Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19102 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. II, 19/09/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 19/09/2011), n.19102

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PROTO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FRISI 18, presso lo studio dell’avvocato RIZZICA CECILIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASCOLO VINCENZO;

– ricorrente –

contro

N.P., N.L., N.I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1076/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato MASCOLO Vincenzo, difensore del ricorrente che ha

chiesto di riportarsi agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 14/10/1999 C.L. conveniva in giudizio N.P., L. e I. e ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni assumendo:

– di avere stipulato con N.P. un preliminare di acquisto di un terreno edificabile al prezzo convenuto di L. 185.000.000 da pagarsi per Euro 141.694.000,00 al momento del rogito e per L. 43.306.000 mediante l’esecuzione, da parte sua, di un argine formato da un muro di contenimento in calcestruzzo secondo modalità disciplinate da un contratto di appalto;

– che tale opera non era stata eseguita in quanto a seguito di alluvione di intervento della pubblica amministrazione l’argine doveva essere realizzato in pietra locale;

che tale modalità costruttiva esulava dalle proprie competenze e, quindi, legittimamente non aveva dato esecuzione al contratto di appalto;

che aveva diritto di chiedere il risarcimento del danno per il mancato guadagno che avrebbe realizzato eseguendo il contratto di appalto e per l’escussione della fideiussione prestata a garanzia dell’esecuzione dei lavori.

I convenuti si costituivano in giudizio e deducevano che le modalità di realizzazione dell’argine, diverse da quelle inizialmente pattuite, erano state imposte dalla pubblica amministrazione e che il C. aveva accettato la modifica dell’oggetto dell’appalto, ma poi non vi aveva dato esecuzione.

Con sentenza del 3/5/2001 il Tribunale di Verbania rigettava la domanda risarcitoria dichiarando risolto il contratto di appalto per inadempimento del C. il quale proponeva appello al quale resistevano i convenuti.

La Corte di Appello di Torino con sentenza del 3/7/2004 rigettava l’appello in quanto non sussistevano le due voci di danno (mancato guadagno per l’esecuzione dell’appalto e pregiudizio all’immagine per escussione della fideiussione) reclamate con la domanda risarcitoria.

La Corte rilevava:

– che il mancato guadagno dalla mancata esecuzione del contratto di appalto non sussisteva in quanto l’esecuzione dell’appalto era la controprestazione dovuta in luogo del saldo prezzo di Euro 43.306.000,00, tale essendo il costo approssimativamente valutato dalle parti per l’esecuzione dell’opera, fermo restando il diritto dell’appaltatore ad una maggiore remunerazione in caso di costi superiori e il credito per saldo prezzo residuo in caso di costi inferiori; tali pattuizioni contrattuali erano, dalla Corte territoriale, interpretate nel senso che non era previsto alcun utile di impresa a favore dell’appaltatore,tenuto principalmente al pagamento di un prezzo;

– nessun danno era ipotizzabile dalla escussione della fideiussione in quanto contrattualmente prevista per la mancata esecuzione dei lavori e non implicante un danno all’immagine.

Il C. propone ricorso per Cassazione fondato su 4 motivi;

si sono costituiti per il C. due nuovi difensori muniti di procura speciale notarile. Non si sono costituiti gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato) e dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (contenuto della sentenza) nonchè il vizio di motivazione; al riguardo assume che il giudice di appello ha ritenuto l’inammissibilità della domanda mentre non ha motivato sull’esistenza di ragioni procedurali o preliminari che avrebbero dovuto giustificare la decisione di inammissibilità.

Malgrado il riferimento ai vizio di inammissibilità la motivazione sussiste ed è chiaramente riferita alla radicale insussistenza di un danno risarcibile (sulla base delle ragioni di danno fatte valere) che doveva comunque condurre al rigetto della domanda; infatti il giudice di appello ha affermato, con motivazione nè illogica nè contraddittoria, che il debito per il saldo prezzo sussisteva a carico del C. e che doveva essere estinto con una prestazione, dalla quale esulava la previsione di un guadagno ulteriore (l’utile di impresa) rispetto all’estinzione del debito;

tale prestazione è mancata e pertanto il C. si è reso inadempiente.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione e l’errata applicazione delle norme dì ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. in quanto sarebbe stato erroneamente ritenuto che tra le parti fosse stipulato un unico contratto di compravendita con pattuizione, a parziale pagamento del prezzo, di una prestazione di fare in luogo della dazione di denaro, mentre sarebbero stati conclusi due autonomi contratti di vendita e di appalto.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 1352, 1350 e 1659 c.c. e il vizio di motivazione in quanto il giudice di appello avrebbe erroneamente e immotivatamente omesso ogni valutazione sulla invalidità della modifica in forma orale e non scritta del contenuto del contratto (con riferimento alle diverse modalità di realizzazione del muro di contenimento).

4. con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. (efficacia del contratto), dell’art. 1218c.c. (responsabilità del debitore), dell’art. 1657 c.c. (determinazione del corrispettivo), dell’art. 2043 c.c. (risarcimento per fatto illecito) e vizio di motivazione. Assume che la Corte territoriale non avrebbe considerato che un contratto non può essere risolto se non per mutuo consenso, che la risoluzione era illegittima, che l’inesecuzione di una prestazione costituisce inadempimento (al che si può agevolmente opporre che il promittente venditore era semplicemente obbligato a vendere e non si vede quale prestazione non abbia adempiuto).

5. questi ultimi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto postulano una riconsiderazione del contratto di appalto dalla cui asserita inesecuzione il ricorrente lamenta un danno contrattuale; tuttavia, dalla sentenza di appello risulta che il giudice di primo grado aveva risolto il contratto di appalto per inadempimento dello stesso C..

Nei motivi di ricorso non v’è impugnazione della statuizione, già pronunciata in primo grado relativa a la risoluzione per inadempimento dello stesso C.; infatti, solo nel terzo motivo e nel quarto si rinviene una contestazione del tutto generica della pronunciata risoluzione (e, quindi, di per sè inammissibile), ma sotto il diverso profilo dell’invalidità della unilaterale modifica della prestazione oggetto del contratto di appalto senza una specifica censura della decisione del primo grado in merito alla risoluzione per inadempimento dello stesso ricorrente, tanto che si continua a sostenere la legittimità della richiesta di risarcimento danni per inadempimento contrattuale della controparte. Ne discende che, essendosi definitivamente accertata la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento dello stesso ricorrente, lo stesso non può reclamare danni di natura contrattuale per mancato guadagno e i motivi sono perciò infondati.

Con riferimento al danno extracontrattuale per il danno all’immagine derivante dall’escussione della fideiussione non è censurabile l’affermazione ella Corte di appello per la quale il C. non può dolersi di un danno all’immagine dell’avvenuta escussione della fideiussione, posto che la banca, pagando, ha adempito agli obblighi derivanti dalla fideiussione; d’altra parte l’escussione della fideiussione era appunto conseguenza dell’inadempimento (accertato giudizialmente) dello stesso C..

6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, ma tenuto conto della mancata costituzione degli intimati non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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