Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19109 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 16/07/2019), n.19109

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4043-2018 proposto da:

M.D.M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato LORIS LUCA MANTIA;

– ricorrente –

contro

S.S.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1236/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CAGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con citazione 27-2-2009 S.S.G. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo M.D.M.M.E. per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 16.200,00 a titolo di risarcimento del danno subito in conseguenza del reato di calunnia dalla stessa commesso mediante proposizione di una denunzia-querela in ordine a notitia criminis rilevatasi poi infondata.

A sostegno della domanda risarcitoria espose che: il Condominio (OMISSIS) aveva istituito una Commissione (della quale faceva parte l’attore) alla quale era stato affidato il compito di esaminare il bilancio consuntivo relativo all’anno 2005 redatto dalla M.D.M., quale amministratrice pro tempore del Condominio; che la detta Commissione aveva riscontrato una “duplicazione” della voce di spesa attinente al compenso stanziato dal Condominio quale corrispettivo per l’elaborazione della certificazione fiscale – ex L. n. 449 del 1997, art. 1, comma 3 – relativa ai lavori di ristrutturazione dell’edificio fiscale; che, in particolare, la Commissione aveva rilevato che siffatto compenso, pari ad Euro 550,00, era stato corrisposto una prima volta (nel 2005) direttamente alla M.D.M., non accompagnato tuttavia da alcuna documentazione fiscale, ed una seconda volta (nel 2006) allo studio “Affronti”, il quale aveva emesso la relativa fattura per Euro 545,00; che nella relazione conclusiva la Commissione aveva precisato che “da quanto emerso si evince che lei ha percepito un compenso per una prestazione mai effettuata”; che inopinatamente la M.D.M., ritenendo la detta frase diffamatoria, aveva sporto querela denuncia presso la Procura della Repubblica di Palermo nei confronti del S. e degli altri membri della Commissione, ed il relativo procedimento penale si era concluso, su concorde richiesta dell’Ispettore della Polizia di Stato e del PM, con l’archiviazione.

Con sentenza 8-3-2012 l’adito Tribunale rigettò la domanda per mancanza di prova della consapevolezza, in capo alla M.D.M., dell’innocenza del S. (consapevolezza necessaria per la consumazione del reato di calunnia).

Con sentenza 1236/2017, depositata il 26-6-2017, la Corte d’Appello di Catania, in accoglimento del gravame proposto dal S., ha invece condannato la M.D.M. a pagare, in favore del S., la somma di Euro 6.000,00, a titolo di risarcimento per danni non patrimoniali subiti; in particolare la Corte territoriale ha ritenuto che la M.D.M. aveva ingiustamente querelato il S., additandolo come responsabile del reato di cui all’art. 595 c.p., pur essendo pienamente consapevole dell’innocenza dell’incolpato; ed invero, la duplicazione della specifica voce di spesa relativa al compenso stanziato dal Condominio per l’elaborazione della menzionata certificazione fiscale emergeva per tabular dai bilanci consuntivi redatti proprio dalla M.D.M., relativi agli esercizi 2005 e 2006 e presi in esame dalla Commissione; non poteva, quindi, dubitarsi che la M.D.M. fosse consapevole che la medesima attività (elaborazione certificazione fiscale) fosse stata pagata due volte, e che quindi quanto accertato dalla Commissione corrispondesse a verità, con conseguente calunniostà della querela sporta.

Avverso detta sentenza M.D.M.M. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

S.S.G. è rimasto intimato.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata al ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte territoriale abbia omesso di valutare che, nella specie, non vi era mai stata una duplicazione di una medesima appostazione contabile, ma due diverse appostazioni afferenti a due distinte voci di spesa condominiale; la prima relativa all’aumento del 25% della quota condominiale mensile percepita dal contabile del Condominio (tal D.S.) per la durata dei lavori di straordinaria manutenzione; la seconda relativa alla prestazione resa dallo Studio Tecnico (OMISSIS) per la certificazione fiscale ai sensi della L. n. 449 del 1997, art. 1, comma 3; la Corte, pertanto, aveva omesso di valutare il fatto storico- (oggetto di discussione nella comparsa di risposta depositata in appello dalla M.D.M.) che il compenso di Euro 550,00 era destinato al contabile del Condominio. Il motivo è inammissibile.

In primo luogo in quanto non rientrante nel paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ratione temporis vigente, atteso che viene imputato al giudice d’appello di avere omesso non l’esame ma la valutazione del fatto storico, il che assegna alla censura il valore di manifestazione di dissenso sull’apprezzamento di circostanze probatorie, non consentito in sede di legittimità.

In secondo luogo in quanto si fonda su atti e documenti (comparsa di risposta in appello, sentenza 1646/2011 Tribunale di Palermo, verbale di assemblea del Condominio 25-1-2005) riguardo ai quali non si fornisce, ai sensi di quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, l’indicazione specifica della sede in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte essi siano rinvenibili (Cass. sez. unite 28547/2008 e 7161/2010; per gli atti processuali v. Cass. sez. unite 22726/2011).

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., deduce nullità della sentenza per apparente motivazione per avere la Corte affermato la sussistenza della consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato partendo da un dato errato, ovvero dalla “consapevolezza della verità della duplicazione di spesa e non dalla consapevolezza di non avere percepito alcun compenso”.

Anche detto motivo, peraltro di natura “ancillare” rispetto al primo in quanto espressamente sorretto dalle “superiori considerazioni” in esso svolte, è inammissibile.

La motivazione dell’impugnata sentenza non può, invero, ritenersi solo apparente ed in violazione del “minimo costituzionale” di esternazione dei motivi.

Costituisce, invero, consolidato principio di questa Corte che la mancanza di motivazione, quale causa di nullità per mancanza di un requisito indispensabile della sentenza, si configura “nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili (Cass. sez unite 8053 e 8054/2014); nella specie la Corte, come agevolmente desumibile dalla su esposta sintesi dell’impugnata sentenza, ha espresso le ragioni della adottata decisione, con argomentazioni logicamente conciliabili, non perplesse ed obiettivamente comprensibili, facendo discendere la consapevolezza della M.D.M. dell’innocenza dell’incolpato da un fatto (la certezza e la conoscenza, in capo alla stessa M.D.M., della duplicazione di spesa) di per sè logicamente idoneo a far ritenere la sussistenza di detta consapevolezza.

In conclusione, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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