Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19098 del 01/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 01/08/2017, (ud. 29/03/2017, dep.01/08/2017),  n. 19098

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18883-2011 proposto da:

V.I.TRE. S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ROCCO DI

TORREPADULA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS)

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, ENRICO MITTONI, LELIO MARITATO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

EQUITALIA NORD S.P.A., – (già Equitalia Esatri s.pa.) – Agente della

Riscossione per la Provincia di Bergamo;

– intimata –

avverso la sentenza n. 119/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 12/03/2011 R.G.N. 184/2010;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RITENUTO

che la VI.TRE SRL, esercente attività di verniciatura industriale, per la realizzazione di alcuni lavori all’interno dell’azienda (aggancio e sgancio di pezzi da verniciare) stipulò un contratto di appalto di cui alle scritture del 27.4.2004 e del 5.5.2005 con altra società, il Gruppo Consortile di Imprese associate, il quale tramite due imprese consorziate inviò propri collaboratori inquadrati come coordinati e continuativi per l’esecuzione dei lavori commissionati;

che un accertamento della Direzione provinciale del lavoro di Milano rilevava, però, che la società appaltatrice (il Gruppo e le consorziate) operava nei fatti come mera intermediatrice di manodopera nel rapporto con varie imprese e l’INPS con cartella esattoriale chiedeva pertanto anche alla VI.TRE srl, in quanto società utilizzatrice, il pagamento dei contributi assicurativi per i lavoratori impiegati nell’appalto e per i periodi desunti dalle fatture del pagamento del corrispettivo;

che accolta in primo grado l’opposizione svolta dalla VI.TRE srl, in ragione della non identificazione dei lavoratori inviati presso la sede dell’impresa opponente, e proposto appello dall’INPS, la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza 12.03.11, accoglieva l’impugnazione accertando in fatto che la società appaltatrice aveva una struttura inesistente sul piano operativo ed esercitava l’unica attività di intermediazione illecita su grande scala con migliaia di lavoratori;

che sotto diverso profilo la Corte bresciana riteneva irrilevante che fossero stati richiesti contributi non immediatamente imputabili a rapporti assicurativi specifici per lavoratori non identificati presso la singola impresa committente, atteso che la quantificazione doveva risultare in base al minimale del CCNL applicabile e che il sistema di ripartizione tra i lavoratori iscritti all’INPS garantiva comunque l’integrazione delle posizioni assicurative dei singoli, tra quelli appartenenti all’impresa pseudo appaltatrice;

che propone ricorso la VI.TRE srl con cinque motivi, illustrati da memoria, nei quali deduce, nell’ordine: con il primo, la nullità della sentenza impugnata e del procedimento di appello per violazione dell’art. 331 c.p.c.; con il secondo, la violazione dell’art. 2697 c.c. per aver ritenuto accertata l’illiceità dell’appalto sulla base del verbale ispettivo; con il terzo, la violazione degli artt. 2094 e 2222 c.c. e artt. 112 e 113 c.p.c. e dell’art. 360, n. 5 per aver ritenuto subordinati i rapporti di lavoro di cui è causa; con il quarto, la violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 100 c.p.c. per aver ritenuto irrilevante ai fini dell’obbligazione contributiva la mancata identificazione nominativa dei lavoratori nonchè della mansioni e delle retribuzioni percepite, anche sotto il profilo del vizio di motivazione; con il quinto, la violazione della L. n. 153 del 1969, art. 12 e succ. mod. in quanto la sentenza ha considerato l’imponibile contributivo nell’importo delle fatture depurato dalla quota di un 25% a titolo di presunto ricarico della ditta utilizzatrice; anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e della prova dei compensi di pertinenza di ciascun lavoratore;

che l’INPS ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo è infondato atteso che l’INPS non era tenuto a notificare l’atto di appello anche alla SCCI di cui era procuratore speciale, mentre la SCCI era pure rappresentata nel giudizio di appello dallo stesso difensore costituitosi per l’INPS;

che il secondo motivo è infondato perchè volto a contestare nel merito l’accertamento dell’illiceità del rapporto contrattuale intervenuto tra committente e fornitore di manodopera (qualificato come soggetto inesistente sotto il profilo imprenditoriale), accertamento effettuato dal giudice di merito con analitica e logica motivazione, alla luce di una molteplicità di circostanze di fatto di natura documentale, e con valutazione non censurabile in questa sede, sotto alcuno dei dedotti profili;

che del pari infondato è il terzo motivo non avendo la Corte violato alcun parametro logico o normativo nell’accertare la natura subordinata dei rapporti di lavoro dei soggetti impiegati nell’appalto illecito conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche sotto il profilo della selezione del materiale probatorio utilizzato ai fini della decisione;

che privi di fondamento sono pure i rimanenti motivi volti a contestare l’an ed il quantum della pretesa contributiva in quanto, come risulta dalla sentenza, sul piano oggettivo della determinazione del quantum dell’imponibile contributivo, la base imponibile si ricava sulla scorta “dei minimali contributivi” e del numero dei lavoratori impiegati nell’appalto illecito;

che la fattura relativa al corrispettivo pagato dal committente al fornitore della manodopera in base all’orario svolto dai lavoratori è stata quindi utilizzata per determinare – sulla scorta della tariffa oraria corrisposta e di un orario settimanale di 40 ore – il numero dei lavoratori impiegati nell’appalto, in relazione ai quali si è poi proceduto a quantificare l’obbligazione contributiva dovuta; fermo restando, in ogni caso, che l’obbligazione contributiva si computa su quanto dovuto e non su quanto percepito dal lavoratore se inferiore al minimale; talchè le stesse censure sollevate in ricorso con riferimento al quantum (ovvero che la base imponibile contributiva sarebbe stata determinata in virtù del fatturato pagato al fornitore meno il 25%) appare generica ed irrilevante in mancanza dell’allegazione che nel quantum fosse stato richiesto al datore reale più di quanto risultante dalla legge (in virtù di quanto dovuto ai lavoratori in base al CCNL);

che pertanto al datore di lavoro effettivo è stato richiesto di pagare i contributi per un numero di lavoratori (suoi dipendenti “a tutti gli effetti” in base al D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 21 e 28), che ha impiegato nel lavoro oggetto dell’appalto, secondo l’accertamento insindacabile del giudice del merito, neppure fatto oggetto di idonea censura in questa sede;

che si tratta di lavoratori pure nominativamente individuati in quanto già collaboratori dell’impresa fornitrice e per questo assicurati all’INPS (anche in virtù dei principi di obbligatorietà, indisponibilità ed automaticità del rapporto previdenziale);

che pertanto è pure infondata la tesi secondo cui l’INPS procederebbe ad incamerare i contributi in oggetto in maniera indistinta senza che si conoscano nemmeno i nomi dei beneficiari;

che l’imputazione dei contributi previdenziali da parte dell’INPS nei riguardi dei singoli lavoratori si configura come adempimento successivo al sorgere dell’obbligazione contributiva ed al pagamento dell’importo dovuto da parte del datore di lavoro; un’operazione che, in presenza di totale omissione del datore di lavoro reale (come qui si è verificata sia nel pagamento dei contributi, sia nella trasmissione delle necessarie informazioni), l’INPS dovrà regolare ricostruendo le vicende dei rapporti che ciascun lavoratore intratteneva con il somministratore abusivo in base ai documenti obbligatori (libri matricola e paga) e considerando gli appalti intervenuti nel corso del tempo coi vari utilizzatori tenuti al versamento dei contributi (qui richiesti, si ripete, per un periodo limitato alla durata del singolo appalto);

che la stessa operazione va effettuata alla luce della concezione solidaristica (riconosciuta da Cass. 1589/2004 e riaffermata anche dalle Sezioni Unite n. 12269/2004) cui è improntato il sistema previdenziale sotto molteplici aspetti (criterio di ripartizione, assenza di sinallagmaticità, natura giuridica dei contributi, minimi e massimi pensionistici, ecc.) e tenendo conto del rapporto giuridico intercorrente esclusivamente tra lo stesso istituto previdenziale ed i lavoratori assicurati (i quali verifichino il mancato accredito contributivo da parte della ditta fornitrice);

che è stato affermato nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 26641 del 18/12/2009, Sez. U, Sentenza n. 14953 del 02/07/2007) che, in relazione al rapporto giuridico previdenziale con l’INPS, “L’antica concezione sulla natura trilaterale del rapporto assicurativo intercorrente tra assicurante, assicurato ed ente assicuratore (Cass. 18 luglio 1979 n. 4227) è attualmente superata dalle convergenti dottrina e giurisprudenza (Cass. 3 luglio 2004 n. 12213), che individua tre rapporti bilaterali: quello tra datore di lavoro ed ente previdenziale per la provvista finanziaria attraverso i contributi; quello tra il lavoratore ed ente previdenziale per le prestazioni; quello del lavoratore con il datore di lavoro, stante l’interesse del primo all’adempimento dell’obbligazione contributiva. Ciò a causa della necessaria distinzione del rapporto assicurativo, che ha esclusiva fonte nella legge, dal rapporto di lavoro, che ha fonte in un atto negoziale o in un provvedimento amministrativo, e la conseguente natura soltanto incidentale degli accertamenti relativi al secondo (Cass. Sez. Un. 5 febbraio 1991 n. 1076; 13 luglio 1993 n. 7704)”;

che tale principio, dettato a vari fini (ad. es. della legittimazione processuale, della giurisdizione, dell’interesse del lavoratore all’integrità della propria posizione contributiva, ecc.) esclude che le vicende di un rapporto bilaterale si ripercuotano sempre automaticamente sull’altro; e, per quanto qui attiene, che l’adempimento tecnico amministrativo di imputazione dei contributi in favore dei lavoratori (nei confronti di lavoratori non individuati, ma individuabili) possa incidere sull’esistenza dell’obbligazione datoriale che sta a monte;

che tale conclusione è confortata anche da evidenti ragioni logico – sistematiche, a carattere costituzionale (artt. 3 e 38 Cost.); non potendo dubitarsi, infatti, della totale irrazionalità di un sistema che riconoscesse al datore di lavoro di potersi sottrarre all’assolvimento dei contributi dovuti solo sostenendo di non conoscere il nominativo dei lavoratori che ha utilizzato, per contro lasciando privo di tutela previdenziale i lavoratori effettivamente impiegati all’interno dell’impresa (o, come nel caso di specie, di varie imprese), favorendo così nei fatti le forme più retrive di evasione contributiva e di sfruttamento lavorativo;

che pertanto, alla luce delle premesse, la questione dell’imputazione soggettiva dei contributi ai singoli lavoratori da parte dell’INPS non rileva nel rapporto contributivo con il datore di lavoro, il quale – una volta individuato il numero dei lavoratori impiegati e la base imponibile dell’obbligazione contributiva per i periodi di utilizzazione – non ha titolo ed interesse a lamentare la mancata identificazione nominativa dei beneficiari di contributi che è comunque obbligato a versare nella misura discendente dalla legge;

che, infine, come argomentato dal Procuratore generale nella requisitoria depositata prima dell’udienza camerale, neppure è estensibile al caso in esame la sentenza di questa Corte n. 1999/8253 (rel. La Terza) la quale fa riferimento ad una fattispecie in cui non si conoscevano “la misura dell’imponibile contributivo complessivo nè il numero dei soci, nè i loro nominativi, nè i compensi percepiti da ciascuno”; mentre nel caso di specie tutti i suddetti elementi sono noti; essendo soltanto sconosciuti ma, come già detto, soltanto nell’immediato – quali tra i lavoratori (forniti dal datore interposto e già identificati dall’INPS) abbiano lavorato per l’impresa ricorrente nel singolo rapporto, e, presumibilmente, presso le varie imprese alle quali La Nuova Carpenteria si limitava a fornire manodopera in modo illecito, a fronte del pagamento di un compenso forfettario;

che in forza delle ragioni esposte il ricorso deve essere respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 5100, di cui Euro 5000 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed oneri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2017

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