Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19089 del 18/07/2018


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 19089 Anno 2018
Presidente: BRONZINI GIUSEPPE
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 8326-2016 proposto da:
TRENITALIA S.P.A. C.F. 05403151003, in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente
domicillata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI

22,

presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018

contro

1509

COLOMBERA MAURO;
– intimato –

Nonché da:

Data pubblicazione: 18/07/2018

- COLOMBERA MAURO, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la Cancelleria della Corte di Cassazione,
rappresentato e difeso dallAvvocato FRANCESCO PALADIN
giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

TRENITALIA S.P.A. C.F. 05403151003, in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza non definitiva n. 11/2016 della
CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/01/2016
R.G.N. 874/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/04/2018 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e accoglimento del
quinto motivo del ricorso incidentale;
udito l’Avvocato ROMEI ROBERTO per delega orale
Avvocato MARESCA ARTURO;
udito l’Avvocato PALADIN FRANCESCO.

contro

FATTI DI CAUSA
1. Colombera Mauro, dipendente della società Trenitalia s.p.a. con
mansioni di macchinista e R.S.U., era stato destinatario di sei
procedimenti disciplinari, dei quali i primi quattro definiti con la
sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione (fatti

su treno della società e ad altri episodi di rifiuto della prestazione) e
gli ulteriori procedimenti culminati con due licenziamenti del 5 e del
15 febbraio 2013, dei quali il primo connesso alla contestazione del
10 gennaio 2013 per l’episodio dell’invio di una mail in data
11.12.2012 ed il secondo ad una contestazione del 23 gennaio 2013,
per rifiuto della prestazione nei gg. 10-12-18 dicembre 2012.
2. Il Tribunale di Treviso aveva ritenuto che non potesse essere
irrogato il primo licenziamento in quanto il fatto contestato integrava
una delle ipotesi di responsabilità disciplinare a cui era applicabile una
sanzione conservativa e che il secondo fosse inefficace ed invalido in
quanto non inerente a fatti sopravvenuti, essendo stata predisposta
la relativa contestazione in data precedente alla lettera di invio del
primo licenziamento.
3.

Con sentenza non definitiva del 29.1.2016, la Corte di appello di

Venezia rigettava il reclamo principale proposto da Trenitalia s.p.a.
avverso la decisione del Tribunale di Treviso, osservando che era
connotata da carattere ingiurioso la sola frase con la quale il
lavoratore, in sede di giustificazioni, aveva apostrofato la dirigenza
come “sorda e arrogante”, in quanto le ulteriori espressioni triviali
erano indice soltanto dello spirito polemico e conflittuale animante
l’autore delle stesse e rilevando che difettava il livello di gravità
richiesto anche perché la condotta era punita con sanzione
conservativa. Quanto all’abusivo impiego e diffusione di indirizzi mail
cui la stessa mail era indirizzata ad altri soggetti, estranei alla
i

relativi al rifiuto della prestazione, relativi all’abusivo viaggio a Roma

dirigenza aziendale, non poteva considerarsi violato il vincolo della
segretezza, ma doveva ritenersi che la condotta fosse sanzionabile
con provvedimento conservativo (art. 61 lett. e del c.c.n.l. di
riferimento). Doveva, pertanto, ritenersi che per una parte delle
condotte contestate era risultato insussistente il fatto materiale e che

4. Sulla reiterazione del licenziamento, anche con riferimento alla
previsione della contestualità delle motivazioni, i fatti posti a base del
secondo licenziamento risalivano al 10, 11 e 18 dicembre 2013, e
quindi a periodo anteriore al primo licenziamento, sicchè doveva
ritenersi consumato il potere di sanzionarli, posto che il datore era già
nella condizione di valutare unitariamente i fatti addebitati e di
procedere con un solo atto sanzionatorio. Quanto alla sanzione della
reintegra per il secondo licenziamento, il Collegio rinviava alle
considerazioni espresse, ritenendo applicabile tale tipo di tutela anche
in relazione all’assorbimento dei motivi attinenti al merito del secondo
licenziamento.
5.

Veniva, poi, respinto il reclamo incidentale del Colombera,

rilevandosi come il vizio relativo alla tempestività del secondo
licenziamento trovasse sanzione nella previsione dell’art. 18, comma
6, I. 300/70 come novellato, e che le sanzioni conservative erano
state valutate ai fini della recidiva, non contestata specificamente dal
reclamante incidentale.
7. Infine, veniva disposta la prosecuzione del giudizio per consentire
l’esibizione della documentazione utile alla prova

dell’aliunde

perceptum e percipiendum.

8. Di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando
l’impugnazione a sei motivi – illustrati con memoria deposita ai sensi

2

per le altre la punibilità era consentita con sanzione conservativa.

dell’art. 378 c.p.c. -, cui resiste, con controricorso, il Colombera, il
quale propone ricorso incidentale, basato su cinque motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Preliminarmente, deve disattendersi l’eccezione, sollevata in

del ricorso incidentale sul rilievo che l’impugnazione sarebbe
consentita anche , al ricorrente incidentale nel termine di gg. 60
previsto dall’art. 1 comma 62 e ss., I. 92/2012 a pena di decadenza,
mancando una norma che abiliti l’impugnazione tardiva.
2. Va osservato che l’art. 1 I. 92/2012 stabilisce, al comma 62 – con
norma speciale rispetto alla disciplina generale del cosiddetto termine
breve di impugnazione dettata dagli artt. 325 e 326 cod. proc. civ. che il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte
di appello a definizione del reclamo “deve essere proposto, a pena di
decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa o
dalla notificazione se anteriore”. Tale previsione non autorizza a
ritenere, tuttavia, che anche il ricorrente incidentale debba rispettare
tale termine di decadenza. Al riguardo può, invero, richiamarsi quanto
affermato, sebbene con riguardo al reclamo incidentale, da Cass.
29.11.2016 n. 28425, secondo cui “Le esigenze acceleratorie previste
dal rito di cui all’art. 1, commi 48 e segg. della I. n. 92 del 2012
riguardano l’impulso processuale e la struttura (bifasica) del
procedimento di primo grado, mentre la disciplina processuale in
tema di reclamo deve necessariamente integrarsi con quella in tema
di appello nel rito del lavoro, sicché, una volta proposto
tempestivo reclamo principale, deve ritenersi che il reclamato ben
possa proporre (anche ai sensi dell’art. 24 Cost.) reclamo incidentale,
nei termini di cui all’art. 436 c.p.c”. In simmetria con la previsione di
tale possibilità deve, pertanto, ritenersi che valgano ugualmente, per
il ricorso incidentale ex art. 371 c.p.c., le modalità e le previsioni
3

memoria dalla ricorrente, relativa alla inammissibilità, per tardività,

degli artt. 333 e 334 c.p.c., ai fini della proposizione di impugnazione
incidentale tardiva avverso la sentenza emessa in sede di reclamo ai
sensi dell’art. 1, comma 60, I. 92/2012.
3. Con il primo motivo del ricorso principale, è denunziata violazione
dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., dolendosi la

in ordine alla esistenza di sanzione conservativa per le condotte poste
a fondamento del primo licenziamento, pure in assenza di allegazione
al riguardo, avendo pronunciato

ultra petita

sotto il profilo

dell’inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa.
4. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione
degli artt. 1324, 1362 e ss., 2104, 1175 e 1375 c.c., dell’ art. 56
c.c.n.l. Mobilità/Attività Ferroviarie 20.7.2012 e dell’art. 18, 4°
comma, I. 300/70, quanto all’interpretazione delle giustificazioni alla
prima contestazione rese nell’e-mail 11 dicembre 2012, sostenendosi
che, alla luce dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, doveva
ritenersi sussistente l’atteggiamento intimidatorio assunto dal
lavoratore (frase : “ci vedremo in Tribunale”) e che doveva essere
considerato anche l’atteggiamento ostile e sprezzante assunto nella
lettera in questione, sicchè non poteva sostenersi che le espressioni
utilizzate fossero espressive di un mero intento difensivo.
5. Con il terzo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione degli
artt. 61, 62 e 64 CCNL, dell’art. 18, 4 0 comma, I. 300/70, per avere
la Corte ricondotto la fattispecie alla previsione di cui all’art. 61, lett.
e, CCNL in assenza dei suoi elementi costitutivi, in quanto la
fattispecie, fatta rientrare dalla Corte nella suddetta ipotesi
(inosservanza di leggi o regolamenti o dei doveri di servizio che
avrebbe….), rientrava più correttamente in quella di cui alla lett. c
dello stesso articolo, che prevede “Violazione dolosa di leggi, di
regolamenti o dei doveri che possano arrecare o abbiano arrecato
4

società ricorrente della valutazione compiuta dal giudice del gravame

forte pregiudizio all’azienda o a terzi”. Si rileva, poi, come erroneo sia
anche il richiamo alla previsione di sanzione conservativa ex art. 62
lett. c) c.c.n.l. (“per minacce o ingiurie gravi verso altri dipendenti
dell’azienda o per manifestazioni calunniose o diffamatorie, anche nei
confronti dell’azienda”), per non essersi il Colombera limitato a

disposizioni aziendali nell’utilizzo e diffusione abusivi di indirizzi di
posta aziendali. Si sostiene che sia incorso anche nell’illecito di cui
all’art. 167 d. Igs. 196/2003 e che la condotta addebitata sia prevista
dall’art. 64 lett. c) ccnI – licenziamento senza preavviso – “violazione
dolose di leggi regolamenti o dei doveri che possano arrecare o
abbiano arrecato forte pregiudizio all’azienda o a terzi”.
6) Con il quarto motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa
applicazione dell’art. 7 I. 300/70 e dell’art. 66 c.c.n.I., in relazione alla
ritenuta avvenuta consumazione del potere di recesso con riguardo al
secondo licenziamento (per essere già note, alla data di intimazione
del primo licenziamento del 5 febbraio 2002, le condotte, già
contestate, poste a fondamento del secondo licenziamento), sul
rilievo che la società aveva posto a fondamento del primo
licenziamento i soli fatti addebitati con contestazione disciplinare del
10.1.2013, poiché il secondo procedimento disciplinare, nel rispetto
dalla procedura dei cui all’art. 7 n. 300/70 e delle relative previsioni
collettive (art. 66) era ancora pendente. Osserva, a sostegno delle
indicate affermazioni, che, con lettera del 10 gennaio 2013,
consegnata il 17.1.2013, la società aveva elevato contestazione
disciplinare relativa all’e-nnail dell’il dicembre 2012, sicchè, dovendo
il provvedimento disciplinare essere notificato entro 10 gg. dalla
scadenza del termine assegnato al dipendente per le giustificazioni, la
società non avrebbe potuto procrastinare il primo licenziamento,
ponendosi al più un problema di tempestività della contestazione, la

manifestazione diffamatoria, ma avendo lo stesso violato le

cui violazione non comportava la reintegra, ma la tutela di cui all’art.
18, comma 6, I. 300/70.
7. Il quinto motivo ascrive alla decisione impugnata la violazione
dell’art. 112 c.p.c., per l’omessa pronuncia, con riguardo al “rinvio
alle superiori considerazioni” in relazione alla disposta reintegra anche

8.

Il sesto motivo attiene alla denunzia di violazione e falsa

applicazione dell’art. 18, comma 4 0 , I. 300/70, per avere la Corte del
merito confermato l’applicazione del regime di tutela reintegratoria in
assenza dei relativi presupposti e delle ipotesi previste dalla legge,
essendo da ritenere, peraltro, sussistenti i fatti addebitati al
ricorrente.
9. Il primo motivo del ricorso principale è da disattendere, sul rilievo
che nel controricorso il Colombera riporta ampi stralci del ricorso ex
art 1, comma 51, I. 92/2012, nonché le relative conclusioni, oltre che
del ricorso in opposizione, in cui si evidenzia che l’ipotesi contestata
non rientra tra quelle per le quali la contrattazione collettiva sancisce
il licenziamento per giusta causa e che, in ogni caso, in tutti i casi
riconducibili all’ipotesi contestata al ricorrente, la contrattazione
collettiva prevede delle sanzioni di tipo conservativo.
10. Il secondo motivo contiene rilievi, con richiamo alla violazione
dell’art. 1362 c.c., oltre che ai principi di correttezza e buona fede ed
alle norme contrattuali in tema di doveri del dipendente nonchè del
codice etico, di carattere affatto generico quanto alla censurata
interpretazione della e-mail dell’11.12.2012, non contestandosi nello
specifico la violazione dei canoni ermeneutici applicabili agli atti
unilaterali ai sensi dell’art. 1324 c.c., essendo piuttosto la critica
finalizzata ad ottenere una diversa lettura delle frasi richiamate e
l’attribuzione alle stesse di una valenza intimidatoria che il giudice del

6

per il secondo licenziamento.

gravame, nell’ambito di un esame allo stesso riservato, ha, invece,
escluso. La censura non può, invero, limitarsi a prospettare una pur
plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata
sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di
altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la

di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 17.7.2007 n.
15890, Cass. 18.4.2007 n. 9245, Cass: 22.6.2017 n. 15471).
La possibilità di censurare tale accertamento in sede di legittimità, a
parte l’ipotesi in cui la motivazione sia così inadeguata da non
consentire la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere ad
attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, è limitata al
caso di violazione delle norme ermeneutiche, violazione da dedursi,
peraltro, con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del
modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato,
poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto
della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione
diversa, sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di
giustificazione prospettate come più congrue. (cfr. Cass. 23.8.2006 n.
18375). In definitiva, l’interpretazione alternativa fornita dalla
ricorrente, sebbene contenga elementi suggestivi che avrebbero
potuto integrare il diverso approdo ermeneutico che essa indica e
sollecita, non contiene tuttavia elementi tali da far ritenere come
erroneo il risultato interpretativo oggetto di impugnazione.
11. In ordine al terzo motivo, deve richiamarsi quanto già
reiteratamente affermato da questa Corte secondo cui la denuncia di
violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di
lavoro, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., come
modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n.40, è parifìcata sul
piano processuale a quella delle norme di diritto, sicché, anch’essa
comporta, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in
7

valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività

base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss.
cod. civ.) come criterio interpretativo diretto e non come canone
esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della
motivazione, senza più necessità, a pena di inammissibilità della
doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente

del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una
loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti
(cfr. Cass. 6335 del 19.3.2014, Cass. 18946/2014, Cass.
21888/2016, Cass. 17244/2015). Ciò posto, va rilevato che l’esame
del giudice del gravame è stato compiuto con specifico riguardo alle
norme della contrattazione collettiva richiamate, ritenendosi la piena
sussumibilità di una parte delle condotte avente contenuto ingiurioso
e diffamatorio, (là dove si apostrofa la dirigenza come “sorda e
arrogante”) nella previsione dell’art. 62 c.c.n.I., che prevede la
sanzione edittale conservativa, e riconducendosi le ulteriori
espressioni triviali – prive di intento offensivo e non rivelatrici di
atteggiamento ostile ed intimidatorio (con riguardo ai doveri sanciti
dall’art. 56 ccnI e previsti dal codice etico), se non per i toni eccessivi
– nell’ambito dell’esercizio del diritto di difesa in relazione ai numerosi
addebiti disciplinari susseguitisi in un ridotto contesto temporale.
Rispetto a tale sussunzione, che trova ragione nella valutazione del
comportamento del lavoratore e non nell’erronea interpretazione delle
norme contrattuali di riferimento, le critiche risultano non pertinenti.
Altrettanto è a dirsi con riguardo alla sussunzione della diffusione
degli indirizzi mail nella diversa fattispecie indicata dalla ricorrente,
ossia quella dell’art. 64 lett c) c.c.n.I., dovendo considerarsi che la
violazione vagliata dalla Corte territoriale è stata ridimensionata in
relazione all’esclusione del vincolo di segretezza che ne avrebbe
comportato una più grave connotazione ai fini della sussunzione nella
diversa previsione contrattuale, in luogo di quella individuata dall’art.
8

violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte

61 lett. e) del culi per la quale è prevista la comminatoria della
sospensione, cui è stata ricondotta la violazione nella meno rilevante
configurazione ritenuta.
12. Nel quarto motivo, si contesta quanto affermato in sentenza in
ordine alla consumazione del potere di irrogare il secondo

poste a fondamento dello stesso nella prima contestazione. La
questione, per come prospettata, evidenzia come, in virtù della
norma contrattuale richiamata (art. 66 c.c.n.I.) non era consentito
alla società procrastinare oltre il decimo giorno l’adozione del
provvedimento disciplinare rispetto alla scadenza del termine
assegnato al dipendente per le sue giustificazioni in relazione alla
contestazione del 10 gennaio e che, al più, si sarebbe potuto porre un
problema di tempestività della contestazione del 28 gennaio 2013,
con applicazione di regime sanzionatorio solo indennitario (art. 18,
comma 6, I. 300/70. Al riguardo, deve osservarsi, in linea con
quanto affermato da questa Corte, che, in tema di licenziamento in
regime di tutela reale, ove il datore di lavoro abbia intimato al
lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva
comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo,
purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo
diverso e sopravvenuto (nel senso di non noto in precedenza al
datore di lavoro) e la sua efficacia resti condizionata all’eventuale
declaratoria di illegittimità del primo (Cass. 4.1.2013 n. 106). In ogni
caso, alla difficoltà procedurale segnalata dalla ricorrente, che
avrebbe impedito di intimare il primo licenziamento anche per i fatti
già contestati posti poi a fondamento del secondo licenziamento,
avrebbe potuto ovviarsi con la possibilità, prevista dalla stessa norma
contrattuale richiamata da Trenitalia, di procedere alla prima
contestazione oltre il termine previsto dal comma 2 dell’art. 66 ccnI

9

licenziamento, in relazione alla possibilità di comprendere le condotte

(“di norma entro 30 giorni”) o di sospendere il primo procedimento,
per pervenire all’irrogazione di una sanzione unica.
13. Quanto al vizio di omessa pronuncia dedotto con il quinto motivo,
va rilevato che in realtà la Corte d’appello si è espressa sul punto
laddove ha richiamato le argomentazioni spese “circa il trattamento

dell’art. 18, connma 4, della I. 300 del 1970 novellato”, sicchè la
pronunzia deve essere intesa come consequenziale alla rilevata
consumazione del potere di irrogare il secondo licenziamento, e tanto
è sufficiente per disattendere la censura, a prescindere dalla
correttezza o meno della soluzione adottata.
14. Il sesto motivo evidenzia l’erroneità della decisione laddove ha
applicato il 4 0 co. dell’art. 18 I. 300/70 senza avere accertato la
ricorrenza di alcuna delle ipotesi che determinano l’applicazione del
relativo regime sanzionatorio, assumendosi che i fatti erano
sussistenti.

Al riguardo è sufficiente osservare l’irrilevanza della

sussistenza dei fatti di cui al secondo licenziamento a fronte della
ritenuta consumazione del potere di recesso in relazione a fatti già
conosciuti all’epoca del primo licenziamento (ed in parte anche
antecedentemente alla prima contestazione), sicchè, in coerenza con
una tale ricostruzione, che prevede l’inesistenza del potere
sanzionatorio, non era ipotizzabile una tutela di rango inferiore a
quella riconosciuta.
15. Il RICORSO INCIDENTALE prospetta, nei cinque motivi in cui si
articola, la violazione e falsa applicazione delle norme di seguito
riportate:
15.1. degli artt. 66 c.c.n.I., 7 I. 300/70, art. 2966 c.c. e 1373 c.c.,
assumendosi che l’avvenuta decadenza, per effetto della norma
dell’art. 66 , 2° co, c.c.n.l. (contestazione dell’ addebito in 30 gg.)
10

sanzionatorio riservato alla fattispecie concreta, con applicazione

dalla facoltà di contestare l’addebito, causi la nullità del successivo
licenziamento intimato sul presupposto di tale contestazione;
15. 2. degli artt. 112, 125, 434 e 414 c.p.c., 58-60 I. 92/12, d. Igs.
196/2003 art. 4 comma 1 lett. b) e lett. m), sostenendosi che la
società aveva eccepito solo che nella sentenza resa in sede di

non fossero coperti da “vincolo di segretezza” e che la sentenza
impugnata aveva, invece, ritenuto abusivo impiego e diffusione degli
indirizzi, con violazione dell’ art. 4, comma 1, lett. b) e lett. m), del d.
Igs. 196/2003, in difetto di uno specifico motivo di reclamo sul punto;
15. 3. del d. Igs. 196/03 art. 4 lett. I) e lett. m), degli artt. 112, 116
c.p.c. e 1362 c.c., sostenendosi che illegittimamente la Corte di
Venezia ha ritenuto ravvisabile la fattispecie “diffusione” e non quella
di “comunicazione” previste partitamente da tali disposizioni;
15. 4. dell’art. 5 I. 604/66, artt. 112 e 116 c.p.c. e 1362 c.c., per
avere la sentenza ritenuto che nella e-mail 11.12.2012 fossero
indicati degli indirizzi e-mail, viceversa non contenuti nella stessa;
15. 5. degli artt. 1324, 1325, n. 2 e 3, 1418, 2118 e 2119 c.c., artt.
2 e 3 I. 604/66 e 7 I. 300/70, sul rilievo che la sentenza di
annullamento del licenziamento emessa ex art. 18 I. 300/70 va
qualificata costitutiva, anteriormente alla pronuncia della quale il
rapporto di lavoro va ritenuto cessato per effetto del licenziamento
annullato e che pertanto un successivo licenziamento intimato
anteriormente a detta sentenza, deve ritenersi privo di effetto ed
invalido per carenza di causa e mancanza di oggetto.
16.

Quanto al primo motivo, che si fonda sulla mancanza di

tempestività della contestazione disciplinare, con richiamo al comma
2° dell’art. 66 c.c.n.I., si osserva che la violazione dell’obbligo relativo
da parte del datore di lavoro non può condurre alle conseguenze
11

opposizione era stato ritenuto erroneamente che gli indirizzi e-mail

volute dal Colombera, giusta quanto affermato da ultimo nella
sentenza a s. u. di questa Corte 27.12.2017 n. 30985. In relazione al
profilo in questione (tardività della contestazione disciplinare) è stato
sancito che, “sussistendo l’inadempimento posto a base del
licenziamento, ma non essendo tale provvedimento preceduto da una

contrarietà del comportamento del datore di lavoro ai canoni di
correttezza e buona fede, la conclusione non può essere che
l’applicazione del quinto comma dell’art. 18 dello Statuto dei
lavoratori. Diversamente, qualora le norme di contratto collettivo o la
stessa legge dovessero prevedere dei termini per la contestazione
dell’addebito disciplinare, la relativa violazione verrebbe attratta, in
quanto caratterizzata da contrarietà a norma di natura
procedimentale, nell’alveo di applicazione del sesto comma del citato
art. 18 che, nella sua nuova formulazione, è collegato alla violazione
delle procedure di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e
dell’articolo 7 della legge n. 604 del 1966”. In definitiva, il principio
di diritto affermato, cui va dato seguito nel caso di specie, è il
seguente: “La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento
disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non
giustificato della contestazione dell’addebito posto a base dello stesso
provvedimento di recesso, ricadente “ratione temporis” nella
disciplina dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, così come
modificato dal comma 42 dell’art. 1 della legge n. 92 del 28.6.2012,
comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista
dal quinto comma dello stesso art. 18 della legge n. 300/1970.”
17. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo vanno ritenuti
inammissibili, al di là della valutazione di ulteriori profili di seguito
precisati, perché non sussiste l’interesse alla relativa proposizione,
dal momento che il relativo accoglimento non potrebbe condurre in
ogni caso a conseguenze diverse da quelle di cui alla sentenza
12

tempestiva contestazione disciplinare a causa dell’accertata

impugnata, che ha confermato la tutela reintegratoria di cui all’art.
18, comma 4 0 I. 300/70 già prevista nella decisione assunta all’esito
del giudizio di opposizione, ai sensi dell’art. 1 comma 57 I. 92/2012,
dal Tribunale di Treviso in riforma dell’ordinanza della fase sommaria.
Ed invero, quand’anche si accertasse che alcuni dei fatti inerenti alle

valutati o fossero da ritenersi insussistenti alla stregua dei rilievi
svolti, in ogni caso, il regime di tutela non sarebbe stato diverso da
quello riconosciuto, essendo il medesimo (tutela reintegratoria con
regime indennitario attenuato) sia per l’ipotesi di insussistenza del
fatto contestato, sia per quella relativa alla non riconducibilità dello
stesso tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla
base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici
disciplinari applicabili. Quindi i motivi vanno intesi come proposti a
titolo di ricorso incidentale condizionato e come tali assorbiti per
effetto del rigetto del ricorso principale.
18. In ogni caso, quanto al secondo motivo, sarebbe stato necessario
anche trascrivere il contenuto della sentenza conclusiva del giudizio di
opposizione per la parte di interesse al fine di valutare, in termini di
completezza, la reale sussistenza della dedotta ultrapetizione
prospettata con riguardo ai motivi di reclamo e, quanto al quarto
motivo, un ulteriore profilo di sua inammissibilità va ravvisato nel
mancato richiamo ad analoghi rilievi circa la diversità degli indirizzi
della contestazione rispetto a quelli contenuti nella mali in sede di
giustificazioni fornite nel corso del procedimento disciplinare, a
prescindere dalla mancata evidenziazione della decisività della
dedotta diversità.
19. Anche il quinto motivo è infondato, posto che lo stesso si fonda
su orientamento giurisprudenziale (Cass. 5.4.2001 n. 5092, cui è
conforme Cass. 11.1. 2011 n. 459) superato dal successivo – cui va

13

condotte oggetto della prima contestazione non potessero essere

dato seguito per condivisione da parte del Collegio dei relativi principi
– espresso da Cass. 20.1.2011 n. 1244 e Cass. 6.3.2008 n. 6055,
secondo cui il secondo licenziamento è validamente intimabile,
sebbene produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto
invalido o inefficace il precedente.

ricorso principale e di quello incidentale.
21. La reciproca soccombenza giustifica la integrale compensazione
tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.
22. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR
115 del 2002 per entrambe le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa
tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento
da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale a norma
dell’art.13, comma1bis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, in data 6 aprile 2018
Il Consigliere estensore
Dott. Rosa Arienzo

20. Per tutte le considerazioni svolte, deve pervenirsi al rigetto del

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA