Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19116 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/07/2019, (ud. 12/12/2018, dep. 17/07/2019), n.19116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14442-2017 proposto da:

COMUNE DI MACCHIA D’ISERNIA, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIO MARIO

EPIFANIO;

– ricorrente –

contro

A.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 214/2017 del TRIBUNALE di ISERNIA, depositata

il 17/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Giudice di pace di Isernia, con sentenza depositata in data 31.03.2014, accoglieva l’opposizione proposta da A.F. avverso processo verbale di contravvenzione elevato a suo carico in ordine alla violazione dell’art. 142 C.d.S. e, per l’effetto, annullava il provvedimento impugnato. Il Tribunale di Isernia, con sentenza n. 214 del 2017, dichiarava inammissibile, ex art. 342 c.p.c., l’appello proposto dal Comune di Macchia d’Isernia, confermando la sentenza di primo grado.

Avverso la sentenza del Tribunale di Isernia il Comune di Macchia d’Isernia ha proposto ricorso per cassazione, fondato su tre motivi.

E’ rimasto intimato l’ A..

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore del ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

con il primo motivo parte ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 245 c.p.c., in relazione alla mancata ammissione della prova per testi da esso articolata fin dalla memoria di costituzione nel giudizio di primo grado, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ricondotto all’omessa ammissione della prova orale dedotta.

Il motivo è inammissibile.

La doglianza è, invero, priva del necessario requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in ordine alla mancata trascrizione delle circostanze poste a fondamento della prova per testi (assunta come dedotta fin dalla memoria di costituzione in primo grado) della cui immotivata mancata ammissione il ricorrente si è lamentato.

La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, consolidata nell’affermazione del principio secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio della necessaria specificità del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. ex multis, Cass. n. 17915 del 2010 e, da ultimo, Cass. n. 19985 del 2017);

– con il secondo motivo il Comune ricorrente, lamenta, per un verso, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè del D.L. n. 121 del 2002, art. 4, convertito nella L. n. 168 del 2002 e del D.M. 15 agosto 2007, art. 2, anche in relazione al D.Lgs. n. 231 del 2001 (e succ. modif. e integr.), per un altro, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere il Tribunale errato a dichiarare l’inammissibilità del primo motivo di appello poichè generico, essendo il giudice di primo grado incorso nel vizio di ultrapetizione.

Il motivo è inammissibile.

Sebbene secondo la giurisprudenza di questa Corte l’interpretazione delle domande, delle eccezioni e delle deduzioni delle parti dia luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito e detto principio non trova applicazione quando si assuma che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) (Cass. n. 11738 del 2016), tuttavia, come ribadito recentemente (cfr. Cass. n. 22880 del 2017), anche in ipotesi di denuncia di error in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza a quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione dallo stesso prospettata.

Ne consegue che ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità per difetto di specificità di un motivo di appello, ha l’onere di riprodurre, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea la statuizione del giudice di appello, riportando il contenuto dell’atto di appello nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità.

Tali oneri non sono stati ottemperati nel caso di specie dal ricorrente, che non ha neppure enunciato in che termini il giudice di primo grado sarebbe incorso in un vizio di ultrapetizione rispetto all’opposizione proposta da A.F., limitandosi ad invocare una generica violazione dell’art. 112 c.p.c.;

– con il terzo motivo il Comune ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 97 disp. att. c.p.c. e dell’art. 6 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per avere il giudice di primo grado fondato il proprio convincimento sulla base di una C.T.U. predisposta in un altro giudizio.

Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che non ha respinto nel merito la doglianza del Comune, ma ne ha dichiarata l’inammissibilità per genericità e quanto a detta argomentazione valgono le considerazioni svolte con riferimento al secondo mezzo.

In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nessuna pronuncia sulle spese processuali in mancanza di difese da parte dell’intimato.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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