Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19083 del 06/09/2010

Cassazione civile sez. I, 06/09/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 06/09/2010), n.19083

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.B.M., rappresentato e difeso dall’Avv. MARRA Alfonso

Luigi, come da procura a margine del ricorso, domiciliato per legge

presso la cancelleria della Corte di cassazione in Roma;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore, rappresentata e difesa, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di questa

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Napoli

depositato il 20 aprile 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 5 maggio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.B.M. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che, liquidando Euro 3.600,00 per anni due e mesi otto di ritardo, ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale e’ stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR Campania e definito quasi sei anni dopo.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa e’ stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 e’ inammissibile per inidoneita’ del quesito. Posto invero che “il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata e quindi non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimita’: ne deriva che la parte deve evidenziare sia il nesso tra la fattispecie ed il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia, per ciascun motivo di ricorso il principio, diverso da quello posto alla base del provvedimento impugnato, la cui auspicata applicazione potrebbe condurre ad una decisione di segno diverso” (Cassazione civile, sez. 3^, 9 maggio 2008, n. 11535) al richiamato canone non pare rispondere il quesito proposto che si limita ad enunciare un principio generale relativo ai rapporti tra normativa nazionale e Convenzione senza che risulti l’attinenza con la concreta fattispecie.

Il secondo motivo con il quale si denuncia violazione di legge e difetto di motivazione deducendosi che la Corte d’appello non avrebbe correttamente determinato la durata dei processo sulla quale parametrare il danno in quanto ha ritenuto di dover considerare solo il tempo eccedente la ragionevole durata mentre, una volta constato che quest’ultima era stata superata, avrebbe dovuto rapportare l’indennizzo all’intera durata del processo in ossequio alla giurisprudenza della Corte europea e’ manifestamente infondato alla luce del diverso principio enunciato dalla Corte secondo cui “in tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensi’ solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 3, conformemente ai principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sui ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo (Sez. 1^, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

Il terzo motivo con il quale si denuncia l’insufficiente quantificazione dell’equo indennizzo e’ manifestamente infondato.

Premesso che la Corte ha enunciato il principio secondo cui “Secondo i parametri indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale e’ tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione) e’ di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado; e l’equa riparazione deve essere liquidata in una somma variabile tra i mille/00 ed i millecinquecento/00 Euro per ciascun anno eccedente il termine ragionevole (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14), nessuna censura puo’ essere mossa all’impugnata decisione che, quantificando in quasi 1.500 euro in ragione d’anno il danno morale conseguente all’irragionevole durata del processo eccedente i tre anni, si e’ attenuta ai richiamati parametri, non essendo stati evidenziati convincenti elementi che avrebbero dovuto comportare una maggiore liquidazione.

Con il quarto, il quinto e il sesto motivo, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, si deduce violazione della Convenzione e della L. n. 89 del 2001 e difetto di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 per la particolare natura della controversia (lavoro e previdenza).

I motivi sono manifestamente infondati, essendosi gia’ affermato dalla Corte che “In tema di equa riparazione per eccessiva durata del processo, le considerazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla centralita’ dell’occupazione e sulla relativa opportunita’ di riconoscere un bonus, svincolato da qualsiasi parametro e dovuto in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia, non determinano alcun automatismo nell’indennizzo: tocca al giudice nazionale valutare caso per caso l’importanza della controversia senza alcun obbligo di motivazione laddove venga esclusa la liquidazione di una somma ulteriore rispetto agli standard fissati dalla Cedu e dalla L. n. 89 del 2001″(Cassazione civile, sez. 1^, 12 gennaio 2009, n. 402).

Con gli ulteriori motivi di ricorso, la cui trattazione puo’ avvenire in modo unitario concernendo la liquidazione delle spese operata dalla Corte d’appello, si denuncia violazione della Convenzione, delle norme processuali sulla liquidazione delle spese e della tariffa forense nonche’ carenza di motivazione per avere il giudice del merito liquidato i diritti e gli onorari in modo difforme dagli standard della Corte europea e comunque discostandosi immotivatamente dalla nota spese e dalla tariffa professionale.

I motivi sono manifestamente fondati nei limiti di seguito precisati, dovendosi liquidare le spese del giudizio in materia di equa riparazione in base alle tariffe dei procedimenti ordinari contenziosi e risultando la quantificazione operata dalla Corte d’appello inferiore ai minimi tabellari;

per contro, e’ manifestamente infondata l’ulteriore pretesa di liquidazione delle spese processuali secondo gli standard seguiti dalla Corte di Strasburgo in quanto nei giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, e non deve tener conto degli onorari liquidati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, i quali attendono al regime del procedimento davanti alla Corte di Strasburgo, posto che la liquidazione dell’attivita’ professionale svoltasi davanti ai giudici dello Stato deve avvenire esclusivamente in base alle tariffe professionali che disciplinano la professione legale davanti ai tribunali ed alle corti di quello Stato (Cass., Sez. 1^, 11 settembre 2008, n. 23397).

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati e di conseguenza cassato in parte qua il decreto impugnato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito e pertanto liquidate le spese del primo grado come in dispositivo.

L’accoglimento del ricorso solo in punto spese induce a compensare per due terzi quelle di questa fase e a porre il residuo a carico dell’Amministrazione soccombente.

PQM

LA CORTE accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese della fase di merito che liquida in complessivi Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per diritti, Euro 445,00 per onorari e Euro 50,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge;

compensa per due terzi le spese del giudizio di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 500,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, e condanna l’Amministrazione alla rifusione del residuo; spese distratte in favore del difensore antistatario.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2010

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