Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19112 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. I, 19/09/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 19/09/2011), n.19112

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– ricorrente –

contro

R.E., + ALTRI OMESSI

;

– intimati –

avverso il decreto della Corte di appello di Roma del 28 maggio 2009

nei procedimenti riuniti sub n. 50694 del 2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

aprile 2011 dal relatore, cons. Dott. Stefano Schirò;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale, dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso il decreto in data 28 maggio 2009, con il quale la Corte di appello di Roma lo ha condannato al pagamento in favore di R.E., + ALTRI OMESSI della somma di Euro 6.000,00 ciascuno, oltre agli interessi legali a decorrere dalla data del decreto, a titolo di equo indennizzo per la violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al TAR Lazio con ricorso del 30 luglio 1997, non ancora definito e protrattosi per circa nove anni.

Gli intimati non hanno svolto difese. Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi tre motivi il Ministero ricorrente si duole della quantificazione dell’equo indennizzo, operata dalla Corte di merito nella misura di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo e complessivamente determinata nell’importo di Euro 6.000,00 per ciascuno degli aventi diritto, lamentando che non si era tenuto conto nè dell’inerzia dei ricorrenti dopo la presentazione dell’istanza di fissazione del processo nel 1997 e dell’istanza di prelievo nel 1999, nè della natura collettiva del giudizio presupposto, con conseguente diminuzione del patema d’animo subito. Con il quarto motivo il ricorrente deduce che la Corte di appello non si è uniformata alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la quantificazione deve essere di regola non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo in relazione ai primi tre anni di ritardo, dovendosi avere riguardo per gli anni successivi al parametro di Euro 1.000,00, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno. Merita accoglimento il quarto motivo, che deve ritenersi fondato alla stregua della giurisprudenza di questa Corte, in forza della quale il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, sulla base degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.

Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819). Sono invece privi di fondamento i primi tre motivi, in quanto la Corte di merito ha valutato le circostanze che secondo il Ministero ricorrente sarebbero state trascurate, espressamente motivando che “i ricorrenti non hanno avuto comportamento processuale dilatorio” e che l’indennizzo doveva essere determinato in Euro 6.000,00, pari ad Euro 1000,00 per anno di ritardo, tenuto conto della materia oggetto del processo e della modesta entità della posta in gioco.

Nessuna censura ha mosso il ricorrente in ordine a tali argomentazioni e le doglianze proposte si risolvono in critiche all’apprezzamento delle risultanze di causa compiuto dalla Corte di appello, non consentite in sede di legittimità e inammissibilmente mirate ad un riesame del merito della controversia da parte di questa Corte.

Il ricorso deve essere pertanto accolto nei termini sopra precisati e il decreto impugnato va cassato in ordine alla censura che ha trovato accoglimento. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, riconoscendo a ciascuno dei ricorrenti, in relazione ad una durata non ragionevole di sei anni, l’indennizzo di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), con distrazione delle spese relative al giudizio di merito in favore del difensore dei ricorrenti, dichiaratosi antistatario.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in ordine alle censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti R.E., + ALTRI OMESSI della somma di Euro 5.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 3.700,00 di cui Euro 1.500,00 per competenze ed Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle spese in favore del procuratore dei ricorrenti, avv. Pasquale Lattari, dichiaratosi antistatario. Condanna in solido gli intimati al pagamento in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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