Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19067 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 31/07/2017, (ud. 21/06/2017, dep.31/07/2017),  n. 19067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1759/2016 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., ((OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GAETANO GRANOZZI;

– ricorrente –

contro

F.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1588/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata l’8/1/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/6/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

– con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 20975/2011 (decisione che aveva avuto ad oggetto sia la pronuncia del giudice di appello di Catanzaro che, confermando la sentenza di prime cure, aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al primo contratto di lavoro stipulato tra Poste Italiane S.p.A. e F.C. per il periodo dal 3 giugno 1998 al 30 settembre 1998 e la conseguente instaurazione fra le parti di rapporti di lavoro subordinato, sia altra decisione della medesima Corte territoriale con la quale era stata rigettata la domanda di revocazione, ex art. 395 c.p.c., n. 4, proposta dalla menzionata società avverso la sentenza con la quale era stata accolta la domanda della F.), confermava la declaratoria di illegittimità del termine apposto al contratto stipulato dal 3 giugno 1998 al 30 settembre 1998 e condannava la società a corrispondere alla lavoratrice le retribuzioni maturate dal 25/3/2003 alla data del ripristino del rapporto. Pur dando atto che il contratto relativo al periodo dal 3 giugno 1998 al 30 settembre 1998 era stato stipulato con riferimento alla “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie” ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26/11/1994, tuttavia riteneva che la società non avesse dato la prova della sussistenza in concreto della suddetta esigenza. Riteneva, inoltre, che non potesse farsi applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, trattandosi di contratti stipulati prima dell’entrata in vigore di tale legge;

– per cassazione di tale sentenza ricorre la società con due motivi.

– F.C. è rimasta intimata.

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– la società ha depositato memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Considerato che:

– con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 8 del c.c.n.l. 26/11/1994, della L. n. 230 del 1962, art. 3, anche in relazione all’art. 1362 c.c. e ss.. Lamenta che il Giudice del gravame, pur dando atto che il primo dei contratti impugnati dalla lavoratrice era stato stipulato “per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno/settembre”, non ha fatto corretta applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, e non ha debitamente interpretato gli accordi collettivi che avevano introdotto un’ipotesi di contratto a termine del tutto autonoma, non solo rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie prevista dalla L. n. 230 del 1962, ma anche ai vincoli cui era sottoposta la fattispecie introdotta dall’accordo integrativo 25.9.97;

– con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 7, in relazione alla mancata applicazione della disciplina limitativa dell’importo del risarcimento del danno;

– il primo motivo è manifestamente fondato e determina l’assorbimento del secondo;

– occorre precisare che con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la declaratoria di illegittimità del contratto a termine stipulato tra le parti per il periodo dal 3 giugno 1998 al 30 settembre 1998 ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26/11/1994 “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”;

– solo incidentalmente la Corte territoriale ha fatto riferimento all’ulteriore contratto stipulato tra le parti (e cioè a quello dal 15 ottobre 1998 al 31 gennaio 1999, con proroga fino al 20 maggio 1999) evidenziando che, come il precedente, era stato stipulato per “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie”;

– in realtà, anche in sede di ricorso per cassazione (come già in sede del precedente giudizio di legittimità) è stato evidenziato che, a differenza del primo, il secondo contratto era stato stipulato ai sensi della (diversa) previsione di cui all’accordo integrativo dell’art. 8 del 25/9/1999 (“per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…”);

– ciò chiarito, le doglianze della società riferite al primo dei contratti stipulati ed oggetto della declaratoria di illegittimità sono fondate e determinano l’assorbimento dei rilievi sulle conseguenze risarcitorie;

– come è stato ripetutamente affermato da questa Corte e va qui ribadito, “in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati, è legittima la previsione, operata dalla contrattazione collettiva, della causale relativa alla “necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre”, dovendo interpretarsi nel senso che gli stipulanti hanno considerato il bisogno, nel periodo in oggetto, di assumere personale per sopperire all’assenza di quello in congedo, con la conseguenza che l’indicazione nel contratto del nominativo del lavoratore sostituito non è necessaria e non è configurabile alcun onere di allegazione e prova dell’esigenza e dell’idoneità della singola assunzione a far fronte a essa, essendo sufficiente il rispetto della clausola di c.d. contingentamento, ossia della percentuale massima di contratti a termine rispetto al numero dei rapporti a tempo indeterminato stabilita a livello collettivo, in adempimento della L. n. 56 del 1987, art. 23″ (v. fra le altre Cass. 24 ottobre 2011, n. 22009). Peraltro è stato anche precisato (v. Cass. 28 marzo 2008, n. 8122) che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 c.c.n.l. 26/11/1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del tetinine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”, bensì soltanto che l’assunzione avvenga nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie, (cfr. Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7 marzo 2008 n. 6204). Per una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame: v. Cass. n. 9647 del 6 maggio 2014;

– in conclusione, la proposta va condivisa e va accolto il primo motivo di ricorso con assorbimento del secondo; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, per l’esame dell’ulteriore contratto stipulato tra le parti e delle altre questioni ritenute assorbite, alla Corte di appello di Reggio Calabria. Il giudice del rinvio provvederà anche sulla spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso (assorbito il secondo); cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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