Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19074 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/09/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 19/09/2011), n.19074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5570-2009 proposto da:

GRASSETTO COSTRUZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI

281/283, presso lo studio dell’avvocato PERSIANI MATTIA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BORGHI ERMENEGILDO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

70, presso lo studio dell’avvocato PANSINI GIOVANNA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARSON PAOLO, giusta

delega in atti;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza non definitiva n. 875/2007 della CORTE D’APPELLO

di GENOVA, depositata il 09/07/2007;

avverso la sentenza definitiva n. 852/08 della CORTE D’APPELLO di

GENOVA, depositata il 10/11/08 r.g.n. 1311/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE; udito l’Avvocato

PERSIANI MATTIA; udito l’Avvocato PANSINI GIOVANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

MATERA Marcello che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale, rigetto dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.G. conveniva davanti al giudice del lavoro di Savona la Grassetto Costruzioni s.p.a. esponendo di aver lavorato alle sue dipendenze per circa dieci anni, dal 1-9-1989 al 22 settembre 1999, con la qualifica di “quadro”sino al settembre 1994 e poi assegnato alla direzione e gestione della commessa relativa alle opere di costruzione del nuovo porto turistico di (OMISSIS), svolgendo attività dirigenziale sino al 22-9-1999, data del suo licenziamento per asserita giusta causa, consistente nel fatto di avere prestato attività di consulenza in favore di altra società, che sarebbe stata concorrente della datrice di lavoro, e nell’avere proposto ad alcuni dipendenti di quest’ultima di essere assunti da tale concorrente. Assumeva di essere rimasto creditore di diverse somme, a vario titolo, nei confronti della società con riferimento al periodo 1-11-1992/31-8-1994, mentre, con riguardo al secondo periodo, rivendicava l’inquadramento dirigenziale con le relative differenze retributive.

Da queste premesse faceva discendere le conseguenti pretese, dettagliatamente indicate.

Si costituiva ritualmente la Grassetto Costruzioni s.p.a. contestando analiticamente le domande e proponendo domanda riconvenzionale per l’illecito comportamento tenuto dal ricorrente, che gli aveva cagionato danni materiali ed all’immagine.

Il Tribunale di Savona rigettava tutte le domande del T. relative al primo periodo, mentre, relativamente al secondo periodo, negava la qualifica dirigenziale. Riteneva illegittimo il licenziamento intimato in quanto la società non aveva fornito adeguata prova della asserita attività concorrenziale, e poichè non risultava che nella sede di (OMISSIS) avessero prestato attività almeno 15 dipendenti, in applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 8 condannava la società alla riassunzione o, in difetto, al risarcimento del danno; rigettava la domanda riconvenzionale.

La Corte d’appello di Genova, investita da gravame di entrambe le parti, con sentenza non definitiva, rigettava le richieste, avanzate dal T., di differenze retributive relative al primo periodo, mentre riconosceva la qualifica dirigenziale dall’1.-9-1994, con la conseguente condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive; riteneva sorretta da giustificatezza la risoluzione del rapporto intimato dalla società.

Veniva emessa, quindi, sentenza definitiva, con la quale, completati i conteggi, la Grassetto Costruzioni S.p.A. era condannata “a corrispondere al T. la somma di Euro 95.547,16”, come da disposta consulenza tecnica, di cui Euro 48.718, 44 per indennità sostitutiva di preavviso.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Grassetto Costruzioni spa con dieci motivi.

Resiste il T. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato ad otto motivi, cui resiste la Società con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Con i primi quattro motivi la società Grassetto Costruzioni – denunciando nullità della sentenza per omessa pronuncia su una domanda od eccezione relativamente alla giusta causa di licenziamento e conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento ad un fatto decisivo della controversia ed, ancora, violazione degli artt. 2105 e 2119 c.c., artt. 19 e 23 del CCNL dei dirigenti delle Aziende industriali, con riferimento alle nozioni di giusta causa e giustificatezza di licenziamento del dirigente (art. 360 c.p.c., nn. 4, 5 e 3) – si duole, sotto diversi profili, che la Corte d’appello non abbia effettuato e, comunque, abbia ritenuto superflua l’indagine sulla pur richiesta sussistenza di giusta causa del licenziamento a fronte della declaratoria di giustificatezza del licenziamento.

Più in dettaglio, la S.p.a. Grassetto Costruzioni si duole del fatto che la Corte di Appello di Genova, dopo aver riconosciuto che al geom. T.G. doveva essere attribuita la qualifica dirigenziale dal settembre 1994 alla cessazione del rapporto di lavoro e dopo aver statuito che il licenziamento intimatogli doveva considerarsi “giustificato”, aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda relativa alla sussistenza o meno della “giusta causa di licenziamento”; inoltre – si sostiene -, se la Corte di Appello avesse inteso implicitamente fare riferimento alla richiesta formulata dalla S.p.a. Grassetto Costruzioni relativa alla sussistenza della giusta causa di licenziamento, la reiezione della relativa domanda sarebbe risultata non motivata o, comunque, non adeguatamente e correttamente motivata. Secondo la S.p.a. Grassetto Costruzioni, la verifica dell’esistenza o meno della giusta causa di licenziamento doveva considerarsi imprescindibile per comprendere se l’indennità di preavviso – conteggiata nella determinazione delle differenze retributive liquidate a favore del geom. T. G. – fosse effettivamente dovuta o non e, ancora, se la società datrice di lavoro avesse titolo e diritto per pretendere la restituzione di quanto corrisposto al medesimo in esecuzione della sentenza di primo grado che aveva riconosciuto la illegittimità del licenziamento di cui si discute. L’assunto della società è fondato, nei termini che seguono.

Invero, una volta riconosciuto che il geom. T.G. doveva essere considerato un dirigente ed inquadrato nella relativa qualifica, la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che l’indagine dovesse essere effettuata utilizzando parametri diversi da quelli utilizzati dal Tribunale, non dovendo farsi riferimento alle ipotesi di giusta causa o giustificato motivo soggettivo, ma a quello di giustificatezza, data la diversa categoria di inquadramento (cfr.

pag. 25 della sentenza n. 875 del 2007), in tal modo dimostrando di confondere e sovrapporre la nozione di giusta causa con quella di giustificatezza. E ciò, nonostante il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “la nozione di giustificatezza introdotta dalla contrattazione collettiva in materia di licenziamento è nettamente distinta dalle nozioni di giusta causa e di giustificato motivo ex art. 2119 e L. n. 604 del 1966, art. 3 traducendosi essenzialmente in assenza di arbitrari età e pretestuosità o, per converso, nella ragionevolezza del provvedimento datoriale” (così tra le moltissime Cass., 28 ottobre 2005, n. 21010).

Peraltro, questa Corte ha avuto modo anche di precisare che la nozione di “giustificatezza” del licenziamento, che rileva ai fini del riconoscimento del diritto alla indennità supplementare, spettante in base alla contrattazione collettiva al dirigente, non coincide con quelle di “giusta causa” o “giustificato motivo” del licenziamento del lavoratore subordinato, ma è molto più ampia, e si estende sino a comprendere qualsiasi motivo di recesso che ne escluda l’arbitrarietà, con i limiti del rispetto dei principi di correttezza e buona fede e del divieto del licenziamento discriminatorio (Cass., 17 gennaio 2005, n. 775, Cass., 13 gennaio 2003, n. 322).

Ond’è che, a differenza dell’esonero del datore di lavoro dal pagamento dell’indennità supplementare, generalmente prevista per i dirigenti di azienda dalla contrattazione collettiva, che presuppone la giustificatezza del licenziamento, l’esonero dall’obbligo del preavviso o da quello alternativo del pagamento dell’indennità sostitutiva presuppone la giusta causa, nozione non del tutto sovrapponibile a quella di giustificatezza: mentre la giusta causa consiste in un fatto che, in concreto valutato (e cioè, sia in relazione alle sua oggettività sia con riferimento alle sue connotazioni soggettive), determina una grave lesione della fiducia del datore di lavoro nel proprio dipendente, tale da non consentire la prosecuzione, neppure temporanea, del rapporto, tenuto conto altresì della natura di quest’ultimo e del grado di fiducia che esso postula, la ricorrenza della giustificatezza dell’atto risolutivo – ancor più strettamente vincolata al carattere fiduciario del rapporto di lavoro dirigenziale – è da correlare alla presenza di valide ragioni di cessazione del rapporto lavorativo, come tali apprezzabili sotto il profilo della correttezza e della buona fede, sicchè non giustificato è il licenziamento per ragioni meramente pretestuose, al limite della discriminazione, ovvero anche del tutto irrispettoso delle regole procedimentali che assicurano la correttezza dell’esercizio del diritto; conseguentemente, possono ricorrere le condizioni per non corrispondere l’indennità supplementare, in presenza della giustificatezza del licenziamento, e non sussistere quelle per negare l’indennità sostitutiva di preavviso in assenza della giusta causa (Cass., 1 giugno 2005, n. 11691).

Sennonchè, la Corte di Appello di Genova, trascurando di considerare tale consolidato orientamento, ha ritenuto ultronea ogni indagine volta ad accertare la giusta causa di licenziamento ed incorrendo in tal modo nel denunciato vizio di omessa pronuncia circa la sua sussistenza.

Con il quinto ed il sesto motivo la società ricorrente lamenta la erroneità della impugnata decisione sotto il profilo della omessa pronuncia e della insufficiente motivazione sulla richiesta di restituzione dell’importo versato al T. in ottemperanza della sentenza di primo grado, pari a cinque mensilità dell’ultima retribuzione.

La doglianza è fondata, avendo nella memoria di costituzione con appello incidentale la Grassetto fatta espressa richiesta – una volta accertata la giusta causa di recesso – di condanna del T. alla restituzione di quanto ingiustamente versato dalla società per effetto della pronuncia del Tribunale di Savona n. 3 dell’8 aprile 2005; a tale richiesta il Giudice a quo non ha dato alcun riscontro.

Con il settimo ed ottavo motivo la società denuncia la violazione degli artt. 2105, 2056, 2059 e 1226 c.c., lamentando che la Corte territoriale abbia respinto la domanda proposta dalla Grassetto per i danni, patrimoniali e non patrimoniali, dalla stessa subiti a causa dell’attività concorrenziale illegittimamente svolta dal ricorrente.

In particolare, la società si duole del fatto che la Corte di Appello, pur avendo correttamente riconosciuto l’ingiustificatezza del licenziamento, non abbia poi condannato il geom. T. G. al risarcimento dei danni subiti dalla datrice di lavoro e determinati, per quanto attiene ai danni patrimoniali in almeno metà delle retribuzioni fruite, dei costi per l’alloggio, delle spese di viaggio, delle spese per l’analisi di materiale lapideo e per l’uso degli strumenti dell’ufficio, e per quanto attiene ai danni non patrimoniali nella lesione della reputazione e dell’immagine.

A sostegno della propria pretesa la S.p.a. Grassetto lamenta che la Corte distrettuale non abbia ritenuto sufficiente, per accogliere la domanda di risarcimento di tutti i danni pretesamene subiti, la prova dello svolgimento dell’attività concorrenziale e le abbia, in sostanza, addossato l’onere di provare che ciò sia avvenuto durante l’orario lavorativo. Da tale assunto fa discendere, come sintesi delle sue argomentazioni critiche, la considerazione secondo cui la questione sarebbe incentrata sulla “determinazione del quantum, la cui liquidazione, a prescindere dalle indicazioni fornita dalla società, ben può trovare concretizzazione sulla base di criteri equitativi”, assimilando in tal modo il problema della mancata prova del danno con le difficoltà della sua quantificazione, superabile dal giudice con valutazione equitativa.

La Grassetto Costruzioni S.p.a. lamenta, infatti, che la Corte di Appello di Genova abbia confuso “le innegabili difficoltà di quantificazione del risarcimento con l’esistenza stessa di un danno …”.

La censura non è condivisibile.

In realtà, la Corte di Appello di Genova ha fatto corretto uso degli strumenti giuridici, perchè dopo aver constatato l’esistenza di una condotta concorrenziale, ha statuito che non per ciò solo alla Grassetto Costruzioni S.p.a. sia derivato un danno.

Orbene, è pacifico che non ogni condotta illecita sia foriera di danno e che, appunto per ciò, ogni danno deve essere provato nell’an, prima che nel quantum.

Nel caso in esame, la Corte di Appello ha ritenuto che nessun danno fosse stato provato da parte della Grassetto Costruzioni S.p.a. e, quindi, del tutto coerentemente, sulla base di tale presupposto, ha respinto la domanda risarcitoria.

Nella prospettiva del Giudice di merito rilevante, ai fini della decisione sullo specifico punto, è stato il fatto che non era stato provato il danno, nella sua essenza, sia esso patrimoniale, sia esso non patrimoniale, e non una difficoltà di quantificazione, superabile con l’utilizzo o meno del criterio equitativo.

Con il nono motivo si denuncia erronea motivazione laddove la Corte di Genova ha affermato che il calcolo delle differenze tra la retribuzione spettante al T. come dirigente e quella allo stesso corrisposta come quadro doveva farsi senza tener conto di eventuali periodi in cui il lavoratore aveva percepito nella categoria inferiore somme superiori. La S.p.a. Grassetto Costruzioni si duole del fatto che il Giudice d’appello abbia considerato nella quantificazione delle differenze retributive a favore T. il conteggio elaborato dal Consulente Tecnico d’ufficio che non teneva conto dei differenziali negativi a favore dell’azienda. Più specificatamente, la Grassetto Costruzioni S.p.a. si lamenta del fatto che la Corte di Appello di Genova abbia recepito il conteggio più favorevole al dipendente e non abbia considerato che, in alcune occasioni, il geom. T.G. avrebbe percepito somme maggiori rispetto a quelle che avrebbe potuto percepire se fosse stato inquadrato già dal 1994 come dirigente.

Il motivo è fondato.

Invero, la Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 852 del 2008 ha affermato che doveva essere adottato il criterio indicato nella c.t.u., ma senza tener conto di eventuali periodi in cui il lavoratore aveva percepito nella categoria inferiore somme superiori, “sia perchè se il datore di lavoro ha elargito una somma superiore deve imputarlo a se stesso, sia perchè non può trarre vantaggi dal suo comportamento colpevole nell’aver inquadrato il dipendente”.

Si tratta all’evidenza di una motivazione inappagante in quanto la sentenza non spiega in maniera adeguata perchè l’ammontare di ciò che è stato concretamente percepito dal T. si debba arrestare sulla soglia di ciò che astrattamente sarebbe stato dovuto, senza poterla superare, fondando il ragionamento, in maniera apodittica, su una sorta di ineluttabile effetto sanzionatorio a carico del datore di lavoro.

Infondato è, al contrario, il decimo motivo con cui ci si lamenta di omessa motivazione in relazione alla avvenuta liquidazione, a favore del T., anche delle differenze maturate con riguardo alla quattordicesima mensilità che gli sarebbe spettata come quadro, ma non come dirigente, non essendo prevista – come è pacifico – dal CCNL per i dirigenti delle imprese industriali.

A tale doglianza, infatti, la difesa del T. ha replicato, riportando il tenore di un documento, prodotto in sede di consulenza tecnica d’ufficio proprio dalla Grassetto Costruzioni nel quale risultava evidenziato, prima dei conteggi: “N.B. nel C.C.N.L dirigenti industria sono previste solo 13 mensilità. Ne ho messe 14 perchè in Grassetto S.p.a. c’era un accordo aziendale per il quale ai dirigenti venivano corrisposte 14 mensilità …”.

Infondato è anche il ricorso incidentale proposto dal T..

Con i primi due motivi il T., denunciando violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 343, 324 e 325 c.p.c. nonchè omessa motivazione, sostiene che capi della sentenza di primo grado, che lo avevano visto soccombente da lui non impugnati sarebbero ormai passati in giudicato.

In particolare, il T. lamenta che, nonostante l’espressa richiesta di declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalla Grassetto Costruzioni, la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi su tale richiesta. A sostegno del proprio assunto osserva come la notifica della sentenza di primo grado operata dalla Grassetto S.p.A. in data 27 ottobre 2005 sottendesse necessariamente l’intento della Società di “provocarne” il “passaggio in giudicato”; e come nel frattempo la successiva parziale impugnazione di esso T. avvenuta il 25 novembre 2005 avrebbe, ormai, definitivamente consumato il termine breve per la proposizione dell’appello incidentale. Pertanto, combinando “comportamento della S.p.A. Grassetto” e “tenore dell’atto di appello depositato dal geom. T.”, doveva trarsi la conseguenza di una vera e propria “acquiescenza” della Società rispetto ai capi della sentenza del Tribunale di Savona che non erano stati dallo stesso espressamente impugnati con l’appello.

Le descritte censure non possono trovare accoglimento.

Occorre, infatti, considerare che l’art. 334 c.p.c., consente espressamente le “impugnazioni incidentali tardive”, specificando che “le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza”.

La giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nell’individuare la ratio della norma nell’esigenza, ravvisata dal legislatore in situazioni di reciproca parziale soccombenza – quale appunto, nella specie, quella determinatasi in seguito alla sentenza del Tribunale di Savona – di rimettere alle parti la possibilità di mostrare accettazione rispetto all’assetto complessivo degli interessi derivante dalla sentenza. E’ stata fatta, però, salva la facoltà di riproporre integralmente le proprie precedenti richieste, ove l’altra parte non ritenga di fare altrettanto, e provveda, per prima, ad impugnare, ponendo in discussione quell’assetto degli interessi.

Stante l’art. 334 c.p.c., non può trovare accoglimento la richiesta inammissibilità avanzata dal T., perchè “in base al principio dell’interesse all’impugnazione, l’appello incidentale tardivo deve ritenersi sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l’appello principale metta in discussione l’assetto di interessi, anche in riferimento ai capi della sentenza di merito non oggetto di gravame con l’impugnazione principale a condizione che si tratti di impugnazioni proposte in relazione ad unico rapporto (Cass., 10 ottobre 2008, n. 24902).

Nè rileva una pretesa, dedotta autonomia dei capi della sentenza del Tribunale di Savona impugnati dalla Grassetto S.p.A. di fronte alla Corte di Appello di Genova, perchè “la disciplina dell’art. 334 c.p.c. consente l’impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza impugnata ex adverso” (Cass. 10 marzo 2008, n. 6284).

Neppure rileva che fu proprio la Grassetto Costruzioni a notificare la sentenza del Tribunale di Savona, poi impugnata.

In proposito questa Corte ha chiarito che “in caso di proposizione di appello principale, anche la parte su istanza della quale è stata notificata la sentenza di primo grado può proporre appello incidentale tardivo, ex art. 334 c.p.c., con riguardo a qualsiasi capo, anche autonomo, della medesima sentenza” (Cass., 2 aprile 2007, n. 8212).

L’infondatezza della esaminata richiesta esclude anche la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c..

Riguardando, infatti, il vizio dedotto dal T. una eccezione processuale, esso non si presta a fondare la dedotta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ..

In proposito, questa Corte ha chiarito che “il mancato esame da parte del giudice, sollecitazione dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Cass. n. 13649/05).

Con il terzo motivo il T. lamenta una non “corretta applicazione della L. del 1970, n. 300, art. 7 da parte della Corte di Appello di Genova.

In particolare il T. si duole che il punto n. 1) della lettera di contestazione degli addebiti disciplinari non avrebbe avuto la necessaria specificità e dunque non lo avrebbe messo nelle migliori condizioni di difendersi.

La genericità del punto n. 1) della lettera di contestazione consisterebbe nel fatto che inizialmente l’addebito avrebbe fatto menzione degli appalti eseguiti dalla Società concorrente SOIL presso i porti di (OMISSIS), mentre all’esito di più approfondite indagini “l’attenzione della Grassetto Costruzioni S.p.A.” si sarebbe poi concentrata sui lavori eseguiti in appalto sempre dalla Soil presso il porto di (OMISSIS).

Anche questo motivo di ricorso incidentale è infondato, non ravvisandosi alcuna violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 come emerge dalle esaurienti argomentazioni svolte dal Giudice d’appello, che ha opportunamente tenuto a riprodurre, in primo luogo, il contenuto della lettera di contestazione, la quale, per la parte ritenuta rilevante, è del seguente tenore: “Vigendo il rapporto di lavoro subordinato. Ella presta attività di consulenza a favore della società SOIL di (OMISSIS), concorrente della sua datrice di lavoro, che attualmente ha in corso lavori presso i porti di (OMISSIS); innumerevoli volte Ella ha ricevuto personale della SOIL presso il cantiere della Grassetto a (OMISSIS) durante l’orario di lavoro, intrattenendosi con loro presso il suo ufficio”.

L’esame del materiale probatorio acquisito ha indotto il Giudice a quo a ritenere provato l’addebito, essendo oggetto della contestazione lo svolgimento da parte del T. di attività lavorativa concorrenziale in favore di altra società, che svolgeva la medesima attività concorrenziale della Grassetto, sicchè l’avvenuta relativa dimostrazione, era sufficiente a legittimare l’irrogazione della sanzione disciplinare.

In questa prospettiva, coerentemente il Giudice d’appello ha affermato che non aveva alcun rilievo il fatto che la suddetta attività illecita in favore di una Società diretta concorrente fosse stata svolta principalmente in relazione all’appalto di (OMISSIS) piuttosto che a quelli di Vado Ligure ed Ancona, menzionati nella contestazione.

Più in dettaglio sul punto la sentenza n. 875/2007 della Corte di Genova ha statuito, senza incorrere in vizi di sorta, che la linea difensiva del T., secondo cui buona parte dei documenti di accusa non potevano avere rilevanza ai fini della legittimità del licenziamento, perchè venuti in possesso della Grassetto successivamente all’intimazione della risoluzione del rapporto, costituiva una circostanza vera. Tuttavia, tale situazione, mentre per un verso era stata determinata dal comportamento dello stesso T., che dopo la sospensione cautelare ed il licenziamento riconsegnava le chiavi dell’abitazione e dell’auto della società, ma non le chiavi dell’ufficio, tanto da indurre la Grassetto a proporre ricorso ex art. 669 c.p.c. e art. 700 c.p.c., per altro verso, i detti elementi di prova, venuti a conoscenza della società successivamente alla contestazione degli addebiti, non costituivano il motivo che aveva determinato il licenziamento, fondato invece sull’addebito contenuto nella lettera di contestazione ed in particolare su “un’attività svolta a favore di una ditta concorrente”, e sull’avere il T. ricevuto innumerevoli volte personale della SOIL presso il cantiere della Grassetto a (OMISSIS) durante l’orario di lavoro, intrattenendosi con loro presso il suo ufficio.

E così la sentenza conclude, osservando che la documentazione dimostrava ancor più che l’accusa era fondata, costituendo una ulteriore prova del comportamento illecito del dipendente.

Considerato, dunque, che l’accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione e della stessa sua tempestività costituisce oggetto di un’indagine di fatto incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica – che, per quanto appena precisato, ha avuto esito positivo – di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito (ex plurimis, Cass. n. 7546/2006), il motivo va rigettato.

Con il quarto motivo il T., denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla statuizione sulla giustificatezza del licenziamento contenuta nella sentenza n. 875 del 2007, contesta l’uso che delle risultanze probatorie è stato fatto dal Giudice di secondo grado.

In particolare, il T. lamenta specificamente che la Corte di Appello di Genova, “nel giudizio di bilanciamento”, avrebbe erroneamente dato maggior peso rispetto alle “prove da lui ritenute certe” ad “elementi indiziari contrastanti sia con le prove documentali che con quelle testimoniali acquisite in giudizio. Anche questo quarto motivo non può trovare accoglimento, avendo, in proposito, fondato la Corte territoriale la sua pronuncia sulle deposizioni del teste B. e del teste I., sulle prove documentali in atti oltre che sul comportamento a dir poco anomalo del T. che non aveva mai saputo giustificare la documentazione rinvenuta nel suo ufficio ed anzi, si era persino opposto strenuamente alle richieste di riconsegna delle chiavi dell’ufficio, ecc. Orbene, costituisce ius receptum l’insegnamento di questa Corte secondo cui “la valutazione delle risultanze di causa in riferimento alla prova testimoniale e il giudizio sull’attendibilità dei testimoni e sulla maggiore credibilità di alcuni rispetto ad altri, come la scelta fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto, riservati, come tali, al prudente criterio discrezionale del giudice del merito ed insindacabili in sede di legittimità, purchè la motivazione risulti immune da vizi logici e giuridici (ex plurimis, Cass. n. 6735/2005), con la precisazione che il giudice di merito non è tenuto ad analizzare e discutere ogni singolo dato acquisito al processo e adempie all’obbligo della motivazione quando giustifica compiutamente la propria decisione in base alle risultanze probatorie che ritiene risolutive ai fin della statuizione adottata (Cass. n. 7086/2005; Cass. n. 11400/2002).

Con il quinto motivo il T. denuncia anche violazione dell’art. 2697 c.c. perchè a suo dire detta norma sarebbe stata violata dal malgoverno delle risultanze probatorie già denunziato con il quarto motivo.

Ancora una volta il problema sarebbe la sopravvalutazione da parte dei giudici genovesi di elementi solo indiziari, a dispetto della sottovalutazione, sempre da parte della sentenza impugnata n. 875 del 2007, di prove che il T. afferma invece certe ed inconfutabili, al punto che lo avrebbero senza meno scagionato. Il motivo è privo di fondamento.

Con essi, infatti, si contesta soltanto la valutazione condotta dai giudici che non sarebbe stata ispirata al “particolare rigore” imposto dall’art, 2697 cod. civ..

Sennonchè, contro una simile affermazione può agevolmente opporsi che “la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5” (Cass. 5 settembre 2006, n. 19064).

Ne discende che una volta esclusa la rilevanza del riferimento alla violazione dell’art. 2697 c.c., ciò che residua coincide integralmente col quarto motivo di ricorso incidentale, che – come si è visto – è risultato infondato.

Con il sesto motivo il T. censura la “omessa motivazione dei capi della sentenza n. 875 del 4 luglio 2007 nella parte in cui il suo licenziamento non è stato qualificato come ritorsivo”.

Il motivo non può essere accolto non risultando che di tanto ne fosse stata fatta richiesta nell’atto di appello.

Con il settimo motivo il T. “si duole” che la sentenza della Corte di appello di Genova n. 852 del 10 ottobre 2008 “non abbia fatto applicazione dell’art. 27 del CCNL per i dirigenti delle imprese industriali” che, a suo dire, avrebbe consentito il mantenimento dell’assegno goduto ad personam come condizione di miglior favore. Connette a siffatta doglianza, ma senza sufficiente esplicitazione del collegamento, anche una violazione dell’art. 2103 c.c..

Sennonchè, anche questa doglianza non è condivisibile perchè anche la pretesa violazione dell’art. 27 del CCNL dei dirigenti è questione che non risulta sollevata in precedenza. Sicchè vale il principio che “la questione relativa alla interpretazione di clausole di un contratto collettivo di lavoro di diritto comune non può costituire oggetto di ricorso per cassazione qualora non risulti dalla sentenza impugnata, o non sia specificamente dedotto dal ricorrente, che essa abbia formato oggetto di contraddittorio nei precedenti gradi di giudizio” (Cass., sez. lav., 8 novembre 2001, n. 13834).

Nè il contrario è stato sostenuto nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso.

Con l’ottavo motivo il T. “si duole” pure “del fatto che la Corte di Appello di Genova non abbia liquidato a suo favore gli interessi di mora previsti dall’art. 61 del CCNL per i dipendenti delle imprese edili e affini. Sennonchè, la questione non si pone, trovando nella specie applicazione il CCNL dei dirigenti industriali.

Da quanto precede discende l’integrale rigetto del ricorso incidentale e l’accoglimento del ricorso principale, con esclusione dei motivi 7, 8 e 10 che vanno rigettati. Consegue l’annullamento della impugnata decisione in relazione ai motivi accolti del ricorso principale con rinvio alla Corte d’appello di Torino per il riesame alla luce delle considerazioni esposte e dei principi di diritto sopra formulati. La stessa Corte provvedere anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale, ad eccezione dei motivi 7 ed 8 e 10, che vanno rigettati; rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti del ricorso principale, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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