Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19078 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/09/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 19/09/2011), n.19078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21473-2009 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI

18 0, presso lo studio dell’avvocato BRASCHI FRANCESCO LUIGI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAGLIARI GIORGIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 431/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 31/07/2009 r.g.n. 520/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/05/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato PAGLIARI GIORGIO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega LUIGI FIORILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’inammissibilità e in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il dott. M.M., dopo avere ottenuto, in esecuzione di sentenza del TAR Emilia Romagna, l’assunzione, con provvedimento in data 21.1.1994, da parte dell’Amministrazione delle Poste e delle telecomunicazioni, con la qualifica di consigliere amministrativo (7^ qualifica funzionale) e decorrenza giuridica dal 30.12.1987 (data di efficacia dell’approvazione della graduatoria dei vincitori di un concorso bandito nel 1986, impugnata davanti al giudice amministrativo dal M. stesso), adiva il Pretore di Parma nei confronti della S.p.a. Poste italiane al fine di ottenerne la condanna alla ricostruzione della carriera ai fini economici, con il riconoscimento del suo diritto alle retribuzioni relative al periodo dal 30.12.1987 al 5.2.1994, pari a L. 179.114.309 oltre accessori, e, in via subordinata, al risarcimento del danno da quantificarsi nella stessa misura. Chiedeva anche che fosse riconosciuto il suo diritto all’inquadramento nella nona qualifica funzionale e al relativo trattamento economico con decorrenza dal 31.12.1990, secondo quanto già riconosciuto agli altri vincitori del concorso che erano stati tempestivamente immessi nei ruoli, a seguito di una loro contestazione, con relativo sviluppo in sede giudiziaria, relativa alla posizione nei ruoli di un’altra dipendente nominata successivamente e alla applicazione della L. n. 21 del 1991, art. 8.

2. Il Tribunale di Parma, subentrato nel giudizio al Pretore, accoglieva la domanda relativa alla ricostruzione della carriera così come formulata in via principale ed altresì la domanda relativa all’inquadramento nella nona qualifica funzionale.

3. A seguito di appello della S.p.a. Poste Italiane, la Corte d’appello di Bologna riformava parzialmente la sentenza di primo grado.

3.1. Riteneva infatti che, diversamente, da quanto ritenuto dal Tribunale, dovesse tenersi conto che la vicenda si era svolta tutta in epoca anteriore alla trasformazione dell’Amministrazione delle Poste prima in un ente pubblico economico e poi in una società di capitali, e comunque prima della stipulazione del primo contratto collettivo di diritto privato, e quindi quando ancora trovavano applicazione i trattamenti vigenti alla data di entrata in vigore del D.L. 1 dicembre 1993, n. 487 (art. 6, comma 6, del Decreto, convertito dalla L. n. 71 del 1994) e quindi dovesse farsi riferimento al principio, ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui il criterio della restitutio in integrum economica è ricollegabile alle ipotesi di illegittima interruzione di un rapporto di pubblico impiego già in atto ma non anche a quelle di illegittimo diniego della costituzione del rapporto.

3.2. La stessa Corte d’appello rilevava però che nel caso in esame, di ritardata assunzione pacificamente dovuta da un comportamento illegittimo tenuto dalla pubblica amministrazione datrice di lavoro, era configurabile diritto a un risarcimento del danno, astrattamente liquidabile in prima approssimazione con riferimento all’ammontare delle retribuzioni perdute. Peraltro – rilevava la Corte – la stessa società appellante in sede di impugnazione aveva ammesso la propria responsabilità risarcitoria, deducendo che il giudice di primo grado avrebbe dovuto statuire nel senso del risarcimento del danno e non della condanna al pagamento delle retribuzioni, e quindi la controparte era dispensata dal provare gli elementi costitutivi della domanda risarcitoria, peraltro già ampiamente risultanti dalla documentazione in atti.

3.3. Nell’affrontare la richiesta delle Poste di tenere conto in sede di liquidazione del danno, delle somme percepite in base a diversi titoli dal M. tra il 1987 e il 1994, secondo quanto risultante in particolare da un documento sottoscritto dall’interessato e prodotto in primo grado all’udienza del 19.3.2002, la Corte innanzitutto disattendeva l’eccezione di tardività dell’allegazione dell’aliunde perceptum, sulla base del principio della rilevabilità anche d’ufficio della relativa eccezione quando le relative circostanze di fatto risultino ritualmente acquisite al processo ad iniziativa di una qualsiasi delle parti, e del rilievo che in effetti le Poste italiane già con la memoria di costituzione nel giudizio di primo grado aveva contestato il diritto dell’attore anche nel quantum, rilevando che egli non aveva dimostrato di avere subito pregiudizi per la ritardata assunzione e in particolare l’esistenza di una incolpevole e continuativa inattività, e che non era credibile che egli non avesse svolto alcuna attività lavorativa nel periodo in questione.

In materia di prova osservava poi, in relazione alla deduzione dell’appellato circa la tardività della produzione in data 19.3.2002 della menzionata scheda informativa, che la questione relativa alla ammissibilità di tale prova non era proponibile in appello, in quanto già non riproposta in sede di conclusioni definitive in primo grado all’atto della rimessione della causa in decisione. Osservava anche che la Corte, facendo uso dei poteri ufficiosi previsti dall’art. 437 c.p.c., comma 2, aveva disposto il libero interrogatorio del M., che aveva ammesso la sottoscrizione di detta scheda e di avere effettivamente svolto negli anni 1987-1994 le attività di patrocinatore legale e didatti che nelle scuole superiori. La Corte riteneva quindi che, sulla base di tali elementi e dei successivi accertamenti del consulente tecnico d’ufficio, dal danno astrattamente riconoscibile in favore del lavoratore dovessero sottrarsi le somme percepite per effetto di altre attività lavorative nel periodo in questione.

4. La Corte, quindi, rigettate in linea di principio le doglianze circa il capo della domanda sul diritto all’inquadramento nella nona qualifica funzionale e relative conseguenze economiche, procedeva, sulla base della c.t.u., ad un analitico computo di quanto spettante al M.. Quanto al risarcimento del danno, detraeva dall’importo commisurato alle retribuzioni per il periodo 1987-1994, pari ad Euro 98.817,08, la somma di Euro 81.458,47, corrispondente ai redditi da lavoro subordinato ed autonomo percepiti nello stesso periodo. Calcolava per i due titoli (risarcimento del danno per ritardata assunzione e inquadramento nella nona qualifica) come effettivamente dovuta la somma complessiva di Euro 97.553,64 comprensiva di rivalutazione ed interessi al 31.7.2002 e quindi, tenuto conto della maggiore somma versata dalle Poste in esecuzione della sentenza di primo grado, condannava il M. a restituire la somma di Euro 85.849,21, oltre interessi dall’1.9.2002.

5. Il dott. M.M. ricorre per cassazione con sei motivi.

La S.p.a. Poste Italiane resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con tre motivi. Segue controricorso del M. al ricorso incidentale. Memorie di entrambe le parti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti (art. 335 c.p.c.).

2.1. Il primo motivo del ricorso principale censura la sentenza impugnata, secondo la sua prospettazione principale per violazioni di norme di diritto (art. 416 c.p.c., comma 3, artt. 156 e 159 c.p.c., art. 437 c.p.c., comma 2, artt. 441 e 178 c.p.c.; artt. 116 e 117 c.p.c., violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo ex artt. 111 e 24 Cost; art. 2697 c.c.) determinanti la nullità del procedimento e della stessa sentenza, e secondo una prospettazione subordinata per vizi di motivazione (in quanto fondata su prove non utilizzabili), nella parte in cui ai fini dell’accertamento del cd. aliunde perceptum, ha valorizzato un atto di acquisizione probatoria affetto da nullità.

In sostanza si deduce che le Poste Italiane erano sicuramente decadute dalla facoltà di produrre la “scheda informativa”depositata solo all’udienza di rinvio fissata per la discussione conclusiva della causa si richiesta di entrambe le parti. Nè era ravvisabile alcuna giustificazione per la tardiva produzione di un documento datato 30.10.1995 e redatto su carta intestata della convenuta e quindi nella sua disponibilità e conoscenza. Neanche sussistevano sviluppi processuali tali da giustificare la nuova produzione. Ne veniva inficiato anche il rilievo d’ufficio dell’eccezione, che deve essere basato su fatti tempestivamente allegati. Peraltro era in questione una decadenza sottratta alla disponibilità delle parti e del giudice.

Si censura poi specificamente il riferimento da parte della Corte d’appello alla mancata riproposizione della contestazione relativa alla produzione in questione in sede di conclusioni finali, osservandosi che il relativo principio giurisprudenziale è applicabile agli svolgimenti procedurali caratterizzati da una scissione tra la fase delle acquisizioni probatorie e delle conclusioni, non esistente nella specie, in cui la produzione, immediatamente contestata a verbale dall’attuale ricorrente, era avvenuta in sede di chiusura dell’udienza con trattenimento della stessa in decisione. Peraltro il principio giurisprudenziale in questione è basato sull’art. 178 c.p.c. che regola la procedura per il controllo da parte del collegio delle questioni risolte dal giudice istruttore con ordinanza revocabile e quindi non è applicabile ai giudizi monocratici.

Si puntualizza che la decisione è fondata essenzialmente sulla scheda informativa in questione, in quanto anche le successive iniziative istruttorie della Corte d’appello si collegano a tale produzione e senza la stessa non avrebbero potuto essere adottate, 2.2. Il secondo motivo denuncia la nullità procedurale dipendente (in relazione agli artt 156 e 159 c.p.c., ai principi del contraddittorio, del diritto di difesa e del giusto processo, all’art. 420 c.p.c., commi dal 5 al 7, art. 421 c.p.c., comma 2 e art. 437 c.p.c.) dalla valorizzazione di una prova tardivamente prodotta e illegittimamente ammessa, sotto il profilo della lesione del diritto difesa dell’attuale ricorrente, che non era stato posto in grado di chiedere l’ammissione dei mezzi probatori necessari in relazione alla nuova prova ammessa, sia sotto il profilo della prova contraria diretta che della prova contraria indiretta, la quale ultima nella specie sarebbe stata necessaria per meglio dimostrare che i redditi percepiti, anche in relazione alle gravi invalidità della parte, sostanzialmente erano stati utilizzati – come evidenziato in sede di consulenza tecnica – per far fronte alle spese necessarie per raggiungere le sedi di lavoro, che erano disagiate e lontane da (OMISSIS), dove il M. risiedeva per ricevere le cure necessarie.

2.3. Il terzo motivo deduce l’illegittimità della sentenza (in riferimento all’art. 437 c.p.c., comma 2, artt. 112, e 116 c.p.c., art. 416 c.p.c., commi 2 e 3; all’art. 1223 c.c. e art. 1227 c.c., comma 2) e motivazione carente e contraddittoria per avere la Corte d’appello ammesso l’eccezione diretta a far valere l’aliunde perceptum. Secondo un primo profilo, appena accennato, si sostiene che in realtà l’eccezione dovrebbe essere qualificata come eccezione in senso proprio riservata alla parte, in quanto inerente a un comportamento colposo successivo del danneggiato ex art. 1227 c.c., comma 2, e come tale essa nella specie sarebbe stata tardivamente dedotta, secondo un secondo profilo, in concessione con orientamenti giurisprudenziali, si osserva che in ogni caso il rilievo delle stesse eccezioni rilevabili d’ufficio è condizionato al rispetto del principio dispositivo e del contraddittorio e quindi deve essere basato su allegazioni tempestive delle parti.

2.4. Con il quarto motivo si lamenta, sotto il profilo del vizio di motivazione, la mancata considerazione di quanto dedotto dal consulente di parte del ricorrente circa l’utilizzo dei redditi percepiti nel periodo 1989-1994, e precisamente la loro destinazione alle spese per recarsi presso le sedi insegnamento, ubicate in montagna, raggiungibili solo con l’utilizzo di taxi o di un autista, in relazione alla documentata gravissima invalidità del M., privo di entrambi gli arti inferiori e di un arto superiore, che gli inibiva l’impiego dei mezzi pubblici.

2.5. Con il quinto motivo si contesta (per violazione degli artt. 1218, 1223 e 1227 c.c. e vizio di motivazione) la deduzione dal danno subito anche dei modesti compensi percepiti in base all’esercizio di attività di patrocinatore legale esercitata, rilevandosi che tale attività per la saltuarietà e per i suoi orari sarebbe stata compatibile anche con l’impiego presso le Poste italiane, oltre che con l’attività di docente.

2.6. Il sesto motivo ripropone, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (Legge di Conversione n. 71 del 1994, art. 6, comma 6 e del D.L. n. 487 del 1993, della L. n. 482 del 1968, art. 12 dell’art. 3 Cost.) e del vizio di motivazione, la tesi, già accolta dal giudice di primo grado, secondo cui in caso di lesione del diritto all’assunzione nella specie correlata anche alla riserva di posti in favore degli invalidi civili, sussiste il diritto alla ricostruzione anche economica della carriera e non il solo diritto al risarcimento del danno.

3.1. Il primo motivo del ricorso incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 414 e 420 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c., all’art. 432 c.p.c. e all’art. 1226 c.c., lamenta che il giudice di appello abbia ritenuto sufficiente ai fini del riconoscimento del diritto del M. al risarcimento del danno una presunta e in realtà inesistente ammissione delle Poste italiane circa un propria responsabilità risarcitoria (su cui cfr. il terzo motivo), e quindi violando i principi sull’onere della prova.

3.2. Il secondo motivo .deducendo omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, lamenta il mancato esame delle puntuali argomentazioni offerte dalla società a sostegno della infondatezza delle richieste risarcitorie del M., in particolare, circa l’assoluta carenza di allegazioni circa il danno che sarebbe stato patito.

3.3. Il terzo motivo denunciando analogo vizio di motivazione, censura lo specifico punto della motivazione relativo alla asserita ammissione di una sua responsabilità risarcitoria da parte dell’azienda, richiamando i passi significativi delle memorie di costituzione in primo e secondo grado.

4. Da un punto di vista logico assumono rilievo preliminare le questioni relative all’an poste dal ricorso incidentale e dal sesto motivo del ricorso principale, che, per la loro connessione, vengono esaminate congiuntamente.

4.1. Il ricorso principale non prende una precisa posizione riguardo alla tesi sostenuta dal giudice di appello secondo cui sono applicabili le regole relative al pubblico impiego alle pretese del lavoratore relative al periodo antecedente alla sua assunzione come impiegato delle Poste, avvenuta con provvedimento in data 21.1.1994.

Il ricorrente, infatti, sostiene che,con riferimento sia ai rapporti di pubblico impiego che a quelli di lavoro privati, sussiste il diritto alla piena ricostruzione della carriera, anche dal punto di vista economico, e non il mero diritto al risarcimento del danno, qualora illegittimamente non si sia provveduto tempestivamente alla assunzione di un lavoratore.

Le determinazioni del giudice di appello al riguardo meritano conferma, anche se deve rettificarsi e integrarsi la motivazione in diritto.

Secondo la sentenza impugnata, come si è già ricordato, nella specie deve farsi riferimento ai principi relativi al pubblico impiego, poichè la fattispecie costitutiva delle pretese in questione dal M. si era perfezionata nella perdurante vigenza della disciplina del rapporto risalente alla fase pubblicistica del medesimo, anteriore alla trasformazione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico; ciò a norma del cit. D.L. n. 487 del 1993, art. 6, comma 6 secondo cui ai dipendenti dell’ente continuano ad applicarsi i trattamenti vigenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina fino alla stipulazione di un nuovo contratto collettivo di lavoro.

Deve osservarsi che, fino al momento in cui è diventata operante la trasformazione dell’amministrazione postale in ente pubblico economico, il M. non è stato titolare di un diritto all’assunzione, ma di un interesse legittimo, secondo la consolidata qualificazione della posizione soggettiva di chi partecipa ad una procedura concorsuale per l’assunzione come pubblico impiegato.

Secondo l’impostazione tradizionale, consolidata in giurisprudenza fino a qualche anno fa, alla qualificazione della posizione soggettiva come di interesse legittimo conseguiva la non proponibilità di un’azione di risarcimento del danno per gli effetti pregiudizievoli degli atti illegittimi dell’amministrazione. E’ subentrata, però, come e noto, la dottrina secondo cui è configurarle il diritto al risarcimento del danno anche in caso di lesione di interessi legittimi (Cass. S.U. n. 500/1999).

Come è stato espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, al momento della trasformazione dell’amministrazione in ente pubblico non economico, i rapporti di lavoro dei dipendenti hanno assunto immediatamente una natura privatistica, a norma del D.L. n. 487 del 1993, art. 6, comma 2 nonostante la previsione del medesimo art. 6, comma 6 sulla applicabilità dei trattamenti vigenti alla data di entrata in vigore della nuova disciplina fino alla stipulazione del primo contratto collettivo (cfr. ex plurimis Cass. S.U. n. 8691/2005; cfr. anche Cass. n. 4627/2006 secondo cui tutti gli atti di organizzazione e gestione hanno assunto natura negoziale privata già all’inizio della vicenda di trasformazione). Ne consegue in particolare che dal momento di tale immediata privatizzazione dei rapporti non sono state più configurabili posizioni di interesse legittimo, ma solo di diritto soggettivo e sono applicabili i principi del diritto privato in materia di inadempimento.

Sia con riguardo alla fase di violazione degli interessi legittimi alla regolare applicazione delle regole del concorso, che relativamente alla fase finale in cui era configurarle una violazione di posizioni di diritto soggettivo, è configurabile il diritto al risarcimento del danno e non alla corresponsione della retribuzione che sarebbe maturata in caso di costituzione del rapporto di lavoro da una data anteriore (cfr. ex plurimis Cass. n. 15838/2002, 7858/2008, 488/2009).

4.2. Passando all’esame delle contestazioni di cui al ricorso incidentale, deve rilevarsi, con riferimento al primo e al terzo motivo, che nella motivazione della sentenza impugnata il diritto del M. al risarcimento del danno trova innanzitutto, e adeguatamente, la sua giustificazione nel rilievo che si era (pacificamente) in presenza di una ritardata assunzione dovuta ad un comportamento illegittimo tenuto dalla datrice di lavoro. D’altra parte non può ritenersi fondata neanche la doglianza di cui al secondo motivo circa la carenza di allegazioni circa il danno che sarebbe stato patito dal M., dato che quest’ultimo ha fatto evidente riferimento alla perdita della retribuzione che avrebbe maturato in caso di tempestiva assunzione.

5. Anche gli altri motivi del ricorso principale non meritano accoglimento. Con riferimento al primo motivo, deve rilevarsi che riguardo all’ammissione quale prova documentale della scheda informativa prodotta dalle Poste nel corso del giudizio di primo grado, deve attribuirsi rilievo assorbente all’attività istruttoria direttamente compiuta dal giudice di appello, che, disponendo l’interrogatorio libero su detto documento del dott. M., ha implicitamente ammesso la relativa produzione in appello, in coerenza peraltro con il principio che si è andato chiarendo nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’indispensabilità della prova ai fini della decisione che ne giustifica la deduzione in appello è ravvisabile innanzitutto rispetto ai documenti che per la loro intrinseca efficacia probatoria sono in grado di definire taluna delle questioni di fatto controverse (Cass. S.U. n. 8202 e 8203 del 2005; Cass. n. 6498/2011).

6. Neanche possono ritenersi fondati i rilievi di cui al secondo motivo, di una lesione del diritto di difesa del M., in quanto, secondo le regole e i principi del processo egli avrebbe avuto il diritto di formulare difese e richieste probatorie giustificate dalle nuove produzioni della controparte.

7. Con riferimento al terzo motivo, deve innanzitutto ribadirsi che, in relazione ad azioni risarcitorie proposte nei confronti del datore di lavoro che illegittimamente abbia omesso di assumere un lavoratore o comunque non gli abbia consentito la prestazione lavorativa, la difesa del datore di lavoro che, al fine di limitare il risarcimento, alleghi che il lavoratore nello stesso periodo abbia percepito redditi per lo svolgimento di attività lavorativa (cd. aliunde perceptum), integra una eccezione in senso lato, rilevabile anche d’ufficio, e non un’eccezione in senso stretto, assoggettata alle relative decadenze processuali (cfr. Cass. n. 5610/2005 e 21919/2010). Quanto alla proposta questione della tempestività delle relative allegazione, devono ritenersi adeguati i rilievi della Corte d’appello circa la introduzione da parte delle Poste italiane, fin dalla sua costituzione in giudizio in primo grado, della problematica relativa allo svolgimento di diversa attività lavorativa da parte del dott. M..

8. Riguardo al quarto motivo deve rilevarsi, in primo luogo, che non risulta che la tematica relativa a particolari spese sostenute dall’attuale ricorrenti per recarsi sui posti di lavoro per lo svolgimento di attività di docente, emergente (secondo quanto riferito nel ricorso) solo dalla relazione del consulente tecnico di parte, fosse stata introdotta tempestivamente nel contraddittorio processuale. Deve poi rilevarsi che, pur tenuto presente il rinvio, nella esposizione del motivo in esame, alle premesse del ricorso, non può ritenersi che riguardo agli elementi di fatto di cui ora si lamenta il mancato esame da parte del giudice di appello il ricorso per cassazione riferisca adeguatamente e circostanziatamente circa gli elementi di prova che avrebbero potuto sorreggere le argomentazioni difensive in questione.

9. Anche il quinto motivo non merita accoglimento. Non c’è dubbio, infatti che l’attività professionale costituisce un’attività lavorativa potenzialmente alternativa all’attività svolta da un lavoratore subordinatà e quindi valutabile ai fini della deduzione dell’aliunde perceptum. D’altra parte la stessa attività non sarebbe stata cumulabile, per ragioni di incompatibilità, con la posizione di dipendente dell’amministrazione postale ed anche con quella di dipendente della gestione privatizzata delle Poste.

10. In conclusione devono essere rigettati tanto il ricorso principale quanto quello incidentale. Le spese del giudizio vengono compensate in ragione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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