Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19116 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2020, (ud. 09/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1432/2019 R.G. proposto da:

B.C., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Agerli;

– ricorrente –

contro

Comune di Rivoli, rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Giovanna

Gambino;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Torino n. 4931/2018 depositata

il 22 ottobre 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 9 luglio 2020 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Il Tribunale di Torino ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda di B.C. diretta a ottenere la condanna del Comune di Rivoli al risarcimento dei danni subiti dalla propria autovettura, Volvo XC90, a seguito dell’intenso sforzo in retromarcia compiuto transitando lungo una strada stretta e ripida del centro storico ((OMISSIS)) nella quale si era immesso, diretto ad un ristorante della zona, non essendo segnalato il pericolo insito nella conformazione della strada, nè l’impossibilità, da parte di un veicolo omologato e di normali dimensioni, di percorrerla per intero.

Ha, infatti, ritenuto che l’evento fosse imputabile a fatto e colpa dello stesso danneggiato e configurasse pertanto caso fortuito idoneo a rappresentare unica causa del sinistro.

Ciò in quanto – ha osservato – “come emerge dalla documentazione fotografica… e dalla stessa narrazione dei fatti dell’appellante, lo stato di fatto dei luoghi appariva e non poteva non apparire perfettamente e chiaramente visibile (le caratteristiche della stradina medioevale in questione, quanto ad angustia, ripidità e presenza di curve a gomito non sono l’effetto di improvvisi sommovimenti o spostamenti del sedime stradale, ma sono le stesse caratteristiche proprie di quei luoghi da secoli…) e certamente incombeva all’utente della strada l’adozione delle normali cautele che gli avrebbero consentito di superare ogni eventuale situazione di pericolo, creata dall’imprudenza del conducente”.

3. Avverso tale decisione B.C. propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui resiste l’ente intimato depositando controricorso

4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia “omessa indicazione nelle conclusioni di parte appellante e l’omessa pronunzia da parte del Tribunale circa l’istanza di ammissione di nuovi documenti prodotti ex art. 345 c.p.c., comma 3, in riferimento all’art. 112 c.p.c. e all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)” (così nell’intestazione).

Rileva che nell’atto di citazione in appello aveva formulato “istanza di ammissione di nuovi documenti, in particolare nuove fotografie sullo stato attuale dei luoghi, ex art. 345 c.p.c.” in quanto, recatosi sui luoghi del sinistro dopo la definizione del giudizio di primo grado, aveva preso atto e documentato con fotografie il fatto che il Comune aveva nel frattempo apposto, all’inizio di (OMISSIS), la segnaletica stradale di divieto di transito ai veicoli larghi più di 1,80 m.

Lamenta quindi che, pur essendo stata tale istanza ritualmente formulata e verbalizzata in prima udienza e ribadita nelle conclusioni, di essa non risulta fatta alcuna menzione in sentenza, nè il Tribunale si è in alcun modo pronunciato sull’esistenza e sul valore probatorio dei documenti.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “omesso esame… circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”.

Lamenta che il Tribunale ha esaminato la questione oggetto di doglianza – ossia l’omessa colposa segnaletica circa uno stato di fatto del tutto imprevedibile ed inaspettato, integrante per il sig. B. insidia o trabocchetto – ma ha escluso la sussistenza di un’insidia o di un trabocchetto, caratterizzata sotto il profilo oggettivo dalla non visibilità e sotto quello soggettivo dalla non prevedibilità, pretermettendo totalmente di considerare che, in realtà, e per lo stesso Comune di Rivoli, quella strada non era (al momento dei fatti) e non è oggi praticabile; anzi lo stesso Comune ne vieta (oggi) l’accesso.

Ciò, per l’appunto, per non aver preso in considerazione la successiva apposizione sui luoghi di segnaletica di divieto di transito per veicoli di dimensioni eccedenti la larghezza di 1,80 m.

Contesta, quindi, come errata ed apodittica l’affermazione conclusiva contenuta in sentenza secondo cui “l’apposizione della segnaletica risulta addirittura superflua e la sua mancanza non riveste contributo causale di sorta al verificarsi dell’allegato evento lesivo”, osservando che, al contrario, l’essere stata tale segnaletica successivamente apposta dimostrava l’importanza ad essa assegnata dallo steso ente.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 112,115 e 167 c.p.c. per avere il Tribunale omesso di considerare la non contestazione di tutte le circostanze poste a fondamento della domanda risarcitoria, relative alle caratteristiche della strada ed alla dinamica dei fatti e per avere piuttosto ricostruito quest’ultima in termini difformi e non corrispondenti al vero.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 14C.d.S..

Sostiene che il Comune, avendo omesso di apporre la

necessaria segnaletica, salvo poi porvi rimedio dopo il sinistro, ha violato la suindicata norma del codice della strada (che impone agli enti proprietari delle strade, “allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione”, di provvedere alla “apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”) e che ha così pertanto consentito, con colpa grave, che si creasse la situazione di pericolo o insidia o trabocchetto nella quale egli si è trovato.

Ne consegue – argomenta il ricorrente – che ogni conseguenza dannosa, eziologicamente connessa a tale inadempimento, debba essere posta a carico dell’Ente proprietario.

5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, infine, “violazione o falsa applicazione della L. n. 247 del 2012 e relativo regolamento ministeriale recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, D.M. n. 55 del 2014, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma, n. 3)”.

Lamenta che l’importo liquidato per spese di soccombenza poste a suo carico (pari ad Euro 3.800, oltre accessori di legge) eccede il massimo consentito dal menzionato decreto per lo scaglione di riferimento.

6. Il primo motivo è inammissibile.

Il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 05/07/2016, n. 13716); a fortiori non determina nullità della sentenza l’omessa indicazione, nelle conclusioni, della richiesta istruttoria poi di fatto disattesa (v. Cass. 09/05/2018, n. 11150).

7. Il secondo motivo è infondato.

Come si rimarca anche nella memoria, il fatto storico di cui si lamenta omesso esame è rappresentato dalla apposizione, in epoca successiva al fatto, di segnaletica di divieto di transito nella strada in questione per veicoli di larghezza superiore a metri 1,80.

Di tale fatto si argomenta la rilevanza sul rilievo che esso avrebbe dimostrato che, secondo valutazione seppur tardiva dello stesso Comune, la strada poteva costituire una insidia per chi vi si fosse immesso alla guida di veicoli che non rispettassero quei limiti dimensionali.

In realtà, però, come si evince dalla stessa illustrazione del motivo, la sentenza impugnata prende in esame l’assunto difensivo e lo giudica infondato per ragioni che espressamente escludono la rilevanza della assenza di segnaletica al momento del fatto (e, per implicito, dunque, anche della sua successiva apposizione). Ivi si osserva infatti (pag. 16) che “la carenza di segnaletica posta a base della domanda del B. non sussiste, posto che la ristrettezza della carreggiata della (OMISSIS) appare da subito evidente per gli utenti che, provenienti da (OMISSIS), intendano immettervisi, come pure è evidente l’andamento in discesa della strada. Evidenti sono pure, per chi decida comunque di inoltrarvisi, le strettoie e le curve a gomito. Ne deriva che l’apposizione della segnaletica risulta addirittura superflua e la sua mancanza non riveste contributo causale di sorta al verificarsi dell’allegato evento lesivo”.

Il fatto di cui si lamenta l’omissione dunque difetta, palesemente, di decisività nel percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito, e la contestazione che rispetto a tale valutazione è svolta dal ricorrente si appalesa meramente oppositiva ed estranea al paradigma censorio del vizio evocato.

8. Il terzo motivo è inammissibile per aspecificità.

La censura non coglie, infatti, l’effettiva ratio decidendi, che non consiste nella negazione della conformazione della strada in questione, quale posta a fondamento della pretesa risarcitoria, ma nella affermazione del rilievo causale esclusivo della condotta dello stesso danneggiato.

Si volge in sostanza a contestare la ricognizione del fatto quale operata in sentenza e, correlativamente, a sollecitare una nuova e diversa valutazione delle emergenze processuali, alla stregua però di operazione censoria non consentita in questa sede.

9. Il quarto motivo è parimenti inammissibile.

Anch’esso, lungi dall’indicare le affermazioni in diritto asseritamente in contrasto con l’art. 2051 c.c., allega un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (si contesta, fondamentalmente, la valutazione, di merito, della sussistenza del caso fortuito, identificato nel comportamento imprudente dello stesso danneggiato, tale da escludere il nesso causale tra cosa in custodia ed evento di danno).

10. E’ invece fondato il quinto motivo.

Il Tribunale ha liquidato le spese del grado, dichiaratamente in base al D.M. n. 55 del 2014.

Appare dunque evidente l’errore in cui è incorso il Tribunale, rappresentato dall’applicazione di uno scaglione superiore all’effettivo valore della causa, da determinare in base al valore della domanda, pacificamente e chiaramente indicato in Euro 4.037 (oltre rivalutazione e interessi il cui importo, però, atteso il breve lasso di tempo intercorrente tra fatto dannoso e citazione introduttiva non può aver fatto lievitare il credito azionato ad importo eccedente il massimo dello scaglione compreso tra Euro 1.101 ed Euro 5.200),

Non risultando lo svolgimento di attività istruttoria il massimo liquidabile per tre fasi in rapporto a tale scaglione è, infatti, pari ad Euro 2.916.

11. Con limitato riferimento a tale censura la sentenza impugnata va pertanto cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la liquidazione delle spese processuali dovute a controparte dall’odierno ricorrente per il secondo grado del giudizio di merito nell’importo complessivo di Euro 2.000, oltre accessori come per legge.

12. L’accoglimento parziale del ricorso giustifica l’integrale compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il quinto motivo di ricorso; rigetta i rimanenti; cassa la sentenza; decidendo nel merito, liquida le spese del giudizio di appello in Euro 2.000, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed oltre accessori come per legge.

Compensa integralmente le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

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