Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19082 del 01/8/2017

Cassazione civile, sez. un., 01/08/2017, (ud. 04/07/2017, dep.01/08/2017),  n. 19082

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Primo Presidente f.f. –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di sez. –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16697-2016 proposto da:

D.L.A., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente della Giunta regionale

pro tempore, elettivamente domiciliatosi in ROMA, VIA POLI 29,

presso l’Ufficio di Rappresentanza della regione stessa,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO SANTONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1507/2016 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 14/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2017 dal Consigliere ANGELINA-MARIA PERRINO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso;

uditi gli Avvocati Antonio Brancaccio, Alessandro Biamonte e

Francesco Santoni.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I ricorrenti, avvocati funzionari dell’Avvocatura della Regione Campania, impugnarono il silenzio-rifiuto opposto dalla Regione alla diffida da loro notificata, volta ad ottenere l’indennità speciale prevista dalla L.R. n. 4 del 2011, art. 1, comma 43, e dall’art. 30, comma 2, del regolamento regionale n. 12/11, ottenendone la dichiarazione d’illegittimità dal Tar Campania, il quale con sentenza n. 1196/15 affermò altresì l’obbligo della Regione di adottare i relativi provvedimenti attuativi.

Si legge nella sentenza impugnata che, in dichiarata ottemperanza a Tar n. 1196/15, la giunta regionale individuò l’ammontare dell’indennità dovuta, ma che gli interessati proposero ricorso per ottemperanza, lamentando che non fossero stati emessi i mandati di pagamento dell’indennità a decorrere dal rateo stipendiale del maggio 2015, oltre che degli arretrati spettanti dal 15 aprile 2012, con i conseguenti adeguamenti fiscali, previdenziali ed assistenziali e chiedendo altresì la condanna della Regione al risarcimento del danno da ritardo.

Il Tar accolse il ricorso, con esclusione del capo risarcitorio, ordinò alla Regione di provvedere nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della sentenza e nominò per il caso d’inadempimento il commissario ad acta.

Di contro, il Consiglio di Stato, adito dalla Regione, in riforma della sentenza del Tar, ha respinto il ricorso di primo grado proposto dagli avvocati, in base alla considerazione che sin dall’origine mancasse la domanda di quantificazione dell’indennità, il che si è riflesso sulla mancanza del relativo capo di sentenza. A tanto ha aggiunto che non si può neanche implicitamente ritenere contenuta nella sentenza la statuizione sul quantum, poichè gli interessati si erano limitati a dolersi dell’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione, quali titolari di interessi legittimi, laddove la controversia sulla spettanza dell’indennità appartiene alla giurisdizione ordinaria.

Contro la sentenza gli avvocati propongono ricorso dinanzi a queste sezioni unite, che affidano a due motivi e che illustrano con memoria.

La Regione reagisce con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con i due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè connessi, gli avvocati lamentano:

– l’eccesso di potere giurisdizionale, in violazione degli artt. 111 Cost., art. 362 c.p.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e artt. 112,113 e 114 c.p.a., e la violazione della riserva di amministrazione, in quanto, deducono, il Consiglio di Stato, benchè abbia affermato che il giudice amministrativo è privo di giurisdizione in relazione all’oggetto della controversia, ha poi pronunciato nel merito, anzichè declinare la propria giurisdizione;

– l’eccesso di potere giurisdizionale, in violazione degli artt. 111 Cost., art. 362 c.p.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e artt. 112,113 e 114 c.p.a., e la violazione della riserva di amministrazione, giacchè, aggiungono, eccedendo i limiti del giudizio di ottemperanza, il Consiglio di Stato ha svolto uno scrutinio di merito della fondatezza della domanda, sconfinando nella riserva di amministrazione, là dove ha rimesso in discussione una vicenda ormai chiusa dalla giunta regionale.

2.- Quanto al primo profilo, secondo i ricorrenti il Consiglio di Stato, avendo escluso la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo “in sede di silenzio”, non sarebbe potuto “entrare nel merito in sede di ottemperanza”, ma si sarebbe dovuto limitare “…a dare atto della giurisdizione per materia del G.O. dichiarando inammissibile il ricorso ex art. 114 c.p.a.”; per altro verso, rilevata l’esecuzione del giudicato amministrativo mediante la delibera della giunta regionale, avrebbe dovuto comunque declinare la propria giurisdizione.

2.1.- Assorbente è la valutazione d’inammissibilità della censura per carenza d’interesse ad impugnare, non essendovi soccombenza sullo specifico capo concernente la giurisdizione, che i ricorrenti stessi hanno individuato in quella amministrativa, avendo adito il Tar dapprima, nel merito, anche per ottenere l’affermazione dell’obbligo della Regione di “…adottare tutti gli atti necessari all’attuazione della L.R. n. 4 del 2011, art. 1, comma 43, e dell’art. 30, comma 2, del Reg.to n. 12/2011…” e, poi, in sede di ottemperanza, per ottenere il pagamento di quanto ritengono sia loro dovuto. E ciò in base al principio di recente affermato da queste sezioni unite (Cass., sez. un., 20 ottobre 2016, n. 21260), le quali hanno rimarcato che l’accertamento sulla giurisdizione integra un capo autonomo della decisione di merito. D’altronde, ancora in memoria gli avvocati sostengono di aver proposto, “ben consapevoli dei limiti della giurisdizione del GA sul merito della pretesa”, soltanto “domande pianamente ascrivibili” alla giurisdizione del giudice adito.

3.- Nel resto, la complessiva censura svolta è parimenti inammissibile per l’ulteriore profilo di eccesso di potere giurisdizionale.

Anzitutto, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il Consiglio di Stato non ha affatto esaminato la fondatezza della domanda originariamente proposta, ma si è limitato ad interpretare il dictum della sentenza per l’ottemperanza della quale era stato adito il Tar. E, nell’interpretare tale sentenza, il Consiglio di Stato ha negato che essa contenesse una pronuncia sulla quantificazione dell’indennità richiesta, riformando su questa base la sentenza di primo grado.

3.1.- In tale ambito, la considerazione relativa alla competenza giurisdizionale sulla spettanza dell’indennità è mero argomento, a sostegno dell’esclusione dell’esistenza di una pronuncia, anche implicita, sul quantum; di per sè sola, quindi, essa non smentisce l’impianto della decisione, in base al canone generale secondo cui la sentenza del giudice amministrativo, impugnata di fronte alle sezioni unite, deve essere esaminata nell’intero contesto dell’iter argomentativo svolto, non potendo estrapolarsi singole espressioni contenute nella decisione (Cass., sez. un., 22 maggio 2012, n. 8071). Il Consiglio di Stato, contrariamente a quanto affermato dagli avvocati, non ha mostrato difatti di dubitare della giurisdizione amministrativa sin dalla proposizione del ricorso avverso il silenzio, là dove ha rimarcato che “…a suo tempo il giudizio di cognizione era stato proposto dagli interessati quali titolari di interessi legittimi, che lamentavano l’illegittimità del silenzio dell’Amministrazione….”.

4.- Va dunque ribadito che la decisione di rigetto della domanda proposta per ottenere l’ottemperanza di un giudicato amministrativo non è sindacabile dalla Corte di cassazione per motivi inerenti all’interpretazione del giudicato e delle norme oggetto di quel giudizio, atteso che gli errori nei quali il giudice amministrativo sia eventualmente incorso, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa (Cass., sez. un., 20 dicembre 2016, n. 26274).

4.1.- E ciò in applicazione del principio generale (per l’espressione del quale vedi, fra varie, Cass., sez. un., 26 aprile 2013, n. 10060 e, più recente, sez. un., 16 novembre 2016, n. 23295), secondo cui, al fine di distinguere le fattispecie, nelle quali è consentito il sindacato della Corte di cassazione sul rispetto dei limiti esterni della giurisdizione nelle decisioni adottate dal Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza, da quelle nelle quali un tale sindacato è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso sia il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni della giurisdizione).

Ne consegue che, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l’interpretazione del giudicato e delle norme oggetto di quel giudizio, gli errori nei quali il giudice amministrativo sia eventualmente incorso, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano all’interno del perimetro giurisdizionale assegnato dalla legge al giudice amministrativo e non sono quindi sindacabili dalla Corte di cassazione.

5.- Nè rileva, come vorrebbero gli avvocati, l’emanazione della deliberazione della giunta regionale sopra indicata.

La deliberazione, come esposto nella sentenza impugnata e come emerge dal suo stesso testo, riportato per stralcio in ricorso, è stata emanata “al fine di dare corretta attuazione alle disposizioni nromative regionali”, “…in esecuzione altresì del citato giudicato del Tar Campania”, sia pure non esaurendo in base alla prospettazione degli avvocati, come specificato in narrativa, tale esecuzione.

Sicchè è da escludere che il Consiglio di Stato, allorquando ha interpretato il giudicato per l’ottemperanza del quale gli avvocati si sono nuovamente rivolti al Tar, abbia manifestato la volontà di sostituirsi a quella dell’Amministrazione, come espressa nella deliberazione in questione, pur sempre esecutiva del giudicato oggetto d’interpretazione.

6.- Le spese seguono la soccombenza.

6.1.- Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte, decidendo a sezioni unite, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese, che liquida in Euro 7500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre al 15% a titolo di spese forfettarie.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2017

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