Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19063 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. II, 06/07/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 06/07/2021), n.19063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28761/2016 proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere

Marzio 1, presso lo studio dell’avvocato Luca Vianello, che lo

rappresenta e difende anche disgiuntamente all’avvocato Michele Re,

del Foro di Como;

– ricorrente –

contro

P.B.F., V.G., elettivamente

domiciliati in Roma, viale Ippocrate 104, presso lo studio

dell’avvocato Carlo Bogino, che li rappresenta e difende anche

disgiuntamente agli avvocati Angela Nava, Primo Mauri, del Foro di

Como;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3689/2016 della Corte d’appello di Milano,

depositata il 05/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il geometra T.F. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano che, respingendo il di lui gravame ha confermato la sentenza di revoca del decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento di prestazioni professionali rese in esecuzione di incarico conferitogli da V.G. e P.B.F. per la ristrutturazione edilizia di un fabbricato in proprietà;

– il ricorso monitorio proposto dal geometra T. si era fondato sulla scrittura privata del 16/7/2010 con la quale egli assumeva che i committenti si erano riconosciuti debitori nei suoi confronti per l’importo già scontato di Euro 13.199,83, importo per il quale risultavano già versati alcuni acconti;

– il geometra esponeva che nell’anzidetta scrittura ricognitiva di debito non compariva il saldo definitivo perchè esso avrebbe dovuto essere determinato scorporando gli importi per Iva e Cassa geometri dall’acconto lordo di Euro 5000,00 versato in precedenza dai committenti; tale operazione matematica di scorporo, pur semplice, richiedeva un calcolo che le parti rimettevano direttamente al professionista, che avrebbe comunicato poi la differenza dovuta; in esecuzione di detto accordo il geometra T. emetteva quindi in data 11 marzo 2011 la fattura n. 18 per l’importo residuo di Euro 6475,69 e tale fattura veniva allegata al ricorso monitorio; e così veniva emesso dal Tribunale di Como il decreto ingiuntivo per l’importo di Euro 6475,69 oltre interessi e rivalutazione;

-a seguito dell’opposizione proposta dai committenti, i quali peraltro si riservavano di agire separatemente nei suoi confronti per gravi errori nella progettazione dell’opera e per il risarcimento del danno, erano assunte alcune prove richieste dalle parti, dopodichè il Tribunale di Como revocava il decreto ingiuntivo, rigettava la richiesta di pagamento del geometra e lo condannava alla restituzione della somma ricevuta in forza della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto;

– il geometra ha allora proposto gravame contro la decisione di prime cure e la Corte d’appello di Milano con la sentenza qui impugnata ha ribadito che la scrittura privata del 16/7/2010 non ha i caratteri della ricognizione di debito respingendo altresì la domanda subordinata di accertamento del residuo importo dovuto al professionista;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta sulla base di tre motivi cui resistono con controricorso V.G. e P.B.F.;

– entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., nonchè l’omessa motivazione in relazione all’interpretazione della scrittura privata posta a fondamento del decreto ingiuntivo;

– assume il ricorrente che la corte territoriale ha erroneamente escluso che la suddetta scrittura abbia i caratteri della ricognizione di debito, qualificandola come semplice documento di riepilogo contabile, non definitivo, con ciò trascurando il senso letterale delle espressioni utilizzate dalle parti e riferite inequivocabilmente ad un accordo tra le stesse intervenuto sulla determinazione dell’importo dovuto;

– la censura è infondata;

– il tenore della scrittura in questione così come indicato nella sentenza impugnata, dispone che:

“In data odierna alla presenza del geom. T., arch. To.,

sigg.ri V. – P., concordano i seguenti prezzi per parcella relativa ai lavori svolti:

stalla Euro 5369,30;

2690,78;

Casa Euro 12.564,71;

Tot. Euro 20.624,79 x sconto 20%=16.499,83;

Di cui il 20% sono dovute all’arch. To. e l’80% al geom. T..

Acconti ricevuti dal geom. T.: Euro 4.000,00 + 5.000,00 (questi ultimi al lordo di CI e Iva);

Acconti ricevuti dall’arch. To.: Euro 500,00 + Euro 1.000,00;

Rimanenze da ricevere:

al geom. T.: Euro 9.199,66 (- lorde Euro 5.000,00 al 16/7/08);

all’arch. To.: Euro 2.799,97 (- 1.000,00 al 16/7/2010);

rimanenza geom. T.: da comunicare rimanenza arch. To.: Euro 1.799,97”;

– assume il ricorrente che il giudice d’appello avrebbe erroneamente omesso l’interpretazione sulla scorta del tenore letterale della scrittura, così come del criterio della buona fede della correttezza e del contenuto di altro documento(doc. n. 7) che si assume prodotto nel fascicolo di primo grado ma che non risulta trascritto nel ricorso;

– è noto che in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (cfr. Cass. 29111/2017);

– ciò posto, deve ritenersi che non violi i criteri fissati dagli artt. 1362 c.c. e segg., il ricorso alla prova testimoniale per accertare la comune volontà delle parti di una scrittura privata la cui esistenza sia certa, ma di cui non sia chiaro il contenuto letterale (cfr. Cass. 1824/2013; id. Cass. 8838/1996);

– il ricorso alla testimonianza dell’arch. To. risulta, peraltro, richiesto da entrambe le parti e proprio sulla portata dell’accordo che, per quanto riguarda il compenso da ricevere dal geom. T., faceva espresso riferimento ad una voce da comunicare;

– con il secondo motivo si denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 157 c.p.c. e dell’art. 2722 c.c., nonchè l’omessa motivazione per avere la corte territoriale interpretato la scrittura privata posta a fondamento del decreto ingiuntivo anzichè sui principi di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., sulla base delle dichiarazioni della teste To.;

– assume altresì il ricorrente che la medesima teste To. in sede di escussione aveva reso dichiarazioni facendo riferimento ad un ulteriore sconto che il geometra T. si era impegnato ad applicare apponendo sulla scrittura una nota a matita che richiamava la necessità di rideterminare l’importo e che la frase “rimanenza geom. T. da comunicare” si riferiva all’ulteriore sconto da applicare;

– poichè tale dichiarazione risulta in contrasto con l’art. 2722 c.c., in quanto prova testimoniale su patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, il geometra T. ne aveva eccepito la nullità sia nella comparsa conclusionale che nell’atto di appello, il ricorrente deduce come essa sia stata ignorata da entrambi i giudici del merito;

– la doglianza è infondata perchè, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudice d’appello ha rilevato come sulla testimonianza dell’architetto To. nessuna osservazione sia stata svolta al momento della sua deduzione ed ammissione con la conseguenza che la doglianza di inammissibilità proposta in appello è stata ritenuta inammissibile perchè tardiva;

– tale statuizione non è fondatamente contestata dal ricorrente ed essa risulta corretta alla luce del tenore del capitolo n. 5 dei controricorrenti, originari opponenti del decreto ingiuntivo, così come trascritto a pagina 12 del controricorso e dal quale emerge che l’arch. To. era stato chiesto ed ammesso anche per riferire in ordine “all’ulteriore sconto che il geometra T. aveva deciso di applicare”;

– ciò in quanto l’inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., derivando non da ragioni di ordine pubblico processuale, quanto dall’esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, peraltro, nonostante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all’atto verificandosi altrimenti la sanatoria (Cass. 21433/2013; id.3763/2018);

– in tale prospettiva, il ricorrente non ha dimostrato che la comparsa conclusionale era la prima istanza o difesa successiva all’assunzione della testimonianza e perciò la doglianza è destinata al rigetto;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizi, per avere la corte milanese erroneamente ritenuto infondata la domanda subordinata del T. di accertamento dell’importo residuo dovuto sull’assunto che lo stesso non avrebbe documentato l’adempimento delle sue obbligazioni, trascurando la circostanza che le parti opponenti non avevano contestato la circostanza dell’avvenuto adempimento alla sua obbligazione progettuale;

– la censura è, come pure eccepito dai controricorrenti inammissibile in ragione della c.d. doppia conforme;

– è stato chiarito da questa Corte che nell’ipotesi di “doppia conforme”, cioè di sentenza d’appello che conferma quella di primo grado, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotta, come nel caso in esame, con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. Sez. I, 26774/2016; id. Sez. L., 20994/2019);

– ciò posto nel caso di specie, il ricorrente non solo non ha allegato alcunchè a dimostrazione dell’ammissibilità della censura, ma risulta dalle non contestate deduzioni di parte controricorrente (cfr. pagg. 15 e 16) che la domanda subordinata di accertamento del residuo importo fu respinta in entrambi i gradi di giudizio per difetto di prova da parte del geom. T. onerato della stessa a fronte della contestazione del diligente adempimento sollevato da parte dei committenti;

– in conclusione, l’esito sfavorevole di tutti i motivi comporta il rigetto del ricorso;

– in applicazione del principio della soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore di parte controricorrente e liquidate in Euro 3000,00 per compensi ed oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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