Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1909 del 25/01/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 25/01/2018, (ud. 22/11/2016, dep.25/01/2018),  n. 1909

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte territoriale di Milano, con sentenza depositata il 17/4/2014, respingeva il gravame interposto da D.C. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva respinto il ricorso proposto dalla medesima D., nei confronti di Coop Lombardia S.c.a.r.l.. diretto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole dalla società il 20/5/2010 per giusta causa, la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna della società convenuta a corrispondere alla medesima una indennità risarcitoria pari alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla effettiva reintegrazione, calcolata in ragione dell’ultimo stipendio mensile percepito.

Per la cassazione della sentenza il la D. propone ricorso articolando un motivo ulteriormente illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 codice di rito. La Coop Lombardia S.c.a.r.l. resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale al quale ultimo resiste la lavoratrice con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo articolato la ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 193 CCNL Imprese della distribuzione operativa, artt. 2106 e 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7, poichè la Corte distrettuale, a parere della ricorrente, avrebbe valutato l’incidenza di precedenti disciplinari nella determinazione della sanzione espulsiva intimata alla stessa e non avrebbe tenuto conto della giurisprudenza della Corte di legittimità in materia di recidiva, alla stregua della quale quest’ultima può operare in due modi. o come elemento costitutivo della fattispecie o come criterio di determinazione della sanzione: nel primo caso, la stessa deve essere preventivamente contestata ai fini della legittimità del procedimento disciplinare, mentre nel secondo caso ciò non è necessario. E, poichè, nella specie, la recidiva o, comunque, i precedenti disciplinari che la integrano costituisce elemento costitutivo della mancanza, la stessa avrebbe dovuto essere espressamente contestata; il che, pacificamente, non è avvenuto, essendo stato il licenziamento intimato sulla base di un unico addebito (l’assenza ingiustificata del 13 aprile 2010).

1.1. Il motivo è fondato.

La Corte, invero, all’evidenza, nel respingere l’appello della lavoratrice ha operato una valutazione sul generale comportamento tenuta dalla stessa sul luogo di lavoro e, senza che – pacificamente – vi fosse una espressa contestazione datoriale sulle altre “mancanze – della stessa, ha valutato circostanze che non rientravano nella contestazione.

Alla stregua, infatti, dei costanti arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità – che la D. doviziosamente richiama – “la preventiva contestazione dell’addebito al lavoratore incolpato deve necessariamente riguardare, a pena di nullità della sanzione o del licenziamento disciplinare, anche la recidiva e i precedenti disciplinari che la integrano, solo quando la recidiva medesima rappresenti un elemento costitutivo della mancanza addebitata e non già mero criterio. quale precedente negativo della condotta, di determinazione della sanzione proporzionata da irrogare per l’infrazione disciplinare commessa.

Orbene, per individuare la natura costitutiva o meno della recidiva, occorre fare riferimento alle previsioni della contrattazione collettiva applicabile, dovendosi considerare che nell’interpretazione delle norme collettive trova applicazione la disciplina di cui agli artt. 1362 c.c. e segg..

Peraltro, questa Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare, in più occasioni, che il giudice non può estendere le ipotesi di condotte integranti giusta causa o giustificato motivo oltre il limite che l’autonomia delle parti ha previsto (cfr., tra le molte, Cass. nn. 11481/2015, 4546/2013, 13353/2011, 1173/1996).

La Corte di merito, invece, pur ritenendo la mancanza contestata (un solo giorno di assenza ingiustificata) in sè di lieve entità, ha giustificato il provvedimento espulsivo, affermando che prima dell’assenza ingiustificata del 13 aprile 2010 la lavoratrice, nel mese appena precedente, si era assentata senza giustificazione per tredici giorni, inadempimento grave che il contratto collettivo elenca tra le mancanze suscettibili di licenziamento e sanzionato dalla cooperativa con la massima sanzione”. Ma, argomentando in tal modo, la Corte territoriale ha violato l’art. 193 CCNL Imprese distribuzione cooperativa, applicato al rapporto di lavoro di ci si tratta e richiamato pure nella lettera di licenziamento, e che prevede una graduazione delle sanzioni disciplinari disponendo che in caso di assenza ingiustificata fino a tre giorni nell’anno solare il lavoratore può essere sanzionato con la multa; in caso di assenza fino a quattro giorni, con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ed infine, in caso di assenza superiore a quattro giorni o di recidiva oltre la terza volta nell’anno solare, con il licenziamento.

Peraltro, la sentenza oggetto di questo giudizio non ha preso in considerazione il fatto che la recidiva, rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie, poichè per contratto collettivo assume rilevanza solo “oltre la terza volta nell’anno solare”. Pertanto, la stessa deve essere oggetto di una contestazione specifica e non è possibile blu cono attribuire rilievo ad un precedente disciplinare per giustificare il licenziamento.

2. Con il ricorso incidentale la datrice di lavoro deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 5 e 3, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1335 c.c..

2.2. Il motivo è sostanzialmente articolato in due censure.

Quanto alla violazione di legge, è, innanzitutto, da osservare che – anche prescindendo dalla genericità della contestazione formulata, senza che peraltro venga focalizzato il momento di conflitto dell’accertamento concreto operato dalla Corte di merito all’esito delle emersioni probatorie – la stessa, così come formulata, relativamente al dedotto vizio di motivazione è inammissibile.

Invero, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Orbene, poichè la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 17 aprile 2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”.

E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue in ordine alla tempestività dell’impugnazione dl licenziamento da parte della lavoratrice.

Quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 1335 c.c., va sottolineato che la datrice di lavoro argomenta la censura in modo generico e non spiega le ragioni per le quali le affermazioni della Corte di merito di Milano sarebbero contrastanti con l’interpretazione dell’art. 1335 c.c..

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto dovendosi respingere i motivi del ricorso incidentale -, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, la quale provvederà di conseguenza, statuendo anche sulle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale; rigetta quello incidentale; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2018

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