Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19110 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 16/07/2019), n.19110

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4901-2018 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso

la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ELISABETTA RENIERI;

– ricorrente –

contro

B.D. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCESCO MANCINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3554/2017 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata

il 06/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con citazione 1-2-2013 B.D. propose opposizione a decreto ingiuntivo emesso, ad istanza di C.M., dal Giudice di Pace di Empoli a fronte di canoni di locazione non pagati, spiegando anche domanda riconvenzionale per Euro 6.300,00.

A sostegno dell’opposizione sostenne di avere pagato, in costanza del rapporto locatizio, un canone mensile di Euro 500,00 a fronte di quello minore (Euro 300,00) formalmente previsto in contratto; nello specifico dedusse di avere quindi complessivamente corrisposto Euro 18.000,00 (36 rimesse da Euro 500,00 ciascuna) a fronte di Euro 10.800,00 realmente dovuti, con conseguente suo credito per Euro 7.200,00, cui era da aggiungere la somma di Euro 600,00 a titolo di restituzione del deposito cauzionale a suo tempo versato; in conclusione, pertanto, operata la compensazione tra detta somma (Euro 7.800,00) e quella dallo stesso dovuta per canoni di locazione non pagati (Euro 1.500,00), risultava creditore per Euro 6.300,00, somma oggetto della spiegata riconvenzionale.

Con sentenza 176/2014 il Giudice di Pace di Empoli, previa revoca del d.i. opposto, condannò B.D. al pagamento della somma di Euro 900,00.

Con sentenza 3554 del 6-11-2017 il Tribunale di Firenze, in accoglimento dell’appello proposto da B.D., previa conferma della disposta revoca del d.i. opposto, ha accolto la domanda riconvenzionale ed ha condannato il C. al pagamento della somma di Euro 6.300,00, oltre interessi; in particolare il Tribunale ha considerato pacifico, e comunque provato, quanto dedotto dall’opponente, mentre ha ritenuto nulla L. n. 431 del 1998, ex art. 13, per difetto della forma scritta richiesta ad substantiam, l’intervenuta pattuizione verbale tra le parti di un canone superiore rispetto a quello previsto in contratto; la scrittura privata prodotta dal C., con la quale – a dire dello stesso – le parti si erano accordate per una maggiorazione del canone, era infatti datata 1-4-2007, e quindi anteriore al contratto di locazione in questione stipulato il 21-5-2009, sicchè non poteva che riferirsi ad altro e diverso contratto intercorso tra le medesime parti.

Avverso detta sentenza C.M. propone ricorso per Cassazione affidato ad unico motivo.

B.D. resiste con controricorso.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto della controversia, sostiene che il Tribunale abbia erroneamente ritenuto, senza che sul punto fosse intervenuta alcuna prova, che la detta prodotta dichiarazione afferisse a diverso contratto; in tema di locazioni abitative, inoltre, una lettura costituzionalmente orientata della L. n. 431 del 1998, art. 13, portava ad escludere la sanzione della nullità per l’ipotesi di mancata registrazione di un accordo ulteriore intercorso tra le parti.

Anche a prescindere dalla mancata rituale produzione della copia notificata della sentenza impugnata, il motivo è inammissibile, in quanto non in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014.

Nel caso in esame il ricorrente non indica alcun fatto storico omesso dal giudice di merito, limitandosi a dedurre, secondo la vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della impugnata sentenza.

Nè la motivazione può ritenersi solo apparente ed in violazione del “minimo costituzionale” di esternazione dei motivi.

Costituisce consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez unite 8053 e 8054/2014); nella specie il tribunale, come agevolmente desumibile dalla su esposta sintesi dell’impugnata sentenza, ha espresso le ragioni della adottata decisione, con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili.

Il motivo è, comunque, inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, anche per difetto di specificità, non essendo riportato il contenuto della invocata dichiarazione scritta intercorsa tra le parti nè indicato dove la stessa è stata prodotta nel corso del giudizio, sicchè non è stata consentita a questa Corte il compiuto esame della doglianza.

Il motivo è, infine, inammissibile anche con riferimento alla dedotta non applicabilità, nel caso di specie, della L. n. 431 del 1998, art. 13.

Ed invero, anche a prescindere dal rilievo che siffatta deduzione è stata sollevata nell’ambito del denunciato vizio motivazionale, senza quindi alcun riferimento ad una violazione di specifica norma e con argomenti che non consentono di individuare le norme e i principi di diritto asseritamente trasgrediti (Cass. 21819/2017), non può comunque dubitarsi che, in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, la nullità prevista dalla L. n. 431 del 1998, art. 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente (Cass. S.U. 12213/2015; Cass. 20881/2018).

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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