Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19081 del 01/08/2017
Cassazione civile, sez. un., 01/08/2017, (ud. 04/07/2017, dep.01/08/2017), n. 19081
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni – Primo Pres. f. f. –
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente Sezione –
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –
Dott. MANNA Antonio – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17003-2015 proposto da:
C.F., C.R., C.G., elettivamente
domiciliatisi in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI OLIVERIO;
– ricorrenti –
contro
A.B.C. ACQUA BENE COMUNE DI NAPOLI – AZIENDA SPECIALE, ente
risultante dalla trasformazione della società A.R.I.N. AZIENDA
RISORSE IDRICHE DI NAPOLI S.P.A., in persona del direttore generale
pro tempore, elettivamente domiciliatosi in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GAETANO SILVESTRI;
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro
tempore, elettivamente domiciliatosi in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 78/2015 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE
PUBBLICHE, depositata il 30/04/2015.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/07/2017 dal Consigliere PERRINO ANGELINA-MARIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del
ricorso; udito l’Avvocato Gaetano Silvestri.
Fatto
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti, unitamente a P.F., tutti proprietari del fondo descritto in atti, convennero in giudizio l’Arin s.p.a., attuale ABC Napoli azienda speciale, per sentirla condannare al risarcimento del danno per l’illegittimità della procedura espropriativa relativa al fondo, dovuta alla realizzazione dei lavori di messa in pressione dell’acquedotto del (OMISSIS), lamentando la tardività del decreto di espropriazione, emesso dopo la scadenza della dichiarazione di pubblica utilità; a tanto aggiunsero le richieste di pagamento dell’indennità per l’occupazione legittima delle porzioni in esproprio e di quella per l’occupazione temporanea delle fasce laterali di servizio per esigenze di cantiere. L’Arin contestò le pretese e propose domanda di manleva nei confronti del Commissario straordinario di governo, che si costituì e chiese il rigetto delle domande.
Tutte le domande furono rigettate in primo grado ed il Tribunale superiore delle acque pubbliche ha respinto il successivo appello degli interessati: per un verso, facendo leva sulle proroghe del termine finale dell’occupazione, disposte dapprima con ordinanze commissariali e poi con il D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, ha riconosciuto la tempestività del decreto di espropriazione, emesso nell’ottobre del 2003; per altro verso, ha affermato l’efficacia della transazione stipulata nel corso del procedimento, reputando che essa coprisse anche l’indennità di occupazione legittima, laddove ha escluso che fosse stata data prova dell’occupazione a fini di cantiere e della sua durata.
Propongono ricorso C.G., C.R. e C.F. per ottenere la cassazione della sentenza, che affidano ad un unico motivo, cui entrambe le parti intimate reagiscono con controricorso; l’Azienda speciale ABC deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con un unico articolato motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, commi 1 e 3, contestando la ritenuta perdurante efficacia della dichiarazione di pubblica utilità per effetto delle intervenute proroghe degli effetti dei decreti di occupazione di urgenza, giacchè sostengono, così riproponendo la tesi già avanzata senza successo al Tribunale superiore delle acque pubbliche, che debba essere esclusa l’automaticità della proroga della dichiarazione di pubblica utilità a seguito di quella degli effetti dei decreti di occupazione di urgenza. In base alla loro prospettazione, dunque, il decreto di espropriazione, adottato nell’ottobre del 2003, è da ritenere tardivo e questa tardività si riverbera sull’inefficacia dell’accordo transattivo raggiunto tra espropriante e proprietari.
Il ricorso è infondato.
1.2.- Queste sezioni unite (Cass., sez. un., 11 ottobre 2016, n. 20424) hanno già avuto occasione di ribadire, in relazione ad una fattispecie in tutto simile a quella odierna, che il D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, va interpretato nel senso che, per il suo tramite, è stata disposta l’incondizionata proroga biennale dei termini di efficacia dei decreti di occupazione di urgenza, a prescindere dal fatto che l’occupazione in corso alla sua data di entrata in vigore fosse ancora dotata del crisma della legittimità; di modo che la proroga opera a prescindere dalla legittimità dell’occupazione al tempo della sua entrata in vigore, con l’unico limite che il procedimento espropriativo sia ancora in corso alla stessa data.
La norma, quindi, vale a restituire legittimità ad occupazioni divenute inefficaci o illegittime se l’obiettivo di recupero della procedura espropriativa, che ne costituisce la ratio, sia ancora conseguibile (Cass. 17 luglio 2014, n. 16372).
1.3.- Nel caso in esame, allorquando è intervenuto del D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, il procedimento espropriativo era ancora in corso, in quanto all’individuazione delle aree operata dal commissario straordinario del governo per le zone terremotate in Campania, che inizialmente comportava la sola dichiarazione di indifferibilità ed urgenza delle opere (L. n. 219 del 1981, art. 80, comma 4), è stata aggiunta l’idoneità a fungere da dichiarazione di pubblica utilità.
Il commissario straordinario, al quale già spettava l’adozione del provvedimento di individuazione, è stato dichiarato competente a porre in essere tutti gli atti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione (D.L. n. 333 del 1981, art. 4, comma 2) e la portata di tale attribuzione è stata resa esplicita dalla L. n. 80 del 1984, art. 11, comma 7, che ha aggiunto alla L. n. 219 del 1981, art. 84-ter, secondo il quale “i poteri per l’occupazione temporanea e per l’espropriazione di pubblica utilità conferiti ai commissari straordinari hanno decorrenza dal 18 maggio 1981”, cioè dal giorno di pubblicazione della L. n. 219 del 1981 (in termini, Cass., sez. un., 6 maggio 1998, n. 4573).
2.- In tale contesto non coglie nel segno la critica contenuta in ricorso secondo cui l’osservanza del termine perentorio di compimento dei lavori non esclude, anzi comporta l’intempestività del decreto di espropriazione, emesso quando, appunto, i lavori erano ormai da lungo tempo cessati.
Ciò perchè, così ragionando, i ricorrenti finiscono col confondere il termine finale per l’esecuzione dei lavori con quello, sempre finale, per l’emanazione del decreto di espropriazione: la L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13, per evitare che si protragga indefinitamente l’incertezza sulla sorte dei beni espropriandi e, nel contempo, che si eseguano opere non più rispondenti, per il decorso del tempo, all’interesse generale, ha difatti disposto, al comma 1, che nel provvedimento dichiarativo della pubblica utilità dell’opera debbano essere fissati quattro termini (e cioè quelli di inizio e di compimento e dell’espropriazione e dei lavori), dei quali, come ha correttamente osservato il giudice d’appello, solo quello finale per il compimento dei lavori ha carattere perentorio, dovendo a tutti gli altri termini attribuirsi, invece, efficacia ordinatoria (Cass., sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2630; conf., 28 aprile 2010, n. 10216).
2.1.- In definitiva, in virtù delle suddette proroghe, va esclusa la tardività del decreto di espropriazione.
3.- Le considerazioni che precedono assorbono altresì la censura derivata concernente l’inefficacia dell’accordo transattivo, scaturente pur sempre dalla postulata tardività del decreto di espropriazione.
4.- Il ricorso va in conseguenza respinto e le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte, decidendo a sezioni unite, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese sostenute dalle parti controricorrenti, che liquida per ciascuna in Euro 3000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre al 15% a titolo di spese forfettarie quanto all’Azienda speciale ed oltre alle spese prenotate a debito quanto alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2017