Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 191 del 11/01/2021

Cassazione civile sez. lav., 11/01/2021, (ud. 08/10/2020, dep. 11/01/2021), n.191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 846/2020 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI,

8, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE FACHILE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 4438/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 27/06/2019 R.G.N. 8725/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/10/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. la Corte di appello di Roma, con sentenza pubblicata il 27.6.2019, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di K.S., cittadino del (OMISSIS), avverso la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva respinto la sua domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria e umanitaria;

2. la statuizione di inammissibilità è stata fondata sulla inidoneità delle censure articolate ad investire le ragioni alla base della decisione di primo grado;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso K.S. sulla base di quattro motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., censurando la valutazione di inammissibilità dell’appello; assume che a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito l’atto di gravame conteneva specifiche e chiare argomentazioni intese ad evidenziare la illegittimità della decisione di primo grado ed a contestare la valutazione di non credibilità del racconto espressa in quella sede;

2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e vizio di motivazione, censurando la decisione di primo grado per radicale carenza di motivazione in relazione alla domanda di protezione sussidiaria; assume che la Corte di appello, in violazione del dovere di cooperazione, aveva omesso di effettuare i necessari approfondimenti istruttorii a fronte delle informazioni attendibili e documentate relative alla vicenda narrata;

3. con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, censurando la decisione di secondo grado per inadeguata valutazione delle prove richieste e per violazione dei principi in tema di valutazione della credibilità del racconto svolto dall’aspirante alla tutela; il giudice di appello non aveva chiarito le ragioni della ritenuta non credibilità del racconto del ricorrente nè aveva evidenziato con precisione i profili di contraddizione nelle versioni rese dall’originario ricorrente; rappresenta che la allegata situazione relativa alle condizioni delle carceri nel paese di provenienza era confortata da riscontri nelle fonti internazionali;

4. con il quarto motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dal percorso di integrazione sociale del richiedente la protezione umanitaria; lamenta, inoltre, la mancata considerazione dei trattamenti inumani e degradanti ai quali il K. era stato sottoposto in Libia; sotto il primo profilo richiama l’attività di tirocinio svolta dal ricorrente e sotto il secondo la allegazione relativa alla condizione sociale del Paese di origine ed alla prolungata sottoposizione a torture in Libia.

5. Il primo motivo è inammissibile e tanto assorbe la necessità di esame degli ulteriori motivi.

5.1. La sentenza impugnata ha affermato che i motivi di appello erano inammissibili in quanto non coglievano il contenuto della motivazione e la ratio decidendi alla base della sentenza di primo grado; ha evidenziato che il Tribunale aveva estesamente motivato sulle plurime contraddizioni emergenti nel racconto fatto dinanzi alla CT e in sede di interrogatorio giudiziale e che aveva preso in esame tutti i presupposti che ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, giustificavano la protezione umanitaria. Ha evidenziato che i motivi di gravame non svolgevano alcuna specifica critica a tali ragioni essendo posti in termini di assoluta genericità senza introdurre alcuna parte argomentativa volta a contestare il percorso logico giuridico del giudice di prime cure;

5.2. le ragioni alla base della statuizione di seconde cure non sono validamente contrastate dall’odierno ricorrente stante la assenza di specificità e pertinenza delle critiche formulate con il motivo in esame;

5.3. ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione deve risolversi in una critica adeguata e specifica della decisione impugnata che consenta al giudice del gravame di percepire con certezza e chiarezza il contenuto delle censure in riferimento ad una o più statuizioni adottate dal primo giudice. In questa prospettiva è stato ulteriormente precisato che il requisito della specificità dei motivi di appello non può prescindere dal contenuto argomentativo della sentenza impugnata richiedendosi che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, (v. tra altre, Cass. 21566/2017, n. 25588/2010, n. 26192/2005):

5.4. tali affermazioni devono essere poste in correlazione con il principio secondo il quale quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un ” error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (v. tra le altre, Cass. 20716/2018, n. 8069/2016, n. 16164/2015). Al fine di consentire il relativo ale sindacato, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, si richiede che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 2771/2017);

5.5. in coerenza con tali prescrizioni, parte ricorrente aveva, quindi, l’onere di specificare nel ricorso per cassazione le ragioni per cui riteneva erronea la statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice del quale doveva riportare il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. n. 22880/2017, n. 20405/2006), senza limitarsi ad un mero rinvio a detto atto, come, invece, avvenuto;

5.6. tali oneri non sono stati osservati; è infatti mancata la trascrizione o la esposizione nei suoi esatti termini del contenuto della sentenza di primo grado, indispensabile al fine di consentire la verifica della pertinenza e specificità delle censure formulate con l’atto di gravame e della loro reale ed effettiva idoneità a costruire un tessuto argomentativo idoneo a contrastare quello posto a fondamento della statuizione impugnata; nè sono stati specificamente evidenziati gli elementi di contrasto alle argomentazioni del giudice di prime cure; in tale contesto la mera trascrizione del ricorso in appello nel ricorso per cassazione si rivela inidonea a consentire ex actis la verifica del vizio ascritto alla sentenza impugnata;

6. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

7. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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