Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19103 del 01/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 01/08/2017, (ud. 05/04/2017, dep.01/08/2017),  n. 19103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11427-2015 proposto da:

AUTOMAR S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 96,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GABBANI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROBERTO D’AMICO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.E., C.F. (OMISSIS) n.q. di erede di V.D.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI GROTTA DI GREGNA 121/A,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMO BELLOMO, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANO PACINI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7996/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/02/2015 R.G.N. 6560/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ROBERTO D’AMICO;

udito l’Avvocato PAOLO CENTOLA per delega Avvocato STEFANO PACINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma con sentenza depositata in data 24/2/2015, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 13/6/2007 dalla Automar s.r.l. nei confronti di V.D. e condannava la società al pagamento in favore dell’erede G.E., pro quota, a titolo di risarcimento del danno, di un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto maturata dal dì del licenziamento sino a quello del decesso.

Nel pervenire a tali conclusioni la Corte distrettuale osservava, in estrema sintesi, che il licenziamento risultava irrogato per avere la lavoratrice comunicato all’esterno dell’azienda, notizie riservate sulla società e sui suoi dipendenti, esprimendo anche giudizi denigratori nei confronti della azienda, e che la contestazione disciplinare risultava formulata in termini generici, recando riferimenti a fatti privi di collocazione temporale e riferiti da soggetti non specificati. Argomentava quindi che la genericità della formulazione degli addebiti ridondava in termini di lesione del diritto di difesa della lavoratrice incolpata, la cui istanza di audizione era stata disattesa in violazione dei dettami di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7.

Avverso tale pronuncia interpone ricorso per cassazione la Automar s.r.l. sostenuto da tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione ex art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che l’iter motivazionale che sostiene la pronuncia impugnata sia connotato da contraddittorietà e da incongruità nei passaggi logici, tali da non consentire di rivelare la sottesa ratio decidendi.

Si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto generica la formulazione della contestazione, tralasciando di considerare che la lavoratrice, con il proprio scritto difensivo, aveva elaborato una linea che mostrava la piena comprensione degli addebiti ascritti. Gli approdi ai quali è pervenuta la Corte si censurano altresì per la omessa considerazione di molteplici ed univoci elementi probatori, quali i tabulati telefonici, le dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio nonchè in sede testimoniale, che ben avrebbero potuto condurre a diversi risultati.

2. Con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè degli artt. 434 e 132 c.p.c., ex all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Ci si duole che la Corte abbia pronunciato ultra petita laddove ha affermato l’illegittimità del licenziamento per mancata audizione quale autonomo vizio procedimentale, in mancanza di una specifica domanda da parte della ricorrente, sotto tale profilo denunciandosi, altresì, violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3. Con il terzo motivo si deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio nonchè violazione o falsa applicazione ex art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.3 e 5.

Si lamenta, in sintesi, che la Corte distrettuale non abbia tenuto conto di un articolato quadro probatorio che andava a definire specificamente i termini della responsabilità della lavoratrice in ordine alle circostanze oggetto di contestazione.

4. I motivi primo e terzo, che possono congiuntamente esaminarsi siccome connessi, sono privi di pregio.

Non può sottacersi, invero, che pur a fronte di denunciati vizi di violazione di legge, in realtà si lamenta principalmente una erronea valutazione dei dati istruttori acquisiti che, se rettamente apprezzati, avrebbero dovuto condurre all’accertamento della fondatezza degli addebiti ascritti alla dipendente, dunque, un vizio motivazionale.

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste infatti, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr. ex plurimis, Cass. 11/1/2016 n. 195, Cass. 16/7/2010, n. 16698). Nella specie ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, ma non sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di legge.

Le critiche formulate, tendono, quindi, a pervenire ad una rinnovata valutazione degli approdi ai quali è addivenuta la Corte distrettuale, comunque inibita nella presente sede di legittimità anche alla luce dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione di testo applicabile ratione temporis, di cui alla novella del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134.

Nella interpretazione resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi (vedi Cass. S.U. 7/4/2014, n. 8053), la disposizione va letta in un’ottica di riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Scompare, quindi, nella condivisibile opinione espressa dalla Corte, il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta quello sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata.

Il controllo previsto dal nuovo art. 360 c.p.c., n. 5), concerne, dunque, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

5. Applicando i suddetti principi alla fattispecie qui scrutinata, non può prescindersi dal rilievo che tramite la articolata censura, la parte ricorrente, contravvenendo ai detti principi, sollecita una rivalutazione dei dati istruttori acquisiti in giudizio, esaustivamente esaminati dalla Corte territoriale, auspicandone un’interpretazione a sè più favorevole, non ammissibile nella presente sede di legittimità.

Nello specifico la Corte distrettuale, a fondamento del decisum ha rimarcato come nella specie, la contestazione degli addebiti riguardasse “fatti privi di collocazione temporale e riferiti a terzi non meglio specificati”:non era chiarito infatti, il contesto nel quale sarebbero state fornite informazioni ad un ex dipendente successivamente assunto da un’azienda concorrente, nè i tempi e i soggetti dai quali sarebbe stata ascoltata la conversazione telefonica nel corso della quale erano state usate dalla lavoratrice, espressioni offensive per l’azienda (definita di “pagliaccetti”).

Sul rilievo che la potenzialità lesiva delle condotte contestate e la loro rilevanza esterna producevano rilevanti riflessi sulla valutazione degli esatti contorni della condotta contestata e della loro dannosità per la società anche ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione, la Corte di merito osservava che si palesava essenziale l’esercizio del diritto di difesa da parte della ricorrente, risultato inibito, in concreto, proprio da una contestazione connotata da evidenti profili di genericità. Nè le prove testimoniali avevano in alcun modo definito specificamente contenuti e margini della condotta addebitata.

Gli approdi ai quali è pervenuto il giudice dell’impugnazione, non rispondono, dunque, ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità, e si palesano comunque conformi a diritto, laddove è stata rimarcata la genericità della contestazione.

6. Valorizzando la ratio che la sorregge, dottrina e giurisprudenza di legittimità hanno individuato i requisiti fondamentali della contestazione la cui violazione vizia il procedimento disciplinare determinando la nullità del provvedimento sanzionatorio irrogato – nella specificità, immediatezza ed immutabilità.

Detti requisiti sono volti a garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato, diritto che sarebbe compromesso qualora si consentisse al datore di lavoro di intimare il licenziamento in relazione a condotte rispetto alle quali il dipendente non è stato messo in condizione di discolparsi, perchè non tempestivamente contestate, perchè diverse dalle condotte oggetto della iniziale contestazione, perchè non adeguatamente definite nelle loro modalità essenziali, ed essere così esattamente individuabili.

In coerenza con detti principi, la Corte distrettuale ha rilevato la violazione procedimento disciplinare come disciplinato dal comma secondo della L. n. 300 del 1970, art. 7, da cui discende la nullità del provvedimento sanzionatorio irrogato con statuizione che, per quanto sinora detto, resiste alle censure all’esame.

In tale prospettiva, anche il secondo motivo va disatteso per carenza del requisito di decisività, in quanto inidoneo, anche ove ritenuto fondato, ad inficiare la pronuncia impugnata, che risulta sorretta da autonoma ratio non scalfita dal presente ricorso.

In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Per il principio della soccombenza, le spese del presente giudizio si pongono a carico della ricorrente nella misura in dispositivo liquidata.

Si dà atto, infine, della sussistenza delle condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte ricorrente, a titolo di contributo unificato, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2017

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