Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19116 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/07/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 06/07/2021), n.19116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34295-2019 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FABIO MAIDA;

– ricorrente –

contro

A.F., agente a mezzo del suo tutore A.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 53, presso lo

studio dell’avvocato GIORGIO FALINI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ROBERTO NAVA, MAURO PINI;

– controricorrente –

contro

L.A.R., R.M.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 2505/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROSSANA

GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 04.05.2010, R.R., premettendo che i genitori, R.V. e P.L., avevano, in data 17.11.1986, acquistato da S.A., il compendio immobiliare sito in (OMISSIS), censito al foglio (OMISSIS), mappate (OMISSIS), subalterno 1, conveniva in giudizio R.B., per sentir dichiarare l’avvenuto acquisto per usucapione dei beni censiti ai mappali (OMISSIS), subalterno 2 (fabbricato urbano) e (OMISSIS) (terreno agricolo) del medesimo foglio.

1.2. Si costituiva in giudizio R.B., contestando il ricorrere, in capo a parte attrice, dei requisiti per l’acquisto per usucapione della proprietà dei fondi ed affermando di aver compiuto, nel ventennio antecedente l’introduzione della causa, atti di interruzione del possesso tali da escludere l’intervenuto perfezionamento di tale forma di acquisto della proprietà.

1.3. Interveniva volontariamente in giudizio A.M., nella sua qualità di tutore del padre A.F., chiedendo il rigetto della domanda spiegata dalla R. e deducendo, a tal fine, che Se.Am., madre defunta nonchè dante causa di A.F., a seguito del vittorioso esercizio dell’azione di retratto agrario esperita nei confronti dei danti causa della R., era stata dichiarata proprietaria del fondo rustico oggetto di compravendita. Sosteneva, in particolare, l’Aldrovandi, che i cespiti dei quali la R. aveva chiesto accertarsi la compiuta usucapione a proprio favore erano stati oggetto del contratto di compravendita del 17.11.1986 e che il giudizio introdotto dalla quest’ultima avesse quale unica finalità quella di sottrarre al riscatto gli immobili oggetto della domanda.

1.4. Nelle more del giudizio, decedeva R.B. e il processo veniva riassunto dalle eredi dell’originaria convenuta, L.A.R. e R.M..

1.5. Il Tribunale di Modena, con sentenza del 20.01.2016, applicando i criteri ermeneutici indicati dagli artt. 1362 e ss. c.c., accertava e dichiarava che gli immobili della cui proprietà si controverteva erano ricompresi nell’oggetto della compravendita stipulata, in data 17.11.1986, tra S.A. e i coniugi R.V. e Pe.Lo..

1.6. Avverso tale sentenza interponeva appello R.R., lamentando l’erronea valutazione ed interpretazione delle risultanze documentali e, in particolare, del rogito del 17.11.1986, per aver il primo giudice, nell’adempimento di siffatta operazione ermeneutica, ritenuto prevalente il comportamento delle parti rispetto alle risultanze catastali, ritenute dal Tribunale superabili.

1.7.Con la sentenza quivi impugnata, la Corte d’appello di Bologna rilevava, in primis, l’inammissibilità del gravame proposto da parte appellante per carenza di interesse all’impugnazione, essendo quest’ultima stata riconosciuta proprietaria dei beni immobili oggetto di causa, conformemente a quanto dalla stessa richiesto in giudizio. Osservava, a tal proposito, la Corte che il fatto che il primo giudice fosse giunto a tale conclusione a seguito dell’intervento del terzo e in forza di un titolo diverso rispetto a quello dedotto dall’attrice rappresentasse circostanza irrilevante, considerato che si verteva in materia di diritti autodeterminati poichè il bene della vita che la R. chiedeva era il riconoscimento della piena proprietà delle porzioni immobiliari distinte ai mappali 38, sub. 2 e 71. Con riguardo, poi, all’operazione ermeneutica compiuta dal primo giudice nel ricomprendere i beni oggetti di contesa nell’atto di compravendita stipulato in data 17.11.1986, la Corte ne confermava la coerenza e logicità. Precisamente, la Corte, premettendo che, nel nostro ordinamento, le risultanze catastali non possono assurgere a definitivo accertamento della consistenza di un bene, rilevava come lo stesso rogito dell’86 faceva riferimento all’intero mappale 38, senza indicazione o distinzione dei subalterni. Inoltre, l’assenza dell’estensione del terreno suffragava il convincimento che la vendita fosse avvenuta a corpo e non a misura e comprendeva l’intero fondo rustico con il fabbricato rurale e l’area; infine, dalla condotta degli acquirenti emergeva che, al momento dell’immissione nel possesso del compendio compravenduto, i suoi genitori acquistavano la materiale ed esclusiva disponibilità anche delle porzioni immobiliari oggetto di controversia sicchè era inconfutabile l’inclusione nell’oggetto della compravendita del 1986 degli immobili oggetto di contesa.

2.Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso per cassazione R.R. sulla base di due motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso A.F., agente a mezzo del suo tutore A.M..

2.2. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente possibilità di definizione nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il Presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

2.3. In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte distrettuale erroneamente ritenuto la carenza di interesse all’impugnazione in capo a parte appellante per essere la stessa stata riconosciuta proprietaria dei beni immobili oggetto di causa, conformemente a quanto richiesto in giudizio. A sostegno di siffatta censura, parte ricorrente osserva come la Corte distrettuale, nel pervenire a siffatta conclusione, non avrebbe considerato il pregiudizio dalla stessa sofferto nell’essere riconosciuta proprietaria in forza di un titolo derivativo, il contratto di compravendita del 17.11.1986 e non già, come originariamente richiesto, in virtù di un titolo originario di acquisto, cioè per usucapione; il pregiudizio, secondo parte ricorrente, si concretizzerebbe nell’esposizione dei beni oggetto di giudizio all’azione di retratto agrario vittoriosamente esperita da Se.Am..

2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 1325,1346 e 1470 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte distrettuale erroneamente applicato le regole di interpretazione dei contratti, individuando l’oggetto del contratto sulla base dei dati catastali e per avere ricavato la comune intenzione delle parti sulla base di un’interpretazione fuorviante dei comportamenti tenuti dalle parti successivamente alla conclusione del negozio.

2.1. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.

2.2. Osserva il collegio come la corte distrettuale, pur avendo ritenuto che l’appello fosse inammissibile per carenza di interesse – in quanto l’appellante era stata riconosciuta proprietaria del bene in contestazione sulla base del titolo ha deciso la causa nel merito sulla base dell’interpretazione del contratto di vendita del 17.11.1986, con la quale la predetta aveva acquistato la proprietà dei beni oggetto del retratto agrario esercitato vittoriosamente da Se.Am., dante causa del terzo interveniente A.F..

2.3. Ne deriva che il rilievo in motivazione dell’inammissibilità dell’impugnazione per carenza di interesse da parte del giudice di appello è avvenuto “ad abundantiam” e costituisce un mero “obiter dictum”, che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui “ratio decidendi” è, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure, come del resto si evince anche dal dispositivo di rigetto dell’appello (Cass. Civ., Sez. n. 30354 del 18/12/2017).

2.4. Precisamente, la Corte, premettendo che, nel nostro ordinamento, le risultanze catastali non possono assurgere a definitivo accertamento della consistenza di un bene, rilevava come il titolo di proprietà del 17.11.1986 faceva riferimento all’intero mappale 38, senza indicazione o distinzione dei subalterni; inoltre, la mancata indicazione dell’estensione del terreno suffragava il convincimento che la vendita fosse avvenuta a corpo e non a misura ed era comprensiva dell’intero fondo rustico con il fabbricato rurale e l’area; infine, dalla condotta degli acquirenti emergeva che, al momento dell’immissione nel possesso del compendio compravenduto, i suoi genitori acquistavano la materiale ed esclusiva disponibilità anche delle porzioni immobiliari oggetto di controversia sicchè era inconfutabile l’inclusione nell’oggetto della compravendita del 1986 degli immobili oggetto di contesa.

2.5. La censura in esame è unicamente volta a dimostrare non l’erronea applicazione dei criteri ermeneutici tipizzati, ma l’astratta possibilità di una diversa ricostruzione del contenuto della volontà negoziale, venendo, in tal modo, la ricorrente ad opporre un risultato interpretativo difforme da quello accolto dal Giudice di merito, senza fornire, tuttavia, alcuna evidenza della assoluta ed oggettiva implausibilità del percorso ermeneutico cui la Corte territoriale è pervenuta.

2.6. Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui: a) l’interpretazione del contratto e, in genere, degli atti di autonomia privata, costituisce attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione; b) il motivo di ricorso con il quale si sostenga il malgoverno delle regole interpretative deve contenere non solo l’astratto riferimento agli articoli del codice che le sanciscono, ma altresì la specificazione dei canoni in concreto violati; c) va altresì in ogni caso precisato il modo in cui il giudice se ne è discostato e, quindi, le distorsioni che in concreto ha prodotto la denunciata violazione di legge (cfr. Cass. civ., n. 24461 del 18.11.2015, Cass. civ., n. 1406, 23.01.2007; Cass. civ., n. 2560, 15.11.2013).

2.7. In relazione a tale ultimo aspetto è preciso onere della parte ricorrente dedurre tale vizio in modo specifico: ed infatti la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato – onere completamente disatteso da parte ricorrente nel caso in esame -, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (cfr. Cass. civ., n. 22889, 25.10.2006; Cass. civ., Sez. L., n. 25728, 15.11.2013).

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

3.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile -2 della Suprema Corte di cassazione, il 20 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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