Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19119 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2020, (ud. 16/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19119

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23376-2018 R.G. proposto da:

Z.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via Alessandria

25, presso lo studio dell’avvocato Chiara Borromeo, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.I., elettivamente domiciliata in Roma, Via Merulana 141,

presso lo studio dell’avvocato Antonfrancesco Venturini, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5136/2018 del Tribunale di Roma depositata il

09/03/2018;

letta la proposta formulata dal Consigliere relatore ai sensi degli

artt. 376 e 380-bis c.p.c.;

letti il ricorso e il controricorso;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16 luglio 2020 dal Consigliere Dott. Cosimo

D’Arrigo.

 

Fatto

RITENUTO

Z.C. proponeva appello avverso la sentenza con la quale il Giudice di pace di Roma aveva accolto l’opposizione a precetto proposta da B.I. per eccessività dell’importo intimato.

Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice d’appello, respingeva il gravame ritenendo che l’appello fosse inammissibile in quanto sprovvisto della sottoscrizione del procuratore.

Avverso tale decisione lo Z. ha proposto ricorso per cassazione basato su sei motivi. La B. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. (come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197), ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata.

Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Diritto

CONSIDERATO

Occorre premettere che, pur avendo il Tribunale nel dispositivo pronunciato il rigetto dell’appello, nella sostanza lo ha dichiarato inammissibile, dovendosi ritenere assorbente la ratio decidendi basata sull’omessa sottoscrizione dell’originale dell’atto di impugnazione da parte del difensore.

Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, tali considerazioni devono ritenersi svolte ad abundantiam e non rappresentano vere e proprie rationes decidendi suscettibili di autonoma impugnazione (Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 – 01; successivamente, tra molte altre: Sez. 3, Sentenza n. 15234 del 05/07/2007, Rv. 598305 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015, Rv. 636624 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 11675 del 16/06/2020, Rv. 657952 – 01).

Tanto premesso, il ricorrente, con un “atto di impugnazione” neppure debitamente intestato alla Corte di Cassazione, con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la circostanza che la B., nel costituirsi in appello, non aveva eccepito la mancanza di sottoscrizione sull’originale dell’atto di impugnazione, bensì solo sulla copia a lei notificata, ed afferma che l’originale dell’atto d’appello era stato invece regolarmente sottoscritto.

La doglianza è erroneamente inquadrata fra i motivi di ricorso per cassazione previsti dalla legge, in quanto le eccezioni processuali e, più in generale, gli scritti e l’attività difensiva non costituiscono “fatti” il cui omesso esame dia luogo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ad ogni modo, anche reinterpretando il motivo come volto a denunciare un error in procedendo, ne va rilevata l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per difetto di specificità.

Infatti, a suffragio delle proprie affermazioni il ricorrente avrebbe dovuto, anzitutto, indicare – in modo diretto o quantomeno indiretto, mediante specifica localizzazione dell’atto in questione – l’esatto contenuto dell’eccezione difensiva formulata dalla B.. Ed invece si limita ad affermare che “la difesa della signora B. aveva eccepito la mancata sottoscrizione dell’atto di appello notificato, ma non già sull’originale”, senza precisare neppure con quale atto sia stata formulata tale eccezione. In tal modo questa Corte non è stata posta nelle condizioni di valutare la fondatezza delle deduzioni del ricorrente, che risultano dunque carenti del requisito di specificità imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

In secondo luogo, lo Z. non ha neppure prodotto (o quantomeno localizzato nell’ambito del fascicolo di merito) l’originale dell’atto di citazione in appello, al fine di consentire a questa Corte di constatare la veridicità dell’affermazione secondo cui tale atto sarebbe stato debitamente sottoscritto.

Il ricorrente ha tentato di colmare il difetto di autosufficienza – già additato nella proposta di trattazione formulata ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. – con le successive memorie difensive. Ma il difetto originario di autosufficienza non può essere rimediato ex post, attesi i principi generali del giudizio di legittimità in punto di non integrabilità del ricorso introduttivo con alcun altro atto introduttivo successivo al termine originario di impugnazione. Infatti, nel processo civile vige il principio di consumazione dell’impugnazione, in forza del quale la parte rimasta in tutto o in parte soccombente, esercitando il potere di impugnazione, consuma la facoltà di critica e di contestazione della decisione che la pregiudica, per cui non può proporre in prosieguo altri motivi o ripetere, specificare o precisare quelli già dedotti. Pertanto, il ricorso per cassazione deve essere proposto, a pena di inammissibilità, con unico atto avente i requisiti di forma e contenuto indicati dalla pertinente normativa di rito, con la conseguente radicale ed insanabile inammissibilità di un atto successivo che, ad integrazione del ricorso originario, tenda a colmare la mancanza di taluno degli elementi di validità (v. Sez. U, Ordinanza n. 6691 del 09/03/2020, in motivazione).

Nè, d’altro canto, può revocarsi in dubbio che il vizio formale rilevato dal Tribunale – e dal ricorrente non adeguatamente censurato configuri una causa di inammissibilità del gravame. Difatti, poichè l’art. 125 c.p.c. prescrive che l’originale e le copie degli atti ivi indicati devono essere sottoscritti dalla parte che sta in giudizio personalmente oppure dal procuratore, il difetto di sottoscrizione è causa di inesistenza dell’atto (nella specie, di appello), atteso che la sottoscrizione è elemento indispensabile per la formazione dello stesso (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1275 del 20/01/2011, Rv. 616037 01).

L’inammissibilità del primo motivo di ricorso determina il definitivo consolidamento della ratio decidendi di carattere preliminare che sorregge la decisione impugnata. Ciò comporta l’inammissibilità tanto delle ulteriori censure contenute nell’ambito del medesimo primo motivo, quanto di tutti quelli successivi, che concernono, nel loro complesso, censure relative al merito della decisione impugnata.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Il controricorso è tardivo, in quanto depositato oltre i termini di cui all’art. 370 c.p.c., il cui decorso non era sospeso nel periodo feriale ratione materiae.

Tuttavia, poichè l’intimato può comunque sempre partecipare alla discussione (art. 370 c.p.c., comma 1, secondo inciso) e considerato che le memorie difensive tengono il luogo, nel processo a trattazione camerale non partecipata, della discussione, all’intimato vittorioso spettano comunque le spese di lite, limitatamente a tale attività difensiva.

Ricorrono altresì i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, a carico della parte impugnante e soccombente, di un ulteriore importo pari al contributo unificato già dovuto per l’impugnazione proposta.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

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