Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19069 del 19/09/2011

Cassazione civile sez. III, 19/09/2011, (ud. 11/07/2011, dep. 19/09/2011), n.19069

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18386-2009 proposto da:

D.P.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 44 SC. A-7, presso lo studio dell’avvocato

GENTILI CARLA MARIA, che lo rappresenta e difende giusto mandato in

atti;

– ricorrente –

contro

ENEL SERVIZI S.P.A. quale procuratrice e mandataria di ENEL

DISTRIBUZIONE S.P.A. (OMISSIS) in persona del Procuratore S.

P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI

35, presso lo studio dell’avvocato VINCENTI MARCO, che la rappresenta

e difende giusto mandato in atti; ASSOCIAZIONE SPORTIVA LAGO LA

SCOGLIERA in persona del suo legale rappresentante pro tempore Sig.

M.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIULIO

ROMANO 5, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PRUNAS, che la

rappresenta e difende giusto mandato in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1534/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/04/2009, R.G.N. 5017/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato CARLA MARIA GENTILI;

udito l’Avvocato GIAN MARCO SPANI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 7/4/2009 la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame interposto dal sig. D.P.B. nei confronti della pronunzia Trib. Roma 31/3/2003 di rigetto della domanda proposta nei confronti della società Enel Distribuzione s.p.a. e dell’Associazione sportiva Lago La Scogliera di risarcimento dei danni lamentati a seguito del sinistro avvenuto il (OMISSIS), allorquando nell’aprire la canna da pesca in carbonio veniva colpito da scarica elettrica promanante da fili dell’alta tensione ivi ubicati.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il D.P. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la società Enel Servizi s.p.a.

(quale procuratrice e mandataria della società Enel Distribuzione s.p.a.) e l’Associazione sportiva Lago La Scogliera, la quale ultima ha presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2050 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2^ motivo denunzia “insufficiente, inidonea ed illogica motivazione” su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 3^ motivo denunzia “omessa e falsa applicazione” dell’art. 113 c.p.c., e del D.M. n. 449 del 1988, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4^ motivo denunzia “contraddittoria, illogica ed insufficiente motivazione” su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel caso i quesiti di diritto recati dal ricorso non risultano informati allo schema delineato da questa Corte (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), non recando invero la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti; del modo in cui gli stessi sono stati dai giudici di merito rispettivamente decisi; della diversa regola di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione (ovvero prospettando, del pari inidoneamente, solamente una di tali indicazioni, o comunque non tutte quelle sopra indicate, necessarie per consentire a questa Corte il controllo spettantele: v., ad es., il quesito di cui al 3^ motivo).

I formulati quesiti (e in particolare quello di cui al 4^ motivo) in realtà nel caso si sostanziano in espressioni evocanti le non accolte tesi difensive, (anche) prospettando corollari tratti da presupposti o postulati di fatto alle medesime corrispondenti e contrari alle conclusioni raggiunte nel1’impugnata sentenza fondate sul delineato quadro probatorio, a tale stregua palesandosi privi di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di ben individuare le questioni affrontate e le soluzioni al riguardo adottate nella sentenza impugnata, nonchè di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), circoscrivendo la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso i motivi risultano formulati in violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito es., all'”atto di citazione notificato in data 28.11.1998″, alle comparse di costituzione delle controparti, all'”interrogatorio formale”, alla prova testimoniale, alla sentenza di primo grado “n. 10981/2003”, all’atto di appello, alla “informativa in data 22.6.2006” limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente ed esaustivamente – per quanto in questa sede d’interesse – riprodurli nel ricorso (in ordine alla prova testimoniale esperita in primo grado vengono ad esempio riportate le risposte date da alcuni testi escussi, ma non anche i capitoli ammessi cui esse ineriscono) ovvero puntualmente indicare in quale sede processuale, pur individuati in ricorso, risultino prodotti, e, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4, se siano stati prodotti anche in sede di legittimità, sicchè la mancanza anche di una sola delle suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass., 23/9/2009, n. 20535; Cass., 3/7/2009, n. 15628; Cass., 12/12/2008, n. 29279).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, risponde a principio consolidato che a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione “specificamente destinata” (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso i motivi con il quale si denunzia vizio di motivazione non recano la “chiara indicazione” – nei termini più sopra indicati – delle relative “ragioni”, tali non potendo invero ritenersi i formulati momenti di sintesi, invero non recanti la sintetica e riassuntiva indicazione del fatto controverso, degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione, degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Non può d’altro canto sottacersi che il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 si configura solamente quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione (in particolare cfr.

Cass., 25/2/2004, n. 3803).

Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 20/10/2005, n. 20322).

Esso non può essere invero utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo ai fini della proposizione di un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice (v. Cass., 9/5/2003, n. 7058).

Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo.

In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (v. Cass., 9/3/2011, n. 5586).

Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

I motivi si palesano dunque privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo, e anteriormente rispetto alla data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. Cass., 23/11/2010, n. 23669; Cass., 29/4/2010, n. 10277; Cass., 16/12/2009, n. 26364 Cass., 26/10/2009, n. 22578).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuna delle parti costituite.

Così deciso in Roma, il 11 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2011

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