individuazione del giudice chiamato a decidere la controversia in primo grado – che si deduce posta in essere in violazione del principio di precostituzione del giudice naturale – non risulta riportata con sufficiente grado di specificazione, non consentendo di definire con adeguato grado di chiarezza, una piena definizione degli elementi fattuali e giuridici in cui la vicenda scrutinata si inserisce.

3. Peraltro, i principi invocati a sostegno della doglianza appaiono privi di pregio, ove si faccia richiamo all’orientamento espresso da questa Corte in numerosi arresti – e che va qui ribadito – in base al quale non costituisce motivo di nullità del procedimento e della sentenza la trattazione della causa da parte di un giudice diverso da quello individuato secondo le tabelle, determinata da esigenze di organizzazione interna al medesimo ufficio giudiziario, pur in mancanza di un formale provvedimento di sostituzione da parte del Presidente del Tribunale, perchè, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 1 la nullità di un atto per inosservanza di forme non può esser pronunciata se non è comminata dalla legge e pertanto è configurabile una mera irregolarità, inidonea a produrre alcuna conseguenza negativa sugli atti processuali o sulla sentenza (vedi ex plurimis, Cass. 14/12/2007 n.26327, Cass. 27/12/2004 n.24018, Cass. 22/05/2001 n.6964).

L’identità della persona fisica del magistrato è infatti prescritta, a pena di nullità, solo fra il magistrato che recepisce le conclusioni all’udienza all’uopo fissata e quello che decide la causa; ne consegue che non sussiste nullità delle sentenza per vizio di costituzione del giudice – nella specie tribunale in composizione monocratica – nel caso di cambiamento tra il magistrato che istruisce la causa e quello che, avendo partecipato all’udienza di precisazione delle conclusioni, la decide, tenuto conto d’altronde che la sostituzione di giudici di pari funzioni, appartenenti al medesimo ufficio giudiziario, disposta al di fuori del procedimento di variazione tabellare, costituisce una mera irregolarità, e non incide sulla validità dei provvedimenti giudiziari adottati (vedi Cass. Sez. L, 7/4/2006 n. 8174).

Ribadito, quindi, che l’inosservanza del principio della immutabilità del giudice istruttore, sancito dall’art. 174 c.p.c., in difetto di una espressa sanzione di nullità, costituisce una mera irregolarità di carattere interno che non incide sulla validità degli atti e non è causa di nullità del giudizio o della sentenza (Cass. 24/7/2012 n.12912, Cass. 30/3/2010 n. 7622), deve concludersi che la pronuncia impugnata, in quanto conforme agli esposti principi, resiste alla censura all’esame.

4. Con il secondo mezzo di impugnazione si denuncia violazione degli artt. 175 e 177 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omessa, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si critica la sentenza impugnata per non aver accertato l’intervenuta decadenza dalla prova della società resistente per mancata intimazione dei testimoni all’udienza fissata dal giudicante.

5. Anche siffatto motivo va disatteso.

Non può infatti tralasciarsi di considerare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la questione inerente al rilievo della decadenza dalla prova ex art. 208 c.p.c. è devoluta alla discrezionalità del giudice di merito esulando dai poteri della Corte di cassazione accertare se l’esercizio di detto potere discrezionale sia avvenuto in modo opportuno e conveniente (vedi Cass. 19/6/2006 n. 14098, Cass. 1/9/2014 n. 18478).

6. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 7, 13 e 15 ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nonchè omessa, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ci si duole che la Corte territoriale, pur reputando ammissibile la documentazione prodotta in primo grado dal ricorrente, – ed avente ad oggetto l’avvenuto demansionamento, l’abbia ritenuta irrilevante ai fini dello scrutinio circa la illegittimità del successivo licenziamento intimato, con ogni conseguenza anche sul versante della proporzionalità del licenziamento intimato. Si deduce infatti che “la stretta relazione territoriale – temporale del trasferimento disposto in danno dell’esponente, in una all’indubbio demansionamento (accertato con sentenza n. 911/07) ponesse all’evidenza la strumentale iniziativa della datrice di lavoro come caratterizzante l’intero suo comportamento”.

7. La censura non è condivisibile.

Per costante giurisprudenza di questa Corte il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Suprema Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. Cass. 3/1/2014 n. 48, Cass. 30/7/2010 n. 17915).

Nello specifico, il motivo appare del tutto carente sotto il profilo considerato, non essendo riportato neppure in sintesi, il contenuto della documentazione che si assume ingiustamente trascurata, essenziale ai fini del vaglio relativo alla decisività dello strumento probatorio.

8. In ogni caso, gli esiti dello scrutinio del materiale istruttorio svolto dalla Corte distrettuale, in linea di principio riservato alla valutazione del giudice di merito, risultano sostenuti da motivazione congrua sotto il profilo logico, e corretta sul versante giuridico perchè coerente con i dicta di questa Corte secondo cui l’illegittimo comportamento del datore di lavoro consistente nell’assegnare il dipendente a mansioni inferiori a quelle corrispondenti alla sua qualifica può giustificare il rifiuto della prestazione lavorativa, purchè tale reazione sia connotata da caratteri di positività, risultando proporzionata e conforme a buona fede, dovendo in tal caso il giudice adito procedere ad una valutazione complessiva dei comportamenti di entrambe le parti. Tuttavia tale valutazione risulta superflua, qualora il lavoratore non si sia limitato al rifiuto della prestazione, ma abbia tenuto comportamenti autonomamente illegittimi, quali l’occupazione di spazi aziendali o l’uso di espressioni ingiuriose e sprezzanti nei confronti del datore o del superiore gerarchico (vedi Cass. 8/8/2003 n. 12001).

La Corte territoriale, si è, dunque, conformata agli esposti principi laddove ha argomentato che il lavoratore non potesse invocare “ai fini della valutazione della gravità della condotta sotto il profilo psicologico l’attenuante del demansionamento”, precisando che, una volta presentatosi in azienda, aveva rinunciato all’eccezione di inadempimento, rimanendo pertanto obbligato ad eseguire la prestazione assegnata secondo correttezza e buona fede.

La statuizione resiste, quindi, alla censura all’esame.

9. In definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Il governo delle spese del presente giudizio di cassazione segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre spese generali al 15% accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017

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