Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19106 del 01/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 01/08/2017, (ud. 20/04/2017, dep.01/08/2017),  n. 19106

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13397-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

Z.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, via

A. BAFILE n. 5 presso lo studio dell’avvocato LUCA FIORMONTE,

rappresentato e difeso dall’Avvocato FRANCO ZUCCARO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 639/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/05/2011 R.G.N. 1518/2009;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

1. Che con sentenza in data 5/05/2012 la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la decisione del Tribunale di Livorno n. 568/2009, che aveva accolto la domanda di Z.M., dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Agenzia delle Entrate, condannando l’Ente al pagamento di 80.324 Euro, a titolo di recupero delle retribuzioni non integralmente percepite dal dipendente negli anni dal 1995 al 2000, in conseguenza della sospensione cautelare disposta dall’amministrazione; che il lavoratore era destinatario di un rinvio a giudizio per l’imputazione di corruzione, per la quale, nel 2004, era intervenuta sentenza di proscioglimento per sopraggiunta prescrizione, divenuta irrevocabile nel 2006 a seguito di pronuncia della Corte di Cassazione;

2. Che il giudice di prime cure, rilevato il superamento da parte dell’agenzia delle Entrate del limite quinquennale massimo di durata del potere cautelare, e constatato ancora che la sospensione non era stata avallata, nè da una sentenza penale di condanna, estintosi il reato per prescrizione, nè dall’attivazione di un procedimento disciplinare, essendo stato Z.M. collocato a riposo nel 2005, ossia prima della conclusione del processo penale, aveva ritenuto fondata la sua domanda alla restitutio in integrum riguardo alla retribuzione non percepita a causa del provvedimento cautelare, corrispondente alla differenza tra l’assegno alimentare e lo stipendio di qualifica;

3. Che la Corte d’Appello, nel confermare la decisione del Tribunale, ha motivato come, in base all’art. 68, comma 5, del c.c.n.l. dei dipendenti delle Agenzie Fiscali del 28/05/2005:

3.1. l’azione disciplinare debba essere considerata propedeutica rispetto all’esercizio (legittimo) del potere cautelare, in quanto l’allontanamento immediato del dipendente dall’ambiente lavorativo durante un accertamento di responsabilità penale è concepito in funzione della successiva eventuale applicazione di una sanzione penale, finanche espulsiva;

3.2. la cessazione dal servizio del dipendente per collocamento a riposo non sarebbe stata ostativa alla restitutio in integrum, a norma del comma 7, del c.c.n.l. citato, il quale dispone che, nell’ipotesi di proscioglimento per altri motivi (diversi dall’assoluzione piena o discendente da altre formule) – con l’unica eccezione della morte del dipendente – il procedimento disciplinare “riprende” su tutti i fatti originariamente contestati;

3.3. il potere di sospensione cautelare rientrava – ratione temporis – nel regime del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 97 a norma del quale, conclusosi di giudizio penale, in assenza di una “ripresa” del procedimento disciplinare l’amministrazione, ormai decaduta dal potere di sospensione cautelare, avrebbe dovuto applicare a beneficio di Z.M. la restitutio in integrum delle spettanze economiche;

4. Che avverso tale sentenza interpongono ricorso il MEF e l’Agenzia delle Entrate con due motivi, cui resiste con controricorso Z.M.;

5. Che il P.G. si è espresso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

6. Che con il primo motivo il ricorrente censura la violazione dell’art. 68 del c.c.n.l. delle Agenzie Fiscali del 2004 (quadriennio 2002-2005) e del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 91 e 97 avendo la sentenza d’Appello ritenuto erroneamente che:

6.1. l’ente avrebbe dovuto attivare il procedimento disciplinare anche a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, in quanto l’art. 68, comma 7, del c.c.n.l. delle Agenzie Fiscali sanciva che, anche nell’ipotesi di proscioglimento per altri motivi (assolutori), tranne che in caso di morte del dipendente, il procedimento disciplinare “riprende”;

6.2. nel caso controverso non si sarebbe trattato di riattivazione di un procedimento già iniziato e poi sospeso in attesa dell’esito del processo penale, bensì dell’attivazione di un nuovo procedimento disciplinare e, pertanto, la sentenza gravata non ha tenuto conto che nel caso in esame mancava la norma in base alla quale fondare in capo all’Agenzia l’obbligo di procedere disciplinarmente nei confronti del dipendente, divenuto nel frattempo estraneo all’amministrazione perchè cessato dal servizio per anticipata quiescenza;

6.3. non essendosi verificate le due condizioni che avrebbero giustificato la deroga del principio di corrispettività della retribuzione: a) proscioglimento con formula piena; b) illegittimo esercizio del potere di sospensione cautelare da parte dell’Ente, non poteva dirsi sussistente il diritto al beneficio della restitutio in integrum in capo al dipendente;

6.4. la sospensione cautelare è funzionale allo svolgimento del processo penale e non invece propedeutica allo svolgimento e all’esito del procedimento disciplinare come sostenuto dalla Corte d’Appello;

7. Che nel secondo motivo si contesta la sentenza per violazione dell’art. 27, comma 7, del c.c.n.l. comparto Ministeri del 1995 (quadriennio 1994-1997), e dell’art. 70, comma 8 del c.c.n.l. delle Agenzie Fiscali del 2004 (quadriennio 20022005), che sostanzialmente conferma il primo, nel richiedere una pronuncia giurisdizionale pienamente assolutoria per la concessione della restitutio in integrum escludendo dal beneficio altre formule conclusive del giudizio; che la Corte d’Appello ha errato nell’applicare tale disposto, limitandosi ad affermare che il mancato esercizio del potere disciplinare ha impedito di rilevare la responsabilità del dipendente facendo venir meno la legittimità della sospensione cautelare disposta, e che una corretta interpretazione delle norme contrattuali da parte dell’Ente ricorrente avrebbe dovuto tenere sganciati i due poteri, poichè la legittimità della sospensione cautelare non è legata all’esercizio del potere disciplinare, ma allo svolgimento e all’esito del processo penale; che pertanto, soltanto una pronuncia ampiamente assolutoria avrebbe potuto legittimare la condanna alla corresponsione degli emolumenti differenziali non corrisposti dall’amministrazione;

8. Che occorre preliminarmente riportare il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 1, u.p., a norma del quale “Le norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate (…) sono inapplicabili a seguito della stipulazione dei contratti collettivi relativi al quadriennio 1994-1997, in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati. Tali disposizioni cessano, in ogni caso, di produrre effetti dal momento della sottoscrizione, per ciascun ambito di riferimento, dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001”;

9. Che erroneamente, dunque, la sentenza d’Appello ha ritenuto che la fattispecie ricadesse nella disciplina del D.Lgs. n. 3 del 1957, art. 96 la quale, applicabile al tempo in cui la sospensione cautelare era stata inflitta al controricorrente, aveva cessato di esserlo col passaggio in giudicato della sentenza penale, vigendo all’epoca il regime contrattuale dei dipendenti delle Agenzie Fiscali (per il quadriennio 2002-2005);

10. Che le due censure vanno esaminate congiuntamente trattando profili fra loro connessi;

11. Che le censure proposte sono infondate;

12. Che con il D.Lgs. n. 165 del 2001 il rapporto tra processo penale e procedimento disciplinare ha perso il connotato di strumentalità e stretta interdipendenza che aveva sotto il regime del Testo Unico n. 3 del 1957, per approdare a un nuovo equilibrio normativo, caratterizzato dalla reciproca autonomia del potere di sospensione cautelare da quello disciplinare, con l’unico limite della fissazione di una soglia temporale massima di esercizio del primo, il cui superamento produce l’immediata riammissione del dipendente sospeso e la possibilità di attivazione o riattivazione del procedimento disciplinare all’esito del processo penale, entro un termine prestabilito di 180 gg. dalla data in cui l’Ente datore (nel caso contestato Agenzia delle Entrate) viene a conoscenza della sentenza definitiva (nel caso in esame di proscioglimento per intervenuta prescrizione);

13. Che, nel giudicare la vicenda controversa, la sentenza d’Appello ha fatto corretta applicazione del criterio sopra richiamato, là dove ha motivato che, non avendo l’irrogazione della sanzione carattere automatico, ed essendo venuto a mancare l’accertamento in sede disciplinare, è venuta meno anche la legittimità della sospensione cautelare disposta in funzione dell’illecito oggetto di proscioglimento per la sentenza penale definitiva;

14. Che va egualmente condiviso il giudizio della Corte Territoriale per aver ritenuto non rilevante il collocamento a riposo dello Z., ai fini del giudizio sul mancato esercizio dell’intervento disciplinare postumo, in quanto, il D.Lgs. n. 156 del 2001, art. 55 bis introdotto dal D.Lgs. n. 150 del 2009, quale risposta ai dubbi interpretativi insorti in seguito al passaggio della materia disciplinare alla competenza dell’autonomia collettiva ha disposto che, nell’ipotesi di dimissioni del dipendente, il procedimento “…ha egualmente corso (…) e le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro”;

15. Che tale statuizione è conforme all’orientamento espresso da questa Corte nella sentenza n.17307/2016, in cui, interpretando l’art. 55 bis sopra richiamato, si afferma il perdurante interesse all’esercizio del potere disciplinare da parte della pubblica amministrazione, non solo nell’ipotesi in cui la sospensione cautelare del dipendente renda necessaria la regolazione degli aspetti economici connessi alla sospensione, ma anche per fini che trascendono il rapporto già cessato, data la peculiarità del lavoro pubblico e l’esigenza di legalità, buon andamento e imparzialità dell’agire della p.a., che permangono anche nel diverso regime di contrattualizzazione dei rapporti di lavoro, in quanto il datore pubblico è tenuto ad intervenire a salvaguardia di interessi collettivi di rilevanza costituzionale nei casi in cui vi sia un rischio concreto di lesione della sua immagine (Cons. St. n.477/2006);

16. Che, questa Corte ha affermato il principio di diritto secondo cui (Cass. n. 11391/2014), in caso di proscioglimento diverso dalle ipotesi assolutorie “piene” e di condanna, il datore deciderà, anche alla luce dell’esito del processo penale, se avviare o riprendere l’iniziativa disciplinare nei termini di decadenza stabiliti dalla legge, al fine di valutare autonomamente l’incidenza dei fatti accertati sulla permanenza del rapporto di lavoro, regolando conseguentemente anche le sorti definitive della sospensione cautelare (Cons. St., Ad. Plen., n.4/2002);

17. Che ricostruito il quadro normativo e negoziale collettivo “post contrattualizzazione”, e altresì l’approdo giurisprudenziale di questa Corte sui punti della riforma ancora controversi va rilevato che, nel caso in esame, il giudice dell’Appello ha accertato che l’Ente ricorrente era nelle piene condizioni di esercitare in via autonoma il suo potere disciplinare “postumo” al fine di verificare la sussistenza dell’illecito che aveva dato causa alla sospensione, ma che non ha ritenuto necessario attivare la procedura nei termini prestabiliti;

18. Che pertanto, essendo il controricorrente ormai impossibilitato a beneficiare della riammissione conseguente alla sentenza definitiva di proscioglimento, per essere questa intervenuta dopo il suo collocamento a riposo, e non essendo stato colpito da sanzione disciplinare per la mancata attivazione “postuma” del relativo procedimento a carico, l’Agenzia delle Entrate rimane esposta alla legittima richiesta del controricorrente di recuperare le differenze stipendiali tra l’assegno alimentare percepito durante l’esecuzione della sospensione cautelare e la retribuzione che gli sarebbe spettata, in assenza della misura interdittiva;

19. Che il ricorso del MEF – Agenzia delle Entrate va, pertanto, rigettato; con la compensazione delle spese alla luce di profili di novità della questione.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2017

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