Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19089 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/07/2021, (ud. 16/04/2021, dep. 06/07/2021), n.19089

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36620-2019 proposto da:

R.G., R.A., M.T., RI.GI.,

C.F., G.D., D.S.O., R.E.,

D.S.M., C.G., T.G., G.F.,

T.G.F., P.F., M.G.,

S.D.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 4, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE CORONAS, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato UMBERTO CORONAS,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il

18/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/04/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato;

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con decreto del 23.5.2016 la Corte d’appello di Perugia, accogliendo l’opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, del Ministero dell’Economia e delle Finanze riduceva a Euro 3.000,00 l’importo liquidato in sede monitoria in favore di ciascuno dei ricorrenti. A tale risultato la Corte territoriale perveniva sottraendo dalla durata irragionevole del giudizio amministrativo presupposto, iniziato nel 2001, il lasso temporale intercorso tra il 16.3.2010 (recte, 2011), ritenuto termine finale per la presentazione dell’istanza di cui all’art. 1 c.p.a., comma 1, all. 3, e il 26.5.2014, data della revoca del decreto di perenzione, siccome interamente imputabile all’inerzia dei ricorrenti.

Questi ultimi contro questo decreto proponevano impugnazione per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, assumendo che la Corte territoriale non si era avveduta che essi avevano documentato agli atti la presentazione dell’istanza di cui all’art. 1 c.p.a., comma 1, all. 3.

Tale impugnazione era respinta dalla Corte d’appello di Perugia con decreto 6.7.2017, con il quale rilevava di non essere incorsa in nessun errore, in quanto ciò che i ricorrenti avevano presentato nel giudizio amministrativo non era la dichiarazione di interesse ai sensi dell’art. 1 c.p.a., comma 1, all. 3, da depositare entro 16.9.2010 (recte, 13.3.2011, trattandosi di un termine a giorni e non a mesi), tant’è che il processo presupposto era stato dichiarato perento, ma l’istanza di revoca del decreto di perenzione in base alla medesima norma, comma 3, entro il termine di 180 dalla comunicazione dello stesso decreto di perenzione.

La cassazione di entrambi i decreti anzi detti è stata chiesta dai ricorrenti con separati ricorsi.

Nella resistenza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, questa Corte con ordinanza n. 11152 del 9 maggio 2018 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il decreto pronunciatosi sulla revocazione, ha accolto il ricorso avverso il primo decreto della Corte d’Appello emesso in data 23.5.2016, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, per provvedere anche sulle spese di cassazione.

La Corte, per quanto rileva ancora in questa sede, nel decidere l’impugnazione nei confronti del primo decreto della Corte territoriale, e nell’esaminare l’unico motivo di ricorso, che deduceva la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e ss., art. 6 CEDU, D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 1, comma 1, all. 3, e dei principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU e dalla S.C. di Cassazione in materia di violazione del diritto ad una durata ragionevole del processo, rilevava che l’art. 1 c.p.a., all. 3, dispone che nel termine di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice, le parti presentano una nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all’art. 24 del codice, e dal suo difensore, relativamente ai ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non è stata ancora fissata l’udienza di discussione. In difetto, il ricorso è dichiarato perento con decreto del presidente (comma 1).

Se tuttavia, nel termine di centottanta giorni dalla comunicazione del decreto, il ricorrente deposita un atto, sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore e notificato alle altre parti, in cui dichiara di avere ancora interesse alla trattazione della causa, il presidente revoca il decreto disponendo la reiscrizione della causa sul ruolo di merito (comma 2).

Se, nella pendenza del termine di cui al comma 1, è comunicato alle parti l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione, il giudice provvede ai sensi dell’art. 82 del codice, comma 2 (comma 3).

Orbene, il provvedimento impugnato aveva dato per presupposto che i ricorrenti non avessero presentato la dichiarazione di interesse (recte, la nuova domanda di fissazione dell’udienza) per evitare la perenzione del processo, avendola poi depositata soltanto il 25.7.2012. Ma ciò senza considerare nè la prima istanza del 9.3.2011, depositata nei 180 gg. dall’entrata in vigore del c.p.a. e dunque da valutare ai sensi del precitato art. 1, comma 1; nè il fatto che, ad ogni modo, anche cioè a non considerare l’istanza del 9.3.2011, la successiva dichiarazione resa il 25.7.2012 ai sensi dell’art. 1 c.p.a., comma 2, all. 3, avrebbe comunque riaperto la pendenza del processo. Circostanze tutte non valutate dalla Corte di merito.

Pertanto, il decreto 23.5.2016 andava cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia, che avrebbe provveduto ad un rinnovato esame del merito e alle spese di cassazione.

Riassunto il giudizio, la Corte d’Appello di Perugia, con decreto n. 274 del 18 giugno 2019, accoglieva l’opposizione proposta avverso il decreto del Consigliere delegato, e per l’effetto condannava il Ministero, in relazione alla durata complessiva del giudizio, al pagamento della somma di Euro 4.000,00 in favore di ognuno dei ricorrenti.

Per la cassazione di tale decreto propongono ricorso le originarie parti ricorrenti sulla base di tre motivi.

L’Amministrazione non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c., nonchè della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e ss., come modificati dalla L. n. 134 del 2012, di conversione del D.L. n. 83 del 2012, nonchè dell’art. 6CEDU, del D.Lgs. n. 140 del 2010, art. 1, comma 1, e dei consolidati principi enunciati sia dalla Corte Edu che alla Corte di Cassazione in tema di danno da violazione del diritto alla ragionevole durata del processo.

Si assume che i giudici del rinvio, pur avendo nella sostanza recepito gli effetti della sentenza di questa Corte che aveva cassato il primo decreto della Corte territoriale, riconoscendo che il danno dovesse essere commisurato ad una durata non ragionevole del processo presupposto pari a dieci anni, hanno tuttavia liquidato la somma di Euro 4.000,00 senza fornire alcuna motivazione in merito al criterio seguito per la liquidazione stessa.

Inoltre, poichè nel primo decreto emesso, l’indennizzo era stato riconosciuto nella somma di Euro 500,00 per anno (atteso che era stata liquidata la somma di Euro 3.000,00 a fronte di una durata ritenuta irragionevole pari a sei anni), doveva ritenersi che l’importo di Euro 500,00 annui fosse ormai coperto dall’efficacia di giudicato e vincolasse quindi anche il giudice del rinvio allorquando sia chiamato alla liquidazione.

Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 156c.p.c., comma 2, nonchè dell’art. 118disp. att. c.p.c., e dell’art. 111 Cost., con la conseguente nullità del decreto impugnato, in quanto la liquidazione di Euro 400,00 per ogni anno di ritardo risulta del tutto immotivata o apparentemente motivata.

I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono fondati.

Sebbene non possa ritenersi che la precedente liquidazione compiuta dal giudice di merito in una somma corrispondente ad Euro 500,00 annui sia coperta da efficacia di giudicato, atteso che, a seguito della cassazione del primo decreto da parte di questa Corte, il giudice del rinvio era stato sollecitato ad un rinnovato esame del merito, che tenesse conto quindi della diversa durata del processo suscettibile di essere presa in considerazione ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, durata idonea ad incidere quindi anche sui criteri di determinazione dell’indennizzo (cfr. Cass. n. 14966 del 2012, secondo cui in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, l’importo unitario, in base al quale è stata effettuata dal giudice di merito la liquidazione del pregiudizio, pur in assenza di ricorso incidentale, non è suscettibile di passare in giudicato, trovando applicazione, in materia, il principio – enunciato con riferimento alla indennità di espropriazione, ma di portata generale – secondo cui non è concepibile un’acquiescenza al criterio legale di determinazione dell’indennità stessa, posto che il bene della vita alla cui attribuzione tende l’impugnante è l’indennità, da liquidarsi nella misura di legge, non l’indicato criterio legale in sè considerato; conf. Cass. n. 26442 del 2013), va però osservato che ratione temporis, trattandosi di domanda introdotta il 14/10/2015, risulta applicabile la previgente formulazione della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, che prevede che “Il giudice liquida a titolo di equa riparazione una somma di denaro, non inferiore a 500 Euro e non superiore a 1.500 Euro, per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo”.

In tal senso va richiamato quanto affermato da questa Corte e cioè che (cfr. Cass. n. 25837 del 2019), in assenza di norme che dispongano diversamente e in forza dell’art. 11 disp. att. c.c., la L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, commi 1 e 1-ter, introdotti dalla L. n. 208 del 2015, dettando una nuova disciplina che prevede l’applicabilità dell’abbassamento a 400 Euro del minimo annuo, nonchè la riducibilità ulteriore di un terzo in caso di rigetto della domanda nel procedimento cui l’azione per l’equa riparazione si riferisce, costituiscono uno “ius superveniens”, che trova applicazione nei soli giudizi introdotti dopo l’1 gennaio 2016.

Ne deriva che nella fattispecie la soglia minima applicabile per la liquidazione dell’indennizzo richiesto risulta pari ad Euro 500,00. E’ pur vero che (cfr. Cass. n. 974 del 2020) in materia di risarcimento del danno per la irragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello di “soglia minima”, ma ciò quando, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto (conf. Cass. n. 12937 del 2012).

Trattasi evidentemente di una facoltà del giudice di merito che però è correlata ad una valutazione in concreto dei richiamati presupposti e che impone, nel momento in cui intende discostarsi dai parametri minimi dettati dal legislatore, una adeguata motivazione che consenta di avvedersi delle specifiche ragioni che lo hanno indotto a tale conclusione.

Nella fattispecie, il provvedimento gravato, facendo unicamente richiamo alla precedente decisione di questa Corte, e pur dando atto della richiesta di parte ricorrente pari ad Euro 5.000,00 in relazione ai dieci anni di durata non ragionevole del processo presupposto, senza alcuna motivazione ha liquidato l’indennizzo nel diverso importo di Euro 4.000,00, e quindi al di sotto dei parametri dettati dal legislatore, non soddisfacendo quindi gli oneri argomentativi che la giurisprudenza di questa Corte ritiene necessario assolvere al fine appunto di addivenire ad una liquidazione inferiore.

Il decreto impugnato deve pertanto essere cassato con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio del precedente giudizio di legittimità e delle precedenti fasi di merito.

L’accoglimento dei precedenti motivi e la conseguente cassazione della decisione gravata, con rinvio al giudice di merito anche per le statuizioni in merito alle spese di lite, determina evidentemente l’assorbimento del terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., e del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, per non avere la Corte d’Appello provveduto anche alla liquidazione delle spese del primo giudizio di legittimità e delle precedenti fasi di merito e per avere comunque liquidato i compensi in misura notevolmente inferiore ai minimi tariffari, avuto riguardo al valore della controversia.

P.Q.M.

Accoglie i primi due motivi di ricorso, ed assorbito il terzo, cassa il decreto impugnato, con rinvio anche per le spese del presente giudizio, del precedente giudizio di legittimità e delle precedenti fasi di merito, alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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