Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19093 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/09/2011, (ud. 30/06/2011, dep. 19/09/2011), n.19093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.C., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

QUADRARO 72, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA MARANDO,

rappresentato e difeso dall’avvocato MIGLIACCIO BENINO, giusta delega

in atti e da ultimo domiciliato presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA, 75, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato URSINO ANNA MARIA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6234/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/11/2006 R.G.N. 7924/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2011 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito l’Avvocato ANNA MARIA URSINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. G.C., dipendente postale, chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 3 novembre 2006, che, riformando la decisione di primo grado, ha respinto la domanda per il riconoscimento del superiore inquadramento nell’area quadri di 2^ livello, con condanna della società Poste italiane al pagamento delle differenze retributive e alla regolarizzazione contributiva.

2. G., inquadrato nell’area operativa ex operatore gestione trasporti, esponeva di aver svolto mansioni proprie dell’area quadri di secondo livello con responsabilità di coordinamento ed operativa di circa 300 unità, sovrintendendo allo svolgimento delle operazioni del reparto, impartendo disposizioni per le anomalie verificatesi e per la sostituzione del personale assente; di aver ricevuto l’avallo formale del dirigente dell’autorimessa, operando da solo in totale autonomia nei turni pomeridiani e notturni, posto che il dirigente era presente solo al mattino.

3. Il Tribunale accoglieva il ricorso. La Corte d’appello non ha condiviso il ragionamento del primo giudice ea sostegno del decisum ha ritenuto:

– le mansioni svolte dal G. compatibili con la qualifica rivestita (operatore specializzato presso il Centro di Meccanizzazione postale, ex 5^ livello) e non annoverabili nell’area quadri di 2^ livello (connotate, queste ultime, dalla gestione di Agenzie di media rilevanza, con struttura organizzativa complessa o dalla collaborazione ai responsabili di agenzie di superiore livello attribuite ai quadri di 1^ livello);

– G. non aveva gestito piccoli uffici, nè Agenzie di minore entità, ma aveva svolto mansioni esecutive e tecniche, con conoscenze specifiche nell’ambito dell’ufficio di appartenenza;

– dal testimoniale acquisito alla causa non era emerso alcun elemento di prova in ordine all’effettivo potere di assegnazione dei vari compiti ai singoli lavoratori del suo turno di servizio; nè G. aveva dimostrato di esercitare il potere di diretta gestione del personale addetto al reparto “transiti” in cui il medesimo svolgeva attività lavorativa.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, G. C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., dell’art. 36 Cost., degli artt. 43 e 44 CCNL dipendenti postali (primo motivo di ricorso); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (secondo motivo).

6. Si denuncia la contraddittorietà della motivazione e la mancata corrispondenza con le declaratorie contrattuali. L’illustrazione dei motivo si conclude con la richiesta alla Corte di dire se per l’esatta ricostruzione dei fatti posti a base della sentenza, può il giudice, pur riconoscendo che il ricorrente ha svolto mansioni con funzione di coordinamento e controllo, ritenere, ai fini della decisione, fondante l’interpretazione delle declaratorie contrattuali discostandosi sostanzialmente dalle risultanze istruttorie e basare invece la decisione su mansioni mai svolte, non risultanti dall’attività istruttoria e dagli scritti difensivi di parte ricorrente e di parte resistente.

7. Esaminati congiuntamente i motivi per la loro connessione logica, osserva la Corte che le censure, per violazione delle disposizioni contrattuali e per vizio di motivazione, investono il contratto collettivo nazionale di lavoro senza che risulti osservata la prescrizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), secondo cui, col ricorso per cassazione, devono essere depositati, a pena di improcedibilità, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

8. La disposizione ricomprende nel proprio ambito anche i contratti o accordi collettivi, a seguito della modifica ad essa apportata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 applicabile ratione temporis, a norma dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto legislativo, che fa riferimento ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze depositate successivamente alla data del 1 marzo 2006; essa riguarda il contratto o accordo nel suo testo integrale ed è, infine, da porsi in collegamento con la modifica operata dalla legge all’art. 360 c.p.c., n. 3, con l’estensione del controllo di legittimità al vizio di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (per cui deve ritenersi riferita esclusivamente a tali accordi e contratti collettivi).

9. Nel caso in esame il ricorrente si è limitato a richiamare il contenuto delle disposizioni collettive, allegando unicamente gli altri atti di cui all’art. 369 c.p.c., ivi compresi i fascicoli di parte del giudizio di merito. Sennonchè questa Corte ha già avuto modo di precisare che, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 non appare sufficiente ad adempiere al relativo onere l’allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (v., ex multis, Cass. S.U. 21747/2009), essendo necessario, a tal fine, un atto specifico di deposito, nè essendo sufficiente la parziale allegazione del C.C.N.L. invocato (v., ex multis, Cass. 21358/2010).

10. E’ stato infatti al riguardo ripetutamente affermato, in sede di procedimento ex art. 420-bis c.p.c. (contenente la disciplina del procedimento relativo all’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, che prevede l’immediata decisione da parte del giudice, con una sentenza impugnabile in cassazione), che questa Corte, nell’interpretazione del contratto invocato, ha il potere di ricercare all’interno dell’intero contratto collettivo le clausole ritenute utili a tale fine, senza essere in tale funzione condizionata dalle prospettazioni di parte (cfr., ad es. Cass. nn. 5050/08 e 19560/07).

11. Una tale regola è sicuramente applicabile anche in sede di controllo di legittimità del contratto collettivo nazionale di lavoro a seguito di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, in quanto la produzione parziale di un documento sarebbe incompatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento (che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto di produrne solo una parte), nonchè con i criteri di ispirazione dell’intervento legislativo citato, volto a potenziare la funzione nomofilattica della Corte (nei medesimi termini, cfr. Cass. 21358/2010).

12. La regola appare, infine, coerente con i canoni di ermeneutica contrattuale di cui la Corte deve fare applicazione, in particolare con la regola relativa all’interpretazione complessiva delle clausole, secondo la quale “Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto” (art. 1363 c.c.).

13. Il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 20,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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