Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19101 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. II, 19/09/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 19/09/2011), n.19101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.T.C. (OMISSIS) B.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che li rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

C.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PAVIA 2, presso lo studio dell’avvocato GUGLIUCCI FRANCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato NUNZIATA ALDO;

– controricorrenti –

e contro

Z.E.;

– Intimato –

avverso la sentenza n. 2730/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Claudio LUCISANO, difensore dei ricorrenti che si

riporta alle difese in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso che ha concluso per l’accoglimento con

valore assorbente del secondo motivo di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.M., promissario acquirente di un immobile giusta contratto preliminare del 7.10.1996, stipulato con Z.E., il quale si era obbligato alla vendita quale procuratore speciale di B.A. e D.T.C., conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Lecco, il B., la D.T. e lo Z. per sentir emettere sentenza costitutiva di trasferimento della proprietà del bene, ai sensi dell’art. 2932 c.c., e di condanna dei convenuti alla cancellazione dell’ipoteca iscritta sull’immobile in favore della banca Cariplo.

Contumace Z.E., si costituivano e resistevano alla domanda i soli B. e D.T., i quali, nel sostenere che il predetto litisconsorte aveva assunto in proprio l’obbligazione di cancellare l’ipoteca, avendo previamente abusato del potere rappresentativo nell’acconsentirne l’iscrizione, chiedevano la condanna di lui a rimborsare all’attore le spese di cancellazione, a tenerli indenni da ogni domanda, e a risarcire, altresì, i danni che aveva procurato loro. Tale domanda non era, però, notificata allo Z..

Il Tribunale di Lecco rigettava la domanda principale e quella, subordinata, di risoluzione del contratto per inadempimento dei promittenti la vendita, la prima per difetto di (una seria) offerta del saldo prezzo, la seconda perchè tardiva, in quanto a giudizio del Tribunale formulata in sede di precisazione delle conclusioni definitive. Rigettava anche la domanda di condanna dei promittenti venditori alla cancellazione dell’ipoteca, ritenendo che la relativa obbligazione fosse stata assunta in proprio dallo Z., nei cui confronti soltanto pronunciava la relativa condanna, anche alle spese.

Sull’appello di C.M., tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Milano, che dichiarava risolto il contratto per inadempimento dei promittenti, che condannava alla restituzione della somma percepita a titolo di caparra, regolava le spese di conseguenza e dichiarava la nullità del giudizio relativamente al rapporto processuale tra B.A. e D.T.C., da un lato, ed Z.E., dall’altro, dichiarando irripetibili le relative spese dei due gradi.

Per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte territoriale, ritenuto che, quale procuratore a vendere dei B. – D.T., Z.E. ben poteva assumere verso il promissario l’obbligo contrattuale dei soggetti rappresentati di cancellare una delle ipoteche gravanti sul bene (obbligo che, anche a prescindere da un’espressa dichiarazione negoziale, ineriva lato sensu alla garanzia per evizione, ai sensi dell’art. 1374 c.c. e dell’art. 1476 c.c., n. 3, secondo l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità), osservava che la clausola con la quale lo Z. aveva assunto personalmente l’impegno di procurare la liberazione del bene dall’ipoteca concessa dai suoi rappresentati in favore della Cariplo, si risolveva nell’obbligo verso il promissario di adempiere il debito dei promittenti venditori. Ciò premesso, il giudice d’appello formulava varie ipotesi sulla natura giuridica di tale clausola (promessa del fatto del terzo, ex art. 1381 c.c., successione nel debito sotto il profilo della delegazione, espromissione o accollo, in tutti e tre i casi di tipo cumulativo), per poi pervenire ad affermare che, trattandosi pur sempre di clausola inserita in un contratto a prestazioni corrispettive, la sua mancata attuazione avrebbe rilevato non tanto agli effetti indennitari contemplati dall’art. 1381 c.c., quanto come inadempimento contrattuale degli stessi promittenti venditori, per aver essi assunto un’obbligazione da adempiersi dal terzo senza essere sicuri che quest’ultimo avrebbe adempiuto. Pertanto, riteneva la Corte territoriale, che ciò che poteva senz’altro escludersi era proprio l’effetto postulato dagli appellati, ossia che l’assunzione del debito da parte dello Z. li avesse liberati dall’obbligo di cancellare anche l’ipoteca iscritta dalla Cariplo. Ne seguiva, ad avviso del giudice di secondo grado, che non avendo lo Z. provveduto alla liberazione del bene dall’ipoteca, la convinzione dei promittenti di essere del tutto estranei alla relativa obbligazione e il loro rifiuto di assolverla si risolveva nell’ingiustificato rifiuto di adempiere una delle principali obbligazioni derivanti dal contratto. Infine, per quanto concernente il rapporto processuale fra gli appellati, osservava che non si era instaurato il contraddittorio sulla domanda proposta contro lo Z. dai B. – D. T., non avendo questi ultimi notificato la comparsa contenente la domanda, ragion per cui doveva essere dichiarata la nullità del relativo giudizio e della consequenziale condanna alle spese pronunciata dal giudice di primo grado a carico dello Z..

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorrono A. B. e D.T.C., con sette motivi d’annullamento, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso C.M., che pure ha depositato memoria.

Z.E. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo parte ricorrente deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1381 c.c..

La sentenza impugnata, si sostiene, afferma a più riprese che con la stipula del contratto preliminare lo Z. assunse personalmente l’impegno di procurare la liberazione dell’immobile dall’ipoteca, e che tale impegno si risolveva nell’obbligo di adempiere il debito dei promittenti venditori. Tale ricostruzione dei fatti non è compatibile con la previsione dell’art. 1381 c.c., che disciplina il diverso caso in cui un soggetto promette che un terzo effettuerà una determinata prestazione (rectius – nella fattispecie prospettata – che si obbligherà: n.d.r.). Pertanto la clausola in questione non può essere qualificata ai sensi dell’art. 1381 c.c., anche in considerazione di ciò, che a differenza di quanto si afferma nella sentenza impugnata in relazione alla fattispecie, nella situazione generata dalla promessa del fatto o dell’obbligazione del terzo non vi può essere alcun cumulo di obbligazioni, perchè il terzo non è mai obbligato nei confronti del promissario. Ne consegue che l’inadempimento del terzo avrebbe comportato l’obbligo di risarcimento solo ed esclusivamente a carico del promittente Z..

2. – Con il secondo motivo è denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione e la falsa applicazione dell’art. 1268 c.c. Osserva parte ricorrente che allorquando nel provvedimento impugnato si inizia a formulare la prima ipotesi alternativa di qualificazione della clausola contrattuale, si legge che la promessa dell’obbligazione o del fatto del terzo sarebbe integrata dal fatto che i rappresentati per bocca del loro rappresentante avrebbero promesso il fatto del terzo, ossia dello stesso rappresentante, nel senso che questi si sarebbe contestualmente obbligato ad adempiere un’obbligazione dei medesimi rappresentati. Una tale ipotesi potrebbe inquadrarsi, al limite, nella delegazione di pagamento (rectius, semmai obbligatoria: n.d.r.), ma vi contraddice lo stesso presupposto di fatto ripetutamente affermato dalla sentenza impugnata, ossia che lo Z. avrebbe assunto in proprio, e non in nome e per conto dei promittenti venditori, l’obbligazione di estinguere il gravame ipotecario. Tale presupposto è assolutamente incompatibile con la fattispecie, giacchè allorquando Z. assumeva l’obbligazione personalmente non agiva in qualità di rappresentante dei promittenti venditori e, pertanto, non assumeva la veste del debitore che assegna al creditore un altro debitore. E non essendo configurabile una delegazione, non vi era neanche la necessità dell’espressa dichiarazione del creditore di liberare il debitore delegante. Ad ogni modo, prosegue parte ricorrente, nella sentenza impugnata manca del tutto ogni argomentazione in ordine all’esclusione di una volontà liberatoria che, per essere asserita, avrebbe quanto meno dovuto discendere da un confronto critico con la clausola contrattuale nella quale si procedeva ad una netta diversificazione delle obbligazioni assunte. In sostanza, la Corte d’appello nell’escludere l’esistenza di una volontà liberatoria del creditore non ha analizzato e comparato il proprio convincimento con la clausola in discussione, nella quale era oltremodo chiaro che l’estinzione del mutuo costituiva obbligazione contratta personalmente dallo Z., con evidente ed implicita esclusione dell’onere medesimo in capo ai promittenti venditori che ne erano chiaramente liberati.

3. – Con il terzo motivo è denunciata l’insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1272 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata non esclude, ma non per questo ammette, “alternativi rimandi allo schema dell’espromissione”, senza spiegare per quale ragione dovrebbe escludersi la liberazione dell’obbligato principale. La Corte di merito, infatti, ha dapprima chiarito che con il contratto plurilaterale in oggetto le parti si erano assunte separate e personali obbligazioni consistenti nel trasferire la proprietà dell’immobile e nell’estinzione del mutuo contratto con la Cariplo.

Appare dunque evidente che la diversificazione e distinzione delle obbligazioni (confermata anche dalla sentenza impugnata) è affermazione incompatibile con la configurabilità di un’espromissione, che sussiste nel momento in cui un terzo interviene addossandosi l’onere dell’adempimento di un’obbligazione già contratta dal debitore principale. In più, per escludere la liberazione del debitore principale, la Corte avrebbe dovuto quanto meno esaminare tale aspetto del contenuto della clausola e chiarire il motivo per cui l’accettazione da parte del C. della netta diversificazione delle obbligazioni di trasferimento della proprietà e di cancellazione del gravame non poteva integrare l’effetto estintivo in discussione.

4. – Il quarto motivo denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza nella parte in cui non esclude, ma neppure ammette, la configurabilità di un accollo. La Corte d’appello ha considerato un ipotetico accordo in tal senso fra le parti senza che ne fosse mai stata dedotta l’esistenza in giudizio. In ogni caso la mancanza di un accordo tra debitore e terzo esclude in radice la configurabilità del prefato istituto, la cui sussistenza è, altresì, contraddetta dalla stessa sentenza impugnata, nella quale la Corte d’appello ha precisato che il contratto de quo deve qualificarsi come originariamente plurilaterale, e ciò è del tutto incompatibile con un accollo, in cui la plurilateralità è a formazione progressiva. Come per le precedenti ipotesi, poi, la Corte ambrosiana non ha sufficientemente motivato il proprio convincimento in merito all’insussistenza della liberazione dell’ipotetico debitore principale.

5. – Con il quinto motivo è dedotta l’insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 1487 c.c..

Nell’esaminare un ampio ventaglio di ipotesi tutte improbabili, la Corte territoriale ha mancato di considerare la norma sulla garanzia per evizione, che appare la più aderente alla fattispecie. L’art. 1487 consente di escludere che il venditore presti la garanzia per l’evizione ed è ciò che si è verificato nel caso di specie, come ripetutamente affermato nella stessa sentenza impugnata, la quale afferma che i B. – D.T. si erano obbligati a trasferire al C. la proprietà dell’immobile libero da ipoteche, ad eccezione del mutuo Cariplo. Risulta, pertanto, del tutto errata, oltre che insufficientemente motivata, la sentenza d’appello lì dove afferma che può senz’altro escludersi che l’assunzione del debito da parte dello Z. abbia liberato i promittenti dall’obbligo di cancellare anche l’ipoteca iscritta sull’immobile in favore della Cariplo.

6. – Con il sesto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt.112, 292 e 354 c.p.c. Sostiene parte ricorrente che l’obbligo (rectius, onere) di cui all’art. 292 c.p.c. è stabilito nell’interesse esclusivo della parte contumace, la quale soltanto può eccepire la mancata notifica dell’atto, che non può essere, invece, rilevata d’ufficio. Inoltre, detta norma impone al giudice di fissare un termine per la notificazione al contumace delle comparse (contenenti una domanda contro di lui), con la conseguenza che non può ritenersi inammissibile una domanda non notificata al contumace se prima non sia stato assegnato detto termine.

7. – Con il settimo motivo è dedotta l’insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., poichè la Corte d’appello, pur dando atto del rigetto delle principali domande proposte dal C., ha posto le spese a carico dei B. – D.T., liquidandole, tra l’altro, in misura punitiva, in misura, per il giudizio d’appello, corrispondente ad oltre il 40% del valore della domanda.

8. – Il primo e il terzo motivo d’annullamento, da esaminare congiuntamente per la comune critica alla motivazione della sentenza impugnata in punto di persistenza dell’obbligo dei promittenti di provvedere alla cancellazione dell’ipoteca, sono fondati nei termini che seguono.

8.1. – Giova premettere che la Corte ambrosiana ha formulato in maniera (inopportunamente) ipotetica varie proposizioni sulle norme applicabili, senza tuttavia trame conclusione alcuna nel ragionamento successivo, sì da occupare gran parte della motivazione in considerazioni che non assurgono a ratio decidenti e sono, pertanto, irrilevanti, ai fini dell’impugnazione.

La ragione fondante della decisione è concentrata, invece, lì dove la Corte territoriale afferma (pag.5 della sentenza impugnata) che i promittenti venditori, rappresentati dal loro procuratore speciale, Z.E., si erano obbligati a trasferire al C. la proprietà dell’immobile indicato nella citata scrittura “libero da ipoteche”, ad eccezione del mutuo Cariplo, che sarebbe stato estinto a cura dello stesso Z.. Infatti, prosegue la Corte milanese, dalla documentazione in atti risultava che l’immobile promesso era gravato da un’ipoteca concessa dai proprietari quali terzi datori a garanzia di un mutuo contratto con la Cariplo da una società in nome collettivo di cui Z.E. era socio. Ciò premesso sulla ricostruzione del fatto – che in parte qua non forma oggetto di censura sotto il profilo della tenuta motivazionale – la Corte d’appello così prosegue: “Ora, avendo i proprietari conferito allo Z. procura a vendere “per il prezzo e condizioni che meglio crederà” (v. atto autenticato dal notaio Donegana in data 17.1.96 n. 66701 rep.), a lui non era certo inibito (ed anzi rientrava nella complessiva sistemazione dei rapporti tra mandanti e mandatario) assumere verso il promissario un obbligo contrattuale dei soggetti rappresentati, segnatamente quello di cancellare una delle ipoteche gravanti sul bene (obbligo che, anche a prescindere dalla espressa dichiarazione negoziale, ineriva lato sensu alla garanzia per evizione posta per legge a carico del venditore ex art. 1374 c.c. e ex art. 1476 c.c., n. 3: v. Cass., 19.11.1985, n. 5686). Pertanto la clausola contrattuale con la quale lo Z. assunse personalmente l’impegno di procurare la liberazione del bene dalla menzionata ipoteca, che era stata data all’Istituto bancario dai suoi rappresentati, si risolveva nell’obbligo verso il promissario di adempiere il debito altrui (dei promittenti venditori)”. Quindi, esaminate in maniera (vanamente) problematica varie ipotesi di assunzione del debito altrui (inclusa la promessa del fatto del terzo, che tale non è) perviene alla conclusione che “quel che dunque può senz’altro escludersi è proprio l’effetto postulato dagli appellati costituiti, e cioè che l’assunzione del debito da parte dello Z. li abbia liberati dall’obbligo di cancellare (anche) la ipoteca iscritta dalla Cariplo sul loro immobile”.

8.2. – Tale motivazione è manifestamente contraddittoria, perchè da una premessa in fatto che expressis verbis afferma che i promittenti venditori avevano assunto l’obbligo di trasferire il bene libero da ogni ipoteca ad eccezione di quella iscritta a favore della Cariplo, perviene alla conclusione della persistenza a carico dei B. – D.T. dell’obbligazione di cancellare anche tale gravame, non si comprende se perchè ciò costituisca un effetto negoziale che la Corte d’appello mostra di opinare come inderogabile (come in tal senso sembrerebbe deporre l’accenno parentetico sopra richiamato), o al contrario perchè non vi sia prova della volontà dei dichiaranti di escludere il carattere cumulativo di tale obbligazione (come, invece, pare desumersi dalla frase a pag. 5 della sentenza, secondo cui non risulta agli atti un’espressa dichiarazione del C. di voler liberare i promittenti). Il fatto che secondo la ricostruzione della Corte territoriale lo Z. si sia obbligato in proprio, e non quale procuratore dei promittenti venditori, a (far) cancellare anche l’ipoteca concessa in favore della Cariplo, non costituisce questi come assuntore di un debito dei medesimi promittenti, se tale debito non si ricava dalla coeva (o da una precedente) fonte negoziale. E se quest’ultima è stata interpretata dagli stessi giudici di secondo grado come diretta ad escludere proprio che i promittenti avessero anche tale obbligo, il che è ben possibile dato di carattere di effetto naturale, e dunque derogabile, della garanzia di libertà del bene da iscrizioni pregiudizievoli, va da sè che le due proposizioni di base del ragionamento svolto dalla Corte territoriale – esclusione dell’obbligo di garanzia a carico dei promittenti venditori, assunzione cumulativa del medesimo obbligo da parte del loro procuratore ad negotium – si contraddicono frontalmente.

9. – L’accoglimento dei ridetti due motivi assorbe l’esame delle restanti censure.

10. – Per quanto sopra considerato, accolti il primo e il terzo motivo d’impugnazione ed assorbiti gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, la quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il terzo motivo, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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