Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19101 del 01/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 01/08/2017, (ud. 05/04/2017, dep.01/08/2017),  n. 19101

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4637-2011 proposto da:

G.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA VALADIER 36, presso lo studio dell’avvocato IOLANDA PICCININI,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.D.A.P. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI

DELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato PAOLA MASSAFRA,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8225/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/11/2010 R.G.N. 10772/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato IOLANDA PICCININI;

udito l’Avvocato LUCIA POLICASTRO per delega Avvocato PAOLA MASSAFRA.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 4 novembre 2010) respinge l’appello proposto da G.A. avverso la sentenza n. 19010/2006 del Tribunale di Roma, di rigetto della domanda del G. – ex segretario comunale, transitato alle dipendenze dell’INPDAP, con decorrenza 21 luglio 1998, per effetto della procedura di mobilità prevista dal D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465 – diretta ad ottenere l’inquadramento nel ruolo unico della dirigenza, a partire dall’1 gennaio 2005, in applicazione della legge n. 311 del 2004.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) come esattamente affermato dal primo giudice al ricorrente non è applicabile l’invocata normativa legislativa e quella della contrattazione collettiva in essa richiamata perchè al momento della loro rispettiva entrata in vigore il trasferimento del G. all’INPDAP era da tempo concluso e definito sulla base della disciplina all’epoca vigente;

b) in particolare, la tesi del ricorrente avrebbe richiesto una differente formulazione delle norme invocate che consentisse un’applicazione retroattiva delle previsioni del CCNL del 2001.

2. Il ricorso di G.A. domanda la cassazione della sentenza per un unico, articolato, motivo; resiste, con controricorso, l’INPDAP.

3. La causa, la cui discussione è stata originariamente fissata per l’udienza del 13 settembre 2016, è stata in quella sede rinviata a nuovo ruolo, in attesa del completamento del complesso processo di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, di cui alla Legge Delega 7 agosto 2015, n. 124, cui ha fatto espresso riferimento la sentenza delle Sezioni Unite 19 gennaio 2016, n. 784 e che, all’epoca, sembrava imminente.

4. All’udienza del 5 aprile 2017 la causa è stata ancora una volta rinviata a un nuovo ruolo, non essendo ancora intervenuto il suindicato completamento del complesso processo di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche.

5. Il 24 maggio 2017, il Collegio riconvocato nella medesima composizione, in assenza delle attese novità normative, nel rispetto del principio di ragionevole durata del processo ha deciso la causa, come appresso indicato.

6. G.A. ha depositato memoria in prossimità dell’udienza del 13 settembre 2016, chiedendo, fra l’altro, un ulteriore rinvio a nuovo ruolo a data successiva all’emanazione del decreto legislativo, di attuazione della delega in materia di dirigenza pubblica di cui alla L. 7 agosto 2015, n. 124, art. 11, comma 1, (c.d. riforma Madia), di cui la Corte costituzionale, con sentenza 25 novembre 2016, n. 251, ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Profili preliminari.

1.- Inammissibile è l’eccezione di improcedibilità del ricorso avanzata dall’INPDAP controricorrente sull’ipotetico presupposto dell’avvenuto deposito, da parte del ricorrente, della copia autentica della sentenza impugnata priva della relata di notifica, presupposto che è del tutto privo di riscontri, visto che dall’esame degli atti risulta che: a) nell’intestazione del ricorso si da atto dell’avvenuta notifica della sentenza d’appello in data 17 dicembre 2010; b) è stata regolarmente depositata unitamente al ricorso copia della sentenza notificata; c) sono stati rispettati i termini per la notifica del ricorso e per il relativo deposito.

2. Quanto ai profili di inammissibilità per pretesa violazione dell’art. 360-bis c.p.c. prospettati sempre dall’Istituto controricorrente si fa presente che – anche dopo il mutamento di indirizzo, ad opera della sentenza 21 marzo 2017, n. 7155 delle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgere relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità e non il rigetto per manifesta infondatezza (come era stato affermato da Cass. SU 16 settembre 2010, n. 19051) – l’art. 360 bis c.p.c. si applica soltanto laddove la giurisprudenza della Corte di cassazione già abbia giudicato nello stesso modo della sentenza di merito la specifica fattispecie proposta dal ricorrente oppure quando il caso concreto non sia stato ancora deciso ma, tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto, secondo i principi applicati da detta giurisprudenza, a casi assolutamente consimili, e comunque in base alla logica pacificamente affermata con riguardo all’esegesi di un istituto nell’ambito del quale la vicenda particolare pacificamente si iscriva (vedi, per tutte: Cass. 25 marzo 2013, n. 7450).

Tutte evenienze che non ricorrono nella specie, come è dimostrato, in modo evidente, dal fatto che la questione controversa – riguardante l’interpretazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 48 e 49, e la relativa applicabilità anche alle procedure di mobilità già concluse alla data di entrata in vigore della medesima L. n. 311 del 2004 cit. – è stata recentemente decisa dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 784, n. 785, n. 786, tutte del 3 novembre 2016), presentando il requisito di particolare importanza previsto dall’art. 374 c.p.c., comma 2.

3. D’altra parte, la “violazione dei principi regolatori del giusto processo”, di cui all’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 2, per consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, non integra un nuovo motivo di ricorso accanto a quelli previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto il legislatore ha unicamente segnato le condizioni per la sua rilevanza mediante l’introduzione di uno specifico strumento con funzione di “filtro”, sicchè sarebbe contraddittorio trarne la conseguenza di ritenere ampliato il catalogo dei vizi denunciabili. Pertanto, la violazione dei principi regolatori del giusto processo non può costituire un autonoma ragione di censura ed è, in tal caso, inammissibile (vedi, per tutte: Cass. 29 ottobre 2012, n. 18551; Cass. 8 aprile 2016, n. 6905).

4. Va respinta anche l’eccezione di inammissibilità proposta dall’INPDAP per asserita irregolarità della denuncia di violazione e di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro contenuta nel ricorso.

Deve essere, al riguardo, ricordato con la sentenza del 19 marzo 2014 n. 6335, in discontinuità con il precedente indirizzo, si è affermato il principio secondo cui la denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 è parificata sul piano processuale a quella delle norme di diritto, sicchè, anch’essa comporta, in sede di legittimità, la riconducibilità del motivo di impugnazione all’errore di diritto, direttamente denunciabile per cassazione, senza che sia necessario indicare, a pena di inammissibilità, il criterio ermeneutico violato.

Tale nuovo orientamento, che viene qui condiviso e ribadito, si è consolidato nella successiva giurisprudenza, sicchè è assurto al rango di “diritto vivente” (vedi, fra le tante: Cass. 9 settembre 2014, n. 18946; Cass. 16 settembre 2014, n. 19507; Cass. 17 maggio 2016, n. 10060; Cass. 12 ottobre 2016, n. 20554) e porta a considerare corretta la denuncia di violazione e falsa applicazione della contrattazione collettiva contenuta nel ricorso, tanto più che essa si riferisce alla contrattazione collettiva nazionale, che è l’unica per la quale vale la suddetta assimilazione, che infatti non si estende agli atti di autonomia collettiva che non presentino il requisito della nazionalità (Cass. 14 agosto 2004, n. 15923; Cass. 19 settembre 2007, n. 19367; Cass. 4 febbraio 2010, n. 2625; Cass. 8 febbraio 2010, n. 2742; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3459; Cass. 9 settembre 2014, n. 18946).

5. Priva di pregio giuridico è, infine, l’eccezione con la quale I’INPDAP sostiene che il ricorrente avrebbe dovuto dedurre il profilo di censura secondo cui, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, egli non avrebbe mai chiesto l’applicazione nei propri confronti delle disposizioni del CCNL 1998/2001 del Comparto, come violazione del principio di mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Infatti, dalla lettura del ricorso risulta chiaro che il G. ha inteso denunciare tale vizio come “error in judicando” e non come “error in procedendo” e lo ha fatto in modo del tutto corretto.

3 – Sintesi del ricorso.

6. Con l’unico motivo di ricorso si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Si sottolinea che la tesi sostenuta dal G. – che ha molteplici riscontri nella giurisprudenza di merito – è nel senso che l’operatività della L. n. 311 del 2004, comma 49 nei confronti degli ex segretari comunali e provinciali transitati presso altre P.A. in forza del processo di mobilità disposto dal D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18 e non implica la retroattività delle disposizioni del CCNL 1998/2001 del Comparto, diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata.

Infatti, il ricorrente non contesta l’inquadramento attribuitogli al momento dell’immissione nei ruoli dell’INPDAP ma chiede il riconoscimento dell’inquadramento dirigenziale a decorrere dal 2005.

Si aggiunge che la motivazione della sentenza è insufficiente e contraddittoria, in quanto non spiega quali siano i destinatari del citato comma 49, visto che coloro che sono transitati a partire dal 2002 lo hanno fatto da dirigenti, senza bisogno di fare ricorso alla suddetta disposizione, mentre a chi è transitato prima – come il ricorrente – la norma non si applicherebbe, secondo la Corte d’appello.

3 – Esame delle censure.

7. Nel merito, il motivo di ricorso è infondato.

8. Come si è detto (vedi sopra sub 2), di recente le Sezioni Unite di questa Corte hanno deciso la questione su cui si incentra questione la presente controversia che attiene all’esegesi della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 48 e 49, e alla determinazione del relativo ambito di applicabilità (sentenze n. 784, n. 785, n. 786, tutte del 3 novembre 2016).

8.1. Le Sezioni Unite, sulla base di un’approfondita ricostruzione del quadro normativo e contrattuale che ha regolato e regola le procedure di mobilità dei segretari comunali disciplinate, inizialmente, dal D.P.R. n. 465 del 1997, artt. 18 e 19 e successivamente dall’art. 32 del CCNL per i segretari comunali e provinciali 1998-2001, dalla L. 27 luglio 2004, n. 186 (che abrogò l’art. 18 del D.P.R. n. 465 del 1997), dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311 (interpretata autenticamente dalla L. n. 246 del 2005 – hanno ritenuto, alla luce di una interpretazione letterale, sistematica e teleologica della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, – che disciplina la possibilità del reinquadramento e dell’accesso alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – che esso non si applica ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della medesima L. n. 311 del 2004.

8.2. E’ stato così chiarito che la suddetta disposizione normativa si riferisce ai soli processi di mobilità eventuali e futuri, dovendosi ritenere che una diversa interpretazione sarebbe lesiva del principio costituzionale dell’accesso alla P.A. per concorso pubblico, applicabile anche alla dirigenza.

Tale circoscritto ambito di applicazione è stato ricavato, dalle Sezioni Unite, non solo da elementi testuali della disposizione normativa (quali: l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria rispetto al CCNL di settore 1998-2001 che era rivolta al futuro, in quanto delimitata dalle regole che le Parti sociali, in sede di rinnovo del contratto collettivo, avrebbero voluto adottare; la previsione del limite del contingente di spesa contenuto nel comma 96, richiamato dal comma 49) ma altresì da una interpretazione sistematica e teleologica della normativa del 2004, da collocare nell’ambito di un graduale e costante processo di limitazione dell’accesso alla dirigenza delineato sia dal legislatore sia dalle Parti sociali.

8.3. A tale ultimo riguardo le Sezioni Unite hanno precisato che:

a) la regola dettata dal D.P.R. n. 465 del 1997 prevedeva – in caso di passaggio ad altra P.A. – l’attribuzione della qualifica di provenienza;

b) il CCNL 1998-2001 per i segretari comunali e provinciali ha, da una parte, rivisto il sistema di classificazione e, dall’altra, consentito l’accesso alla dirigenza solamente alle qualifiche più elevate;

c) la L. n. 186 del 2004 ha uniformato la mobilità dei segretari comunali e provinciali alla disciplina generale sulla mobilità dettata dal T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30);

d) la L. n. 311 del 2004, interpretata autenticamente dalla L. n. 246 del 2005, ha apportato ulteriori modifiche in senso restrittivo, prevedendo che, anche per i segretari comunali e provinciali delle qualifiche più elevate, l’accesso alla dirigenza non costituisse più la regola.

8.4. Di qui la conclusione che interpretare la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49 in maniera così estensiva da imporre una generalizzazione dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la mobilità prevista dal D.P.R. n. 465 del 1997) sarebbe fortemente contraddittorio rispetto all’evoluzione normativa e contrattuale riscontrata in materia di mobilità dei segretari comunali e provinciali.

Nè d’altra parte – anche a fronte della sussistenza di casi, eppure modesti, di procedure di mobilità in atto alla data dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004 – potrebbe correttamente invocarsi il principio di conservazione affermato dall’art. 1367 c.c., criterio sussidiario concernente l’interpretazione degli atti negoziali e non di quelli normativi.

9. Il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno ribadito le conclusioni alle quali questa Sezione era già pervenuta con le sentenze n. 165/2014, n. 1047/2014, n. 1324/2014, orientamento poi ribadito, fra l’altro, dalle recenti ordinanze n. 16521, n. 12035, n. 12034, n. 12033 e n. 7620 del 2016.

10. Le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni Unite resistono alle difese svolte a corredo del motivo di censura che fanno principalmente leva sul dedotto carattere perequativo della disposizione contenuta nel richiamato L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49 che però non trova corrispondenza nelle ragioni sopra evidenziate.

11. Neppure le suddette argomentazioni sono scalfite dal rilievo – formulato dal ricorrente nella memoria – secondo cui la tesi contraria ai segretari comunali sostenuta nella giurisprudenza della Sezione lavoro di questa Corte medio tempore intervenuta nonchè dal controricorrente sarebbe stata “sconfessata” da: a) la nota in data 19 ottobre 2015 del Ministero dell’Interno – Albo nazionale dei Segretari comunali e provinciali, attestante che alla data di entrata in vigore della L. n. 311 del 2004 (finanziaria per il 2005) le procedure di mobilità volontaria ai sensi del D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18 erano compiute ed esaurite; b) il D.P.C.M. 18 aprile 2002, che costituiva l’ultimo provvedimento di mobilità disposto ai sensi del citato art. 18. Da detti documenti emergerebbe che alla data dell’i gennaio 2005 non vi era alcun Segretario in possesso dei requisiti previsti dall’art. 1, comma 49 (tre anni di servizio ed esercizio dell’opzione), nei cui confronti non si fosse già conclusa la procedura di mobilità, il che confermerebbe che tale ultima disposizione non poteva che ritenersi applicabile nei confronti di coloro per i quali la procedura di mobilità si era già conclusa e che erano già stati inquadrati presso le Amministrazioni di destinazione e non a quelli che si trovavano in disponibilità.

Deve essere, infatti, osservato che anche tali rilievi si pongono in contraddizione rispetto all’evoluzione normativa e contrattuale riscontrata in materia sia di accesso alla dirigenza in generale sia di mobilità dei segretari comunali e provinciali, secondo quanto sottolineato dalle Sezioni Unite nelle citate sentenze.

12. D’altra parte, la questione di illegittimità costituzionale della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, in riferimento all’art. 3 Cost. prospettata dal ricorrente nella memoria è da considerare manifestamente infondata, oltre che per le ragioni già indicate dalle Sezioni Unite (vedi: punti 60-64 della sentenza n. 784/2016; punti 59-62 della sentenza n. 785/2016; punti 60-64 della sentenza n. 786/2016), per il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui “lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche” (vedi, fra le tante: Corte Cost. sentenze n. 254, n. 208 e n. 60 del 2014; n. 341 del 2007; ordinanze n. 25 del 2012; n. 224 del 2011; n. 61 del 2010; n. 170 del 2009; n. 212 e n. 77 del 2008), sicchè non è ipotizzabile una ingiustificata disparità di trattamento a fronte di una disciplina differenziata applicata alla stessa categoria di soggetti in momenti temporali diversi.

13. Ragioni analoghe portano ad escludere anche il contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacchè – anche se in ipotesi si volesse prescindere dalla consueta applicazione, da parte della Corte EDU, della suddetta norma nelle sole ipotesi in cui vengano in rilievo altre norme sostanziali della Convenzione preposte a tutela dei diritti civili e politici dell’uomo e delle libertà fondamentali (fra le più recenti: Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo c. Italia, p. 54; 7 febbraio 2013, Fabris c. Francia, p. 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin c. Russia) – comunque va ricordato che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo è costante nell’affermare che una disparità di trattamento è discriminatoria solo qualora “manchi di una giustificazione oggettiva e ragionevole”, “quando non persegua un fine legittimo” ovvero quando non sussista “un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito” (vedi, per tutte: Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo c. Italia cit., p. 59; 25 ottobre 2005, Niedzwiecki c. Germania; 27 marzo 1998, Petrovic c. Austria, p. 30; 1 febbraio 2000, Mazurek c. Francia, p. 46 e 48).

Dette condizioni difettano nella specie perchè l’inquadramento della controricorrente è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca vigente, in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla CEDU – così come dalla nostra Costituzione – può essere ravvisata, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un momento in cui la procedura di mobilità dell’interessata si era conclusa, il che esclude ogni profilo discriminatorio della disciplina.

14. Neppure può trovare accoglimento la richiesta di un ulteriore rinvio della trattazione della causa in attesa del già prospettato processo in atto di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche (Legge Delega 7 agosto 2015, n. 124, non seguita dal decreto delegato sulla dirigenza; emendamenti allo schema di decreto legislativo di modifica al T.U. n. 165 del 2001), prevedente una rilevante riorganizzazione dell’Amministrazione statale centrale e periferica e, in particolare, interventi sia in materia di dirigenza pubblica sia sulla posizione dei segretari comunali e provinciali, con misure intese a definire la posizione dei segretari comunali interessati dal contenzioso in esame.

Infatti, le circostanze dedotte a sostegno della richiesta non fanno apparire certa nè imminente la risoluzione della questione, diversamente da quel che sostiene la controricorrente.

In particolare – pur dopo due rinvii a nuovo ruolo disposti da questa Corte quando il suddetto processo di riorganizzazione sembrava imminente, tanto che ad esso avevano fatto riferimento anche le Sezioni Unite nelle richiamate sentenze – il quadro normativo attualmente vigente è rimasto immutato e non offre elementi che possano incidere sull’interpretazione seguita dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, in quanto quello previsto – alla luce dei dettati principi di delega – è un intervento di modifica e rimodellazione di ampio respiro, che concerne tutti gli assetti del personale della P.A. (con eventuale delega a unificare, sopprimere ovvero istituire ruoli, gradi e qualifiche nonchè a rideterminare dotazioni organiche), secondo un criterio di semplificazione e di riconoscimento del merito e della professionalità.

15. Al riguardo giova pure ricordare che il principio della ragionevole durata del processo, che ha rilievo costituzionale (art. 111 Cost., comma 2, seconda parte), impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare attività processuali non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto del principio del contraddittorio, da garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a esplicare i propri effetti (vedi, per tutte: Cass. 1 marzo 2012, n. 3189 del 2012; Cass. 21 novembre 2012, n. 20422).

Ne consegue che al giudice è impedito di adottare provvedimenti che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, ritardino inutilmente la definizione del giudizio, imponendogli un particolare rigore nel bilanciamento delle opposte ragioni, soprattutto nel giudizio di cassazione, caratterizzato da impulso d’ufficio (vedi: sentenza n. 3189 del 2012 cit.), tanto più che, nella specie, già sono stati disposti ben due rinvii a nuovo ruolo proprio per attendere il completamento del complesso processo di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, di cui alla Legge Delega 7 agosto 2015, n. 124, che sembrava prossimo già a settembre 2016 e che ha subito un’ulteriore rallentamento dopo l’emanazione della sentenza 25 novembre 2016, n. 251 della Corte costituzionale.

4 – Conclusioni.

16. In sintesi, il ricorso deve essere respinto.

17. Le ragioni che hanno portato all’intervento delle Sezioni Unite, giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

 

La corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 24 maggio 2417.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2017

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