Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19066 del 14/09/2020
Cassazione civile sez. lav., 14/09/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 14/09/2020), n.19066
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4462-2015 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale
dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA
CORETTI, VINCENZO TRIOLO e VINCENZO STUMPO;
– ricorrente –
contro
S.R., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CHEREN 16,
presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIOVANNI ROMITO, che la
rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7759/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 08/02/2014, R.G.N. 9038/2011.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
Che:
Con sentenza n. 7759/2013, la Corte d’appello di
Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato
l’INPS al pagamento in favore di S.R. delle somme trattenute
a titolo di indennità di mobilità erogata dal 30 novembre 2002 al 30
marzo 2003, così accogliendo parzialmente la domanda proposta dalla
S. al fine di ottenere il risarcimento del danno causato dalla omessa
comunicazione da parte dell’INPS dell’avvenuto anticipato conseguimento
del diritto ad ottenere la pensione di anzianità, danno costituito
dalla mancata fruizione dei ratei di pensione per sette mesi e
dall’obbligo di restituire le somme percepite a titolo di indennità di
mobilità dal mese di novembre 2002 al mese di giugno 2003;
la Corte territoriale ha ritenuto infondata la
domanda di risarcimento del danno in quanto difettava il presupposto
della richiesta dell’interessata (ex L. n. 88 del 1989, art. 54)
circa l’esito della domanda di riconoscimento di ulteriori periodi
contributivi, necessari all’anticipazione della data del conseguimento
del diritto a pensione; inoltre, la Corte ha ritenuto che, in
applicazione della L. n. 153 del 1969, art. 22
e del regime di pensionamento programmato (cd. finestre), la S.
aveva ottenuto i requisiti per la quiescenza al raggiungimento di 35
anni di contribuzione e 57 anni di età (30.11.2002), mentre la prima
finestra utile era stata quella del primo aprile 2003, con la
conseguenza che a tale data era cessato il diritto a percepire
l’indennità di mobilità; dunque, ha condannato l’INPS ad erogare
l’indennità di mobilità dal 30 novembre 2002 al 30 marzo 2003;
avverso tale sentenza, ricorre per cassazione
l’Inps sulla base di un motivo, successivamente illustrato da memoria:
violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato e nullità della sentenza a causa di pronuncia ultra petita
ai sensi dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 437 c.p.c., comma 2, (art. 360 c.p.c.,
comma 1 n. 4); ad avviso del ricorrente, in particolare, la sentenza
impugnata aveva condannato l’Istituto a pagare l’indennità di mobilità
per il periodo compreso tra il primo dicembre 2002 ed il 30 marzo 2003,
pur negando la responsabilità per danni dell’Istituto ed a fronte della
unicità della domanda risarcitoria proposta dalla S., seppure
costituita da varie voci di danno tra le quali l’equivalente di quanto
trattenuto dall’Inps per indennità di mobilità non dovuta;
resiste con controricorso S.R..
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
il motivo è fondato;
la sentenza impugnata ha espressamente qualificato la domanda
proposta da Renata S. quale richiesta di “risarcimento del danno
causato dalla omessa comunicazione dell’INPS circa l’avvenuto anticipato
conseguimento del diritto ad ottenere la pensione di anzianità, danno
consistente nella mancata fruizione di sette mensilità di pensione
nonchè nella restituzione della indennità di mobilità, goduta dalla
medesima, nel periodo 30 novembre 2002- 30 giugno 2003”;
a fronte di tale evidente qualificazione operata dalla Corte
territoriale, la sentenza ha, da una parte, accertato l’oggettiva
insussistenza della fattispecie generatrice del danno lamentato (per
difetto dei presupposti indicati dalla L. n. 88 del 1989, art. 54)
rigettando coerentemente i capi riferiti ai profili di danno emergente
costituiti dalla mancata percezione dei ratei di pensione che sarebbero
maturati nel caso in cui la pensione fosse stata chiesta tempestivamente
rispetto al maturare dei requisiti, e, per altro verso, ha invece
accolto la richiesta di condanna dell’INPS al pagamento di tre ratei
mensili dell’indennità di mobilità che l’Istituto ha richiesto, in
quanto non dovuti per essere la titolare in possesso dei requisiti per
godere della pensione;
in sostanza, il ricorrente deduce che la condanna dell’Inps al
pagamento dei ratei dell’indennità di mobilità non ha formato oggetto di
specifica domanda, e cioè a titolo diverso da quello risarcitorio, per
cui la sentenza impugnata non avrebbe potuto accogliere tale domanda
senza violare l’art. 112 c.p.c.;
nella giurisprudenza di questa Corte (vd. Cassazione n. 9052 del 2010),
è consolidato il principio, secondo il quale in sede di legittimità
occorre tenere distinta l’ipotesi in cui si lamenti la pronuncia su
domanda non proposta, dal caso in cui si censuri l’interpretazione data
dal Giudice di merito alla domanda stessa: solo nel primo caso si verte
propriamente in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c.,
per mancanza della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato,
prospettandosi che il Giudice di merito sia incorso in un error in
procedendo, in relazione al quale la Corte di cassazione ha il
potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti giudiziari onde
acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia
richiestale;
nel caso in cui venga invece in contestazione l’interpretazione del
contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un
tipico accertamento in fatto, insindacabile in cassazione salvo che
sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione
impugnata sul punto (Cass. civ., Sez. lavoro, 24/07/2008, n. 20373).
ciò posto, rileva il Collegio che nella specie non si verte
nell’ambito dell’interpretazione dei contenuti della domanda, posto che i
giudici di appello, dopo aver interpretato la domanda come di esclusiva
natura risarcitoria per violazione dell’obbligo dell’Inps di fornire
corrette comunicazioni, hanno immutato i fatti costitutivi dedotti a
fondamento della stessa condannando l’Inps a versare tre ratei
dell’indennità di mobilità mai richiesti a titolo diverso da quello di
mero parametro risarcitorio;
come è noto, il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato comporta che non può essere riconosciuto un bene non
richiesto o comunque, non può essere emessa una statuizione che non
trovi corrispondenza nella domanda, tale principio deve quindi ritenersi
violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo
delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione
dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad
alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non
compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero,
pur mantenendosi nell’ambito del “petitum”, rilevi d’ufficio
un’eccezione in senso stretto, oppure ponga a fondamento della decisione
fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo
nel processo un titolo (“causa petendi”) nuovo e diverso da quello
enunciato dalla parte a sostegno della domanda (vedi “ex multis” in tal
senso Cass. 22-32007 n. 6945);
nel caso di specie, è evidente che il punto accolto dalla sentenza
impugnata (condanna alla erogazione di ratei di indennità di mobilità)
non deriva dalla condotta dell’INPS denunciata, peraltro ritenuta non
illecita, e neanche risulta basata su alcuna domanda proposta dalla
originaria ricorrente;
pertanto, nella fattispecie ricorre il vizio di ultrapetizione
denunciato dal ricorrente e, in definitiva, il ricorso va accolto e la
sentenza cassata quanto alla condanna dell’INPS al pagamento dei tre
ratei di indennità di mobilità, essendo la domanda proposta da
S.R. interamente infondata;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella
misura liquidata in dispositivo. Quanto alle spese dei gradi di merito,
ricorrono valide ragioni per disporne la compensazione in relazione alla
evoluzione giurisprudenziale che ha definito solo in tempi successivi
all’instaurazione del giudizio (anno 2007) i presupposti di
applicabilità della responsabilità dell’Inps ai sensi della L. n. 88 del 1989, art. 54 (vd. Cass. n. 2498 del 2018).
PQM
La Corte accoglie il ricorso e cassa in parte qua la sentenza
impugnata. Condanna la parte controricorrente al pagamento delle spese
del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2000,00 per compensi,
oltre ad 200, 00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e
spese accessorie di legge; dichiara compensate le spese dei gradi di
merito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020