Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19115 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. I, 19/09/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 19/09/2011), n.19115

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.V., elettivamente domiciliato in Roma, via Calcutta

45, presso l’avv. D’Auria Alberto, rappresentato e difeso dall’avv.

D’Avino Arcangelo per procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di Napoli in data 21

ottobre 2008, nel procedimento n. 149/2007 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio in

data 25 maggio 2011 dal relatore, cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, dott. RUSSO Rosario Giovanni, che nulla ha

osservato.

Fatto

FATTO E DIRITTO

LA CORTE:

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

RITENUTO CHE:

1. B.V. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso il decreto in data 21 ottobre 2008, con il quale la Corte di appello di Napoli, ha rigettato il ricorso dal medesimo per il conseguimento dell’equa riparazione L. n. 89 del 2001, art. 2 a causa del superamento del termine ragionevole di durata di un giudizio dal ricorrente proposto davanti Tar Campania con ricorso depositato il 14 gennaio 2001 e definito con sentenza del 13 febbraio 2008;

1.1. il Ministero intimato ha resistito con controricorso;

OSSERVA:

2. con i tre motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, il ricorrente censura il decreto impugnato, per avere la Corte di merito escluso il diritto all’equa riparazione, in considerazione della infondatezza della pretesa azionata, ritenuta dal giudice amministrativo sulla base di consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato; infatti, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio, a meno che l’esito del processo presupposto non abbia un indiretto riflesso sull’identificazione, o sulla misura, del pregiudizio morale sofferto dalla parte in conseguenza dell’eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, o comunque risulti la piena consapevolezza – incompatibile con l’ansia connessa all’incertezza sull’esito del processo – dell’infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità. Tuttavia, dell’esistenza di ciascuna di queste situazioni, costituenti abuso del processo e perciò comportanti altrettante deroghe alla regola posta dalla norma, secondo il generale principio dell’art. 2697 cod. civ., deve dare prova la parte che la eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato pregiudizio, dovendo altrimenti ritenersi che esso si verifica di regola come conseguenza della violazione stessa e non abbisogna di essere provato sia pure attraverso elementi presuntivi (Cass. 2006/7139);

3. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulati, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”; B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio, dopo aver deliberato che la motivazione dell’ordinanza venga redatta in forma semplificata, ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione di cui sopra; ritenuto che, in base alle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del decreto impugnato; che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare – determinata in otto anni la durata complessiva del giudizio presupposto, protrattosi dal 14 gennaio 2000 (e non dal 14 gennaio 2001, come erroneamente rilevato nella relazione che precede) al 13 febbraio 2008, e stabilito in tre anni, secondo il criterio stabilito dalla CEDU e dalla giurisprudenza di questa Corte, il periodo di durata ragionevole di tale giudizio, con conseguente determinazione in cinque anni della durata non ragionevole – il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di cinque anni, l’indennizzo di Euro 4.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente;

ritenuto che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 4.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00 di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 665,00, di cui Euro 565,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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