Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19117 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/07/2019, (ud. 09/01/2019, dep. 17/07/2019), n.19117

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16051-2017 proposto da:

A.F., A.M., A.L.,

A.A., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato FAUSTO

A.;

– ricorrenti –

contro

C.M. in proprio e nella qualità di erede di

C.E., S.L., S.G., nella qualità di eredi di

C.E., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

VINCENZO DI LORENZO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 445/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 03/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

I sigg. A.A., A.F., A.L. e A.M., hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 445/16 della corte di appello di L’aquila che ha dichiarato inammissibile l’appello da loro stessi proposto avverso la sentenza n. 373/15 del tribunale di Chieti.

Gli intimati, nominati in epigrafe, hanno depositato controricorso.

In data 18/5/2018 i ricorrenti hanno depositato memoria “ex art. 378 c.p.c.” (recte: ex art. 380 bis c.p.c., comma 2,).

Nella pag. 21 della suddetta memoria i ricorrenti hanno chiesto “espressamente l’astensione del G.R., ovvero la sostituzione dello stesso da parte del Presidente, indotto in errore, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 51 e 395 c.p.c.”.

Il Collegio, con ordinanza interlocutoria n. 20760, depositata il 16 agosto 2018, ha disposto trasmettersi gli atti al Presidente titolare della sesta sezione civile per le determinazioni conseguenti alla suddetta istanza dei ricorrenti.

Il Presidente titolare della sesta sezione civile, con provvedimento del 6/9/2018 (depositato il 12/9/2018), rilevato che “le valutazioni in ordine all’istanza, ai sensi dell’art. 53 c.p.c.,

Preliminarmente, deve darsi atto che il procedimento camerale attivato con l’istanza di ricusazione è regolato dall’art. 53 c.p.c., comma 2, con le formalità partecipative ivi previste, quale disciplina speciale applicabile ratione materiae rispetto a quella di cui al D.L. n. 168 del 2016, convertito con modificazioni dalla L. n. 197 del 2016 (Cass. Sez. U., ord. 16/2/2017, n. 4098).

Va altresì premesso che gli istituti dell’astensione e della ricusazione costituiscono il necessario corollario processuale del principio di imparzialità del giudice, di rango costituzionale, e – con particolare riguardo alla ricusazione, quale strumento volto a far valere concretamente la terzietà del giudice – che la stessa mira a soddisfare non soltanto un interesse generale dell’amministrazione della giustizia, ma anche un diritto soggettivo della parte, alla luce sia dell’art. 6 Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sia del nuovo testo dell’art. 111 Cost., postulandone la tutelabilità giurisdizionale attraverso un procedimento che si conclude con una ordinanza che ha natura decisoria (Cass. Sez. U., 20/11/2003, n. 17636; Cass. Sez. U., 22/7/2014, n. 16627).

Tuttavia le ipotesi di ricusazione sono pacificamente ritenute tassative (Cass., Sez. U., 08/10/2001, n. 12345; Cass. 27/08/2003, n. 12525), così come tassativi sono i casi in cui sussiste il dovere del giudice di astenersi, non potendo l’ordinamento consentire illimitatamente alle parti di ricusare il giudice o a qualunque giudice-persona fisica di astenersi dal decidere: il limite dell’astensione e della ricusazione è dato, da una parte, dal diniego di giustizia, dall’altra, dalla necessaria soggezione alla giustizia.

Orbene, a fronte del contenuto della proposta del relatore nel senso dell’inammissibilità del ricorso, nella memoria depositata il 18 maggio 2018 il ricorrente ha chiesto espressamente l’astensione ovvero la sostituzione del relatore, richiesta, questa, da intendersi quale volta a ricusare il magistrato autore della proposta, e ciò sul presupposto dell’erroneità delle conclusioni di cui alla stessa proposta, tacciata di essere “manifestamente apodittica e contraddittoria con le risultanze, la legge e la giurisprudenza, col ricorso ed allegati” (pag. 1), aggiungendosi altresì a pag. 9 che il relatore si sarebbe rivelato “di parte”.

Ad avviso del Collegio non ricorrono le condizioni per l’accoglimento dell’istanza di ricusazione. In particolare, non è invocabile l’ipotesi di cui all’art. 51, n. 4 (relativo a chi ha conosciuto in altro grado del processo), poichè – a prescindere dalla evidente diversità della situazione qui in esame rispetto a quella ipotesi – è decisivo comunque il rilievo che la predisposizione della proposta da parte del consigliere relatore è prevista dalla legge. In tal senso valga il richiamo alla costante giurisprudenza di questa Corte la quale – in relazione alla previgente disposizione di cui all’art. 380 bis c.p.c. (che prevedeva la compilazione da parte del relatore di “una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia”, non già di una semplice proposta, come oggi avviene in conseguenza della novella di cui al D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. e), conv. in L. n. 197 del 2016) – ha costantemente ribadito che non è dato ricusare ad opera delle parti il relatore. In tal senso si era evidenziato che la relazione delineata dall’art. 380 bis non era nè un segmento di decisione (pur revocabile) sottoposto alla “approvazione” del Collegio nè una qualificata opinione versata agli atti: era una proposta di definizione processuale accelerata che traeva le mosse dalla ricorrenza delle condizioni normative di cui all’art. 375 c.p.c., nn. 1 – 2 – 3 – 5 ed indicava alle parti ed al Collegio l’ipotesi di siffatta ricorrenza. Per rendere chiara e “discutibile” tale proposta il relatore non doveva limitarsi ad una indicazione sintetica conclusiva, ma doveva formulare una concisa relazione che, all’esito della sintetica narrativa, offrisse pubblica attestazione delle ragioni di fatto e di diritto alla base della proposta. Tale meccanismo processuale trovava poi una sua giustificazione razionale nella medesima esigenza di provocazione del contraddittorio presidiata dall’art. 384 c.p.c. (come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006), là dove prevede che la decisione su questioni rilevabili d’ufficio dal Collegio debba essere preceduta dalla assegnazione alle parti di un termine per formulare osservazioni, nonchè dall’art. 101 c.p.c.(come modificato dalla L. n. 69 del 2009). Si è reputato quindi evidente che la relazione di cui al testo previgente dell’art. 280 bis c.p.c. non avesse efficacia decisoria e che la stessa non potesse in alcun modo considerarsi come una sorta di anticipazione del giudizio da parte del consigliere relatore. Sempre in tale prospettiva si è assimilata l’attività del consigliere relatore, in questa fase, a quella che viene svolta dal giudice istruttore in applicazione dell’art. 182 c.p.c., con la conseguenza che non sussisterebbe alcun obbligo di astenersi nè per il consigliere relatore, nè per il presidente che ha fissato la adunanza di camera di consiglio ex art. 375 c.p.c., e ciò anche qualora il pubblico ministero o le parti private invochino la erroneità delle considerazioni svolte nella relazione (in tal senso, Cass. n. 24140/2010; Cass. n. 18047/2008; Cass. n. 24612/2007; Cass. n. 9094/2007). Si è altresì evidenziato come siano anche insussistenti profili di sospetta illegittimità costituzionale del sistema atteso che, poichè la relazione si risolve in una mera ipotesi di decisione, il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c. dà vita ad un procedimento sostanzialmente bifasico per il quale possono valere le considerazioni già svolte dalla Corte costituzionale nei casi di provvedimento cautelare autorizzato ante causam e di successiva cognizione piena in sede di giudizio di merito (sentenza n. 326 del 1997), di decisione emessa ex art. 186 quater c.p.c. (ordinanza n. 168 del 2000), di rinvio cosiddetto restitutorio ex art. 354 c.p.c. (sentenza n. 341 del 1998).

Ritiene il Collegio che tali conclusioni, sebbene riferite alla previgente disciplina dell’art. 380 bis c.p.c. debbano essere tenute ferme anche a seguito della novella. La sostituzione della relazione con una proposta, che peraltro vede nella legge come destinatario il solo presidente, e non anche le parti (sebbene poi in sede di predisposizione del protocollo volto a dare attuazione alla riforma del 2016, si sia espressamente previsto che la proposta di trattazione camerale ex art. 380 bis venga notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione di udienza presidenziale, senza però che debba trasformarsi in una vera e propria relazione, essendosi indicato quale debba esserne il contenuto essenziale – art. 6 Protocollo del 15 dicembre 2016 tra Corte di cassazione, CNF ed Avvocatura Generale dello Stato), impone di mantenere ferma la conclusione circa l’impossibilità di ricusarne l’autore.

La volontà del legislatore di ridurre al minimo gli oneri motivazionali connessi alla proposta (sebbene poi tale determinazione sia stata temperata in sede di adozione del citato Protocollo) conferma la non decisorietà di tale atto, destinato semplicemente a fungere da prima interlocuzione tra il relatore ed il presidente del collegio, senza che risulti in alcun modo menomata la più ampia possibilità per il collegio stesso, all’esito del contraddittorio scritto con le parti e della discussione in camera di consiglio, di poter confermare ovvero rivisitare la proposta (cfr. Cass. n. 7605/2017 anche in relazione alla disciplina scaturente dalla novella del 2016), anche mediante la soluzione, alternativa alla decisione in sede camerale, di rinvio della causa alla pubblica udienza, come previsto dall’art. 380 bis c.p.c., u.c..

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento della pena pecuniaria di cui all’art. 54 c.p.c., determinata in dispositivo.

Il testo della presente ordinanza deve essere comunicato, ai sensi dell’art. 54 c.p.c., u.c..

Infine ritiene il Collegio che per i contenuti della memoria depositata il 18/5/2018, si renda opportuna la trasmissione degli atti del presente procedimento al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Chieti per le opportune valutazioni circa l’osservanza del dovere di probità e la conformità alla dignità ed al decoro della professione prescritto dall’art. 88 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento della pena pecuniaria di Euro 250,00 (duecentocinquanta/00).

Dispone trasmettersi a cura della Cancelleria copia degli atti del procedimento in questione al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Chieti per le determinazioni di sua competenza.

Manda la Cancelleria per le comunicazioni di cui all’ultimo comma dell’art. 54 c.p.c..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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