Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19094 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/09/2011, (ud. 30/06/2011, dep. 19/09/2011), n.19094

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIARAMONTE

GULFI 13, presso lo studio dell’avvocato GE CARLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato DATTILO CARLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SIELTE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. MORIN 24, presso lo studio

dell’avvocato SCARINGELLA MASSIMILIANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato CARUCCI CARMINE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 401/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 02/05/200 r.g.n. 477/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato CARUCCI CARMINE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 2 maggio 2007, la Corte d’Appello di Torino accoglieva il gravame svolto dalla Sielte s.p.a. contro la sentenza di primo grado che aveva condannato quest’ultima a corrispondere a L.P.A. la differenza tra la retribuzione ordinaria spettantegli e quanto effettivamente percepito a titolo di CIGS nel periodo 26 novembre 2001 – marzo 2004, sul presupposto dell’illegittimità della sua collocazione in CIGS. 2. Il Tribunale riteneva illegittima la collocazione in CIGS del L. P. sulla base delle seguenti considerazioni:

– in base agli accordi sindacali, la rotazione del personale sospeso doveva avvenire con cadenza “almeno trimestrale” nel rispetto delle esigenze tecnico-produttive nell’ambito delle stesse mansioni;

– L.P. effettuava attività di posacavi, utilizzando anche un miniescavatore, al pari degli altri addetti alla squadra che egli stesso coordinava, nonchè da altri lavoratori dell’azienda;

si trattava di mansioni non richiedenti particolari professionalità, ed in effetti gli altri lavoratori erano stati tutti inseriti, a differenza del L.P., nella rotazione;

non era quindi provato che le esternalizzazioni di opere civili avviate nel 1999 avessero reso inutilizzabile la professionalità del L.P.;

– le commesse relative all’attività svolta dal L.P. erano in corso, quantomeno fino al 2003, ed a tali attività erano stati adibiti, in seguito, alcuni dei compagni di lavoro del ricorrente.

3. La Corte territoriale, in riforma della decisione del primo giudice, riteneva:

– pacifico e provato dalle risultanze istruttorie che L.P. avesse sempre e solo svolto attività di scavo tradizionale e posa di cavi in rame e non avesse mai svolto la posa di cavi in fibra ottica, richiedente specifica e differente professionalità;

– tutti gli altri lavoratori, in particolare quelli indicati dal dipendente a sostegno dell’identità di mansioni volte a giustificare identità di trattamento in tema di rotazione, hanno sempre svolto mansioni plurime e diverse tra loro, senza essere addetti esclusivamente all’attività di scavo;

– non provata la continuazione dell’attività di scavi e collegamento giunti, già svolta dal L.P., onde l’attività da questi svolta non esisteva più per essere stata completamente esternalizzata, ed egli non era in grado di svolgere altre mansioni, a differenza degli altri lavoratori sottoposti a rotazione, onde la legittimità della collocazione in CTGS. 4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, L.P. A. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della legge e dell’accordo sindacale del 10/12/2003. Si censura la sentenza della Corte territoriale per non aver interpretato il citato accordo sindacale verificando la legittimità della sospensione e, in particolare, l’effettività degli incontri con le RSU, come previsto nell’accordo sindacale, nè verificato l’effettiva rotazione dei dipendenti interessati alla CIGS, e per non aver posto a carico della società gli oneri probatori relativi agli adempimenti previsti dall’accordo sindacale, nè ritenuto non assolto l’onere probatorio della società di provare la soppressione delle mansioni assolte e l’impossibilità di inserire il dipendente nell’attività aziendale con mansioni diverse, anche inferiori.

Con il quesito di diritto, ex art. 366-bis c.p.c. applicabile ratione temporis, si chiede alla Corte di dire se incombe sul datore di lavoro l’onere di provare la soppressione delle mansioni del lavoratore collocato in CIGS e l’onere di provare l’impossibilità del ricollocamento in servizio del lavoratore per il quale era previsto in un accordo sindacale la rotazione, quando la mansione di quest’ultimo risulti soppressa.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per aver la corte di merito erroneamente valutato le risultanze testimoniali, non avendo alcun teste affermato che L.P. svolgeva mansioni di scavo semplice e posa di cavi in rame e per non aver tenuto conto delle dichiarazioni del legale rappresentante della società riguardo all’esternalizzazione dell’attività di posa e scavi fin dal 2000;

inoltre, per non aver valutato che il ricorrente svolgesse anche attività di scavo e che altri dipendenti fossero stati adibiti a mansioni inferiori alla stregua del citato accordo sindacale, possibilità non concessa al ricorrente.

7. Con il primo motivo, tenuto conto dell’esposizione delle ragioni di diritto dell’impugnazione con la quale si chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura rubricata per violazione della legge e dell’accordo sindacale, si denuncia, invero, l’interpretazione data dalla corte di merito all’accordo sindacale e la ripartizione dell’onere probatorio in ordine all’assolvimento degli adempimenti ivi previsti introducendo, inammissibilmente, per la prima volta in Cassazione, questioni che non hanno già formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di merito, essendo consentito dedurre nuove tesi giuridiche e nuovi profili di difesa solo quando si fondino su elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito e per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo accertamento.

8. Ciò premesso, le censure incentrate sull’assolvimento dell’onere probatorio da parte della società, della soppressione delle mansioni svolte dal ricorrente e dell’impossibilità di inserirlo nell’attività aziendale con mansioni anche inferiori, non si informano alle prescrizioni dell’art. 366-bis c.p.c. 9. Invero, il quesito non enuncia l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e la diversa regola da applicare, rimanendo relegato sul piano dell’asserzione generica non lambendo in alcun modo la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (ex multis, Cass. 8463/2009; Cass. 4044/2009).

10. Inoltre, quanto alle censure previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, alla motivazione della sentenza impugnata, non risulta assolto l’onere di indicare chiaramente il fatto controverso ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art 366-bis c.p.c., onere che va adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in argomento, ex multis, Cass. 27680/2009, 11094/2009, 8897/2008; SU 20603/2007).

11.Il ricorso, totalmente privo anche di tale indicazione, deve essere dichiarato inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro20,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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