Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19079 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/09/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 19/09/2011), n.19079

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10495-2009 proposto da:

L.L. elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 39-A,

presso lo studio dell’avvocato TOMASELLI EDMONDO, che la rappresenta

e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., quale incorporante per

fusione la BANCA ANTONVENETA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. FRIGGERI 82,

presso lo studio dell’avvocato FIANDANESE MARIO, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2615/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/01/2009, r.g.n. 3420/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/05/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato FIANDANESE MARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità o in subordine

il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di L. L. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 16 febbraio 2006 che ha dichiarato la legittimità sia della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dal trattamento economico per dieci giorni sia del successivo licenziamento per giustificato motivo soggettivo, irrogati alla L. dalla datrice di lavoro Banca Antoveneta s.p.a..

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, afferma che:

a) l’esame del materiale istruttorie complessivamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado, comprensivo dei verbali e delle informazioni assunte nel corso della procedura cautelare instaurata dalla lavoratrice in conseguenza del licenziamento, nonchè delle deposizioni testimoniali assunte sia nella fase cautelare sia in primo grado non possono non portare ad un’integrale conferma delle statuizioni contenute nella sentenza del Tribunale;

b) va, infatti, condivisa l’affermazione secondo cui emerge documentalmente che la L. si è reiteratamente resa responsabile di innumerevoli illeciti disciplinari costituiti sempre da ritardi ingiustificati nell’orario di ingresso in servizio e sanzionati dalla Banca in modo proporzionato alla gravità degli illeciti e gradualmente più severo, in considerazione del ripetersi delle violazioni;

c) del pari da condividere è l’affermazione relativa alla ininfluenza delle giustificazioni addotte dalla lavoratrice, in quanto limitate ad un generico riferimento al proprio ordinario stato di salute di invalida civile, il cui nesso causale con il mancato rispetto degli obblighi contrattuali in contestazione è rimasto indimostrato, come riconosciuto dalla stessa L. nella dichiarazione sostanzialmente confessoria resa in sede monitoria;

d) d’altra parte, l’ulteriore condotta messa in atto dalla lavoratrice in danno dei colleghi di lavoro è da qualificare non tanto e non solo come poco consona ai rapporti di lavoro, ma come palesemente contraria all’ordinario vivere civile;

e) pertanto, in considerazione di tutti i suesposti elementi, si deve confermare l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui il comportamento della lavoratrice costituisce notevole inadempimento degli obblighi del prestatore di lavoro previsti dall’art. 2104 cod. civ. e dagli artt 30 e 36 del c.c.n.l. del settore, sicchè sia la sanzione disciplinare della sospensione di dieci giorni dal servizio e dalla retribuzione sia il successivo licenziamento appaiono del tutto congrui agli illeciti disciplinari commessi.

2.- Il ricorso di L.L. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste con controricorso Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., quale incorporante per fusione di Banca Antonveneta s.p.a., giusta atto notarile del 22 dicembre 2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1^ – Sintesi dei motivi del ricorso.

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si sostiene che la motivazione della sentenza impugnata non sia il frutto di un autonomo vaglio critico dei motivi di appello, con particolare riguardo all’esame della proporzionalità tra i comportamenti della lavoratrice e l’adozione del licenziamento in oggetto.

La Corte d’appello, secondo la ricorrente, si sarebbe, infatti, limitata a riportare interi brani di precedenti sentenze emesse nell’attuale controversia all’esito della fase cautelare e del giudizio di primo grado, nonchè nel diverso giudizio volto all’accertamento della legittimità dell’applicazione di altre sanzioni disciplinari inflittele.

In tal modo, la Corte romana, al pari del Tribunale, non avrebbe minimamente valutato che: a) i ritardi dell’orario di ingresso al lavoro, contestati alla L., non hanno determinato alcun danno alla datrice di lavoro; b) la lavoratrice ha manifestato disponibilità al recupero; c) vi erano giustificazioni della suddetta condotta della ricorrente di natura clinica e psicologica, che la Banca conosceva bene.

D’altra parte, alla lavoratrice non sono mai state contestate infrazioni afferenti la qualità e quantità della prestazione lavorativa, sicchè la recidiva in un comportamento di per sè lieve, avrebbe potuto giustificare l’applicazione di sanzioni di tipo economico, ma non certo il licenziamento.

Si contesta, inoltre, che la Corte d’appello ha considerato inconferenti le giustificazioni – di carattere medico, economico e psicologico addotte dalla L. per i ritardi nell’orario di ingresso, senza valutare che tali ritardi si sono concentrati in un breve periodo di tempo (21 giorni).

Non provato si deve considerare l’ulteriore addebito consistente nel contegno poco consono tenuto dalla L. nel luogo di lavoro, determinante turbativa tra i colleghi.

2.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2104 cod. civ., dell’art. 36 del c.c.n.l. per le Aziende di credito dell’11 luglio 1999 (applicabile nella specie), nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 3.

Si ribadisce che la Corte d’appello non ha effettuato alcuna valutazione specifica della portata oggettiva e soggettiva delle mancanze (ritardi nell’orario di ingresso) contestate alla lavoratrice, della proporzionalità della sanzione irrogata, della esistenza o meno di un danno per l’azienda.

2^ – Esame dei motivi.

3.- I motivi di ricorso – da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono inammissibili.

Nonostante il formale richiamo, contenuto nell’intestazione del secondo motivo, alla violazione di norme di legge e contrattuali (queste ultime, peraltro, non allegate al presente ricorso, in contrasto con il principio dell’autosufficienza), tutte le censure, nel relativo sviluppo argomentativo, si risolvono nella prospettazione, sotto il profilo del vizio motivazionale, di una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal Giudice del merito, peraltro sostenuta da congrua e logica motivazione.

Va, infatti, ricordato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità (vedi, per tutte:

Cass. 7 aprile 2011, n. 7948; Cass. 26 luglio 2010, n. 17514; Cass. 15 novembre 2006, n. 24349).

Nella specie, la decisione di legittimità e proporzione della sanzione disciplinare e del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, di cui si tratta, appare adeguatamente motivata oltre che conforme ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.

Infatti, la Corte d’appello ha valutato e dato conto del complessivo comportamento della dipendente, in considerazione anche del tipo di lavoro cui era assegnata.

Così operando, il Giudice del merito ha rispettato i consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte secondo cui:

a) in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, allorquando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito deve esaminarli non partitamente, ma globalmente al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia riposta dal datore di lavoro nel dipendente, atteso che la molteplicità degli episodi, oltre ad esprimere un’intensità complessiva maggiore dei singoli fatti, delinea una persistenza che costituisce ulteriore negazione degli obblighi del dipendente ed una potenzialità negativa sul futuro adempimento degli obblighi stessi. Inoltre, ai fini della valutazione della permanenza del rapporto fiduciario tra datore e dipendente va considerato che la fiducia richiesta è di differente intensità a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono (vedi, per tutte:

Cass. 14 settembre 2007, n. 19232; Cass. 27 gennaio 2009, n. 1890);

b) anche in tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo spetta unicamente al giudice del merito – e non può essere sindacato in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi – l’accertamento che i fatti addebitati al lavoratore rivestano il carattere di grave negazione degli elementi fondamentali del rapporto ed in specie di quello fiduciario, fermo restando che, nell’ipotesi di dipendente di un istituto di credito, la idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario deve essere valutata con particolare rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro (vedi, per tutte: Cass. 11 ottobre 2005, n. 19742; Cass. 1 giugno 2005, n. 11674).

Ne consegue che deve farsi applicazione dell’altrettanto consolidato e condiviso orientamento di questa Corte secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti. Infatti, tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, del resto, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064).

3^ – Conclusioni.

4. In sintesi, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00, per esborsi, Euro 1500 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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