Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19068 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. II, 06/07/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 06/07/2021), n.19068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21837/2017 proposto da:

S.V., IN PROPRIO E NELLA QUALITA’ DI PROPRIETARIO DELLA

DITTA INDIVIDUALE MAGICI GIOCHI, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ARENULA, 16, presso lo studio dell’avvocato SABINA MONACO, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCA DIONISI,

STEFANO SBORDONI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, DIREZIONE TERRITORIALE TOSCANA

UMBRIA TERNI – IN PERSONA DEL DIRETTORE PRO TEMPORE, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 300/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 04/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Perugia, con sentenza pubblicata il 4 maggio 2017, ha rigettato l’appello proposto da S.V. – in proprio e nella qualità di titolare della ditta individuale Magici Giochi di S.V. – avverso la sentenza del Tribunale di Perugia n. 611 del 2016, e nei confronti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli-Direzione territoriale Toscana ed Umbria, confermando l’ordinanza-ingiunzione n. 3113 del 30 aprile 2015 e la sanzione pecuniaria irrogata (Euro 24.000,00) per la violazione dell’art. 110, comma 9, lett. f) bis, del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS).

2. La Corte d’appello ha ritenuto il S. responsabile della violazione contestata per avere installato 8 apparecchi da divertimento di sua proprietà nel locale pubblico The Space Game senza verificare se l’esercente, P.M., fosse in possesso delle licenze previste dagli artt. 86 e/o 88 TULPS. Era stato accertato, infatti, che il P. non era in possesso dell’autorizzazione ex art. 86, nè dell’autorizzazione ex art. 88 TULPS.

La Corte territoriale ha poi escluso la buona fede dell’appellante, che non aveva effettuato la verifica, peraltro agevole, imposta dalla legge.

3. Per la cassazione della sentenza S.V. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, ai quali resiste l’Agenzia dei monopoli e delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità della Camera di consiglio fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente si deve rigettare l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla parte controricorrente, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato.

Anche se la notifica del ricorso per cassazione è stata effettuata presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, il contraddittorio risulta correttamente instaurato, giacchè costituendosi l’Avvocatura generale ha sanato con effetto ex tunc l’indicata nullità della notificazione, impedendo ogni decadenza. Nè può dubitarsi che la notifica del ricorso dovesse essere fatta presso l’Avvocatura generale dello Stato: nel giudizio di merito l’Agenzia delle Dogane aveva scelto di essere rappresentata dall’Avvocatura erariale, nella sua articolazione territoriale, e non da un difensore del libero foro, con la conseguenza che trovava applicazione la regola secondo cui il ricorso per cassazione nei confronti delle amministrazioni statali difese dall’Avvocatura erariale deve essere notificato presso l’Avvocatura generale, ai sensi della L. n. 1611 del 1933, art. 11, risultando così privo di fondamento il rilievo svolto dal ricorrente nella memoria.

La nullità della notifica del ricorso, seppur sanata dalla costituzione in giudizio dell’Avvocatura generale, ha prodotto l’effetto di svincolare la notificazione del controricorso dall’osservanza del termine di cui all’art. 370 c.p.c. (ex plurimis, Cass. 24/06/2020, n. 12410; Cass. 12/03/2015, n. 4977).

1.1. Con il primo motivo è denunciato omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per contestare che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che gli apparecchi rinvenuti nel locale in oggetto sono del tipo AWP, per i quali è sufficiente l’autorizzazione prevista dall’art. 86 TULPS; che l’esercente P. era in possesso di SCIA e di autorizzazione ex art. 86 TULPS, oltre che dell’iscrizione al Ries (contrariamente a quanto rilevato dalla Corte d’appello); che non era stata attivata la sala dedicata alle VLT, i cui apparecchi comunque non avrebbero dovuto essere forniti dal ricorrente ma da (OMISSIS).

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione del D.Dirett. MEF 5 agosto 2011, prot. n. 30582, art. 110, comma 9, lett. f) bis; art. 110, comma 6, lett. a) e b); artt. 86 e 88 TULPS; art. 152 del regolamento di attuazione del TULPS. Il ricorrente contesta l’erronea interpretazione dei fatti e della normativa applicabile, in particolare nella parte in cui la Corte d’appello ha ritenuto necessaria l’autorizzazione prevista dall’art. 88 TULPS a fronte della sola presenza di apparecchi AW, di cui all’art. 110, comma 6, lett. a), TULPS, per i quali sarebbe sufficiente la licenza ex art. 86.

3. Con il terzo motivo il ricorrente contesta il mancato riconoscimento della buona fede evidenziando, in particolare, di avere verificato la regolare iscrizione del P. nell’elenco RIES del 2013, donde l’assenza di colpa.

4. Con il quarto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione della L. L. n. 241 del 1990, art. 2, comma 2, lett. c) bis e art. 3, L. n. 689 del 1981, art. 28 e del D.P.C.M. 5 maggio 2011, n. 109 e si contesta la mancata applicazione del termine di decadenza previsto dalla L. n. 241 del 1990.

5. I primi due motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente poichè prospettano, sia pure sotto profili diversi, l’erronea applicazione della normativa prevista dal TULPS per l’installazione degli apparecchi da gioco alla fattispecie concreta

5.1. Occorre muovere dai fatti accertati dalla Corte d’appello.

Si legge nella sentenza impugnata che al controllo effettuato il 22 novembre 2013 da funzionari dell’Agenzia delle dogane presso l’esercizio commerciale The Space Game di M.P., venivano rinvenuti 8 apparecchi da divertimento del tipo indicato dall’art. 110, comma 6, TULPS, di proprietà dell’odierno ricorrente, e che l’esercente P. non era in possesso dell’autorizzazione prevista dall’art. 86 TULPS, mentre l’autorizzazione ex art. 88 TULPS, a suo tempo richiesta per l’esercizio di una sala attrezzata con apparecchi VLT, non era mai stata attivata.

La Corte territoriale ha precisato che l’esercente aveva chiesto la licenza nel dicembre 2012, e che in data 9 gennaio 2013 “ne aveva chiesto l’annullamento”.

5.2. A fronte di tale accertamento, il ricorrente assume che l’esercente contravvenzionato, in quanto titolare di un bar e sala giochi, avesse già (non potesse non avere) la licenza prevista dall’art. 86, comma 1, TULPS, e non dovesse perciò munirsi di altra autorizzazione per detenere gli apparecchi da gioco del tipo rinvenuto in sede di controllo (apparecchi AWP).

6. La tesi è priva di fondamento poichè muove da un presupposto fattuale in contrasto con quanto accertato nel giudizio di merito, vale a dire che l’esercente fosse munito della licenza necessaria per installare gli apparecchi del tipo previsto dall’art. 110, comma 6, TULPS, in quanto titolare di licenza di cui dell’art. 86, comma 1 TULPS.

Come già evidenziato, la Corte d’appello ha rilevato che l’esercente era risultato privo dell’autorizzazione di cui all’art. 86, sicchè risulta ipotetico il ragionamento del ricorrente, che fa leva dell’art. 86 cit., comma 3, lett. c).

La norma in oggetto prevede testualmente che: “Relativamente agli apparecchi e congegni automatici, semiautomatici ed elettronici di cui all’art. 110, commi 6 e 7, la licenza è altresì necessaria: (…);

c) per l’installazione in esercizi commerciali o pubblici diversi da quellLgià in possesso di altre licenze di cui all’art. 88, comma 1 o comma 2, ovvero per l’installazione in altre aree aperte al pubblico od in circoli privati”.

Il che significa che gli esercizi commerciali o pubblici già in possesso delle licenze di cui dello stesso art. 86, commi 1 e 2, si intendono autorizzati alla installazione degli apparecchi del tipo indicato. A fortiori ciò vale per i locali in possesso della specifica licenza “per l’esercizio delle scommesse” di cui all’art. 88 TULPS.

In ogni caso, ai fini della installazione degli apparecchi una delle due licenze è necessaria, e nel caso in esame è stato accertato che l’esercente non era in possesso di alcuna di esse.

7. Non sussiste l’omesso esame di fatti decisivi denunciato con il primo motivo.

La Corte d’appello ha dato atto della tipologia degli apparecchi rinvenuti, e non assume rilevanza il fatto gli stessi che fossero regolarmente funzionanti, perchè non è questo l’oggetto della violazione contestata.

Quanto al possesso da parte dell’esercente di licenza che consentiva la detenzione degli apparecchi – nei termini sopra richiamati – o, comunque, all’iscrizione dell’esercente nell’elenco RIES, si tratta di circostanze affermate dal ricorrente ma non assistite dalla specificità che deve connotare la deduzione del vizio di omesso esame di fatto storico, come enucleato dalla giurisprudenza di questa Corte dopo la modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014.

La parte che denuncia l’omesso esame deve indicare, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, il dato testuale (se emergente dalla sentenza) o extra-testuale (se emergente dagli atti processuali) da cui risulti l’esistenza di quel fatto, nonchè il come ed il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, oltre che spiegarne la decisività. Il mancato assolvimento degli oneri di deduzione comporta l’inammissibilità del motivo.

8. Risulta privo di fondamento anche il terzo motivo di ricorso.

8.1. La Corte d’appello ha escluso la buona fede del S., proprietario installatore degli apparecchi da divertimento, evidenziando che la verifica cui il predetto era chiamato – accertarsi che l’esercente fosse munito di autorizzazione – era particolarmente agevole, e che non era credibile l’assunto difensivo secondo cui al momento della installazione degli apparecchi l’esercente sarebbe stato “in regola”, salvo non esserlo più al momento del controllo. In proposito la Corte territoriale ha ribadito che dagli accertamenti svolti risultava che l’esercente non aveva mai

acquisito la licenza ex art. 86 TULPS, mentre quella prevista dall’art. 88, non era mai stata attivata.

In questa sede il ricorrente riferisce di avere verificato che l’esercente era iscritto al RIES, ma la deduzione introduce un tema che non risulta sottoposto al giudice di merito (genericamente, a pag. 15, ultimo capoverso, del ricorso si legge che “è stato evidenziato più volte nel corso dei vari giudizi (…)”, e che pertanto non può essere esaminato per la prima volta nel giudizio di legittimità (ex plurimis, Cass. 13/06/2018, n. 15430).

9. Anche il quarto motivo di ricorso è privo di fondamento.

9.1. La Corte d’appello ha rigettato il motivo con il quale l’appellante S. aveva chiesto l’accertamento dell’avvenuta decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio del potere sanzionatorio per inosservanza del termine di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2.

Così decidendo la Corte territoriale si è conformata al principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale in materia di sanzioni amministrative non trova applicazione la disciplina generale del procedimento amministrativo contenuta nella L. n. 241 del 1990, ma unicamente la L. n. 689 del 1981, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine così breve come quello previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2 (per tutte, Cass. Sez. U. 27/04/2006, n. 9591).

Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge.

9.2. Per completezza si osserva che, una volta esclusa per le ragioni sistematiche appena chiarite l’applicazione del termine previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 2, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare, con riferimento specifico al termine entro il quale la pretesa sanzionatoria deve essere esercitata, che il momento dell’accertamento dell’illecito amministrativo – in relazione al quale va collocato il dies a quo del termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi della violazione – non coincide con quello di acquisizione del fatto nella sua materialità da parte dell’autorità che ha ricevuto il rapporto, ma va individuato nella data in cui detta autorità ha completato l’attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione, spettando al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato (tra le molte, Cass. 27/10/2019, n. 27405; Cass. 08/08/2019, n. 21171; Cass. 16/04/2018, n. 9254).

9.3. In ogni caso, dopo l’introduzione della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies, ad opera della L. 11 febbraio 2005, n. 15, il provvedimento amministrativo non è annullabile per violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, qualora, per la natura vincolata dello stesso, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Il principio trova applicazione con riferimento ai provvedimenti di irrogazione di sanzioni amministrative, per definizione di natura vincolata (ex plurimis, Cass. 10/03/2018, n. 6965).

10. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00 oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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