Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19061 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. II, 06/07/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 06/07/2021), n.19061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 366/2016 proposto da:

PALMA IMMOBILIARE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DOMENICO CIMAROSA 13, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO

TROIANI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VEZIO

PAGLIARINI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RESIDENZA MADONNA IN CAMPAGNA SRL;

– intimata –

e contro

M.A., domiciliato in ROMA presso la cancelleria della Corte

di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO

D’ONOFRIO, giusta procura in calce all’atto di costituzione;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1191/2014 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO,

depositata il 18/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Sentito il Pubblico Ministero nella persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento

del primo motivo, assorbiti i restanti.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. M.A., quale cessionario del credito di cui al corrispettivo del contratto di subappalto concluso tra la Palma Immobiliare s.r.l. (quale subappaltante) e la CFM s.c.a.r.l. (quale subappaltatrice) ed avente ad oggetto l’esecuzione di opere edili nel cantiere in (OMISSIS), conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio la Palma Immobiliare e la Residenza Madonna in Campagna S.r.l. (originaria parte committente), affinchè fosse dichiarata la nullità del contratto di subappalto ed in via subordinata affinchè fosse accertato l’arricchimento indebito da parte delle convenute; nel caso invece di accertamento della validità del contratto di subappalto, chiedeva la condanna delle convenute al pagamento del corrispettivo ancora dovuto.

Nella resistenza delle convenute, il Tribunale adito, con la sentenza n. 1191 del 2/7/2014, rigettava l’eccezione di difetto di competenza del giudice adito nonchè quella di difetto di legittimazione attiva del M.; dichiarava il difetto di legittimazione passiva della committente e, disattesa la domanda di nullità, accertava l’inadempimento della Palma Immobiliare e la condannava al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 81.169,92.

Quanto all’eccezione di incompetenza del Tribunale, per essere stata pattuita la competenza del collegio arbitrale, la sentenza osservava che la clausola, accanto alla designazione degli arbitri, prevedeva anche la competenza del Tribunale di Napoli, il che portava ad affermare che non potesse reputarsi inequivocabilmente adottata la soluzione a favore della competenza degli arbitri, mancando la certezza circa l’effettiva volontà dei contraenti di devolvere le controversie scaturenti dal contratto esclusivamente agli arbitri stessi.

In merito alla cessione del credito, che la società cooperativa subappaltatrice aveva effettuato in favore del M., il Tribunale rilevava che la cessione è esclusa solo per i crediti di natura personale o per quelli la cui cessione sia espressamente vietata dalla legge.

Nella fattispecie non ricorreva alcuna delle ipotesi in esame, sicchè, potendosi anche addivenire alla cessione di un credito futuro o anche solo sperato, poichè esisteva il rapporto giuridico dal quale sorgeva il credito ceduto, l’atto in esame aveva i requisiti di determinabilità che ne assicuravano la validità.

Andava però ravvisata la carenza di legittimazione passiva della committente originaria, in quanto il contratto di subappalto produceva effetti, anche quanto al diritto al compenso, esclusivamente tra la subcommittente e la subappaltatrice, essendo quindi escluso che il M. potesse vantare diritti nei confronti della società che aveva agito quale committente nel contratto di appalto.

Quindi era esclusa la ricorrenza di una causa di nullità del contratto di subappalto, atteso che le opere da eseguire erano state correttamente individuate con l’indicazione del compenso a misura. Nè poteva ravvisarsi la contrarietà alla previsione di cui alla L. n. 192 del 1998, art. 9, posto che non ricorreva un’ipotesi di dipendenza economica, quale richiesta dalla legge de qua.

Una volta esclusa la nullità, era però meritevole di accoglimento la richiesta di condanna al pagamento del residuo corrispettivo.

Infatti, una volta provata l’esistenza del contratto e delle ragioni di credito, era onere della parte debitrice, nella specie la Palma Immobiliare, dimostrare l’avvenuta estinzione dell’obbligazione per effetto del proprio adempimento.

Nel caso di specie, dall’accertamento tecnico preventivo, la cui acquisizione doveva reputarsi ammissibile, pur in assenza di un formale provvedimento di acquisizione, emergeva che erano stati eseguiti dalla cedente il credito i lavori di cui al SAL del 20.12/2008 per un importo di Euro 201.169,62, sicchè, avendo la Palma versato solo l’importo di Euro 120.000,00 residuava un credito insoddisfatto, alla cui riscossione era legittimato il M., di Euro 81.169,92.

Avverso tale sentenza proponeva appello la Palma Immobiliare S.r.l., cui resisteva il solo M.A..

La Corte d’Appello di Milano con ordinanza del 30/9/2015 ha dichiarato l’appello inammissibile, in quanto non aveva ragionevole probabilità di accoglimento ex art. 348 bis c.p.c..

2. Avverso la sentenza del Tribunale nonchè averso l’ordinanza della Corte d’Appello la Palma Immobiliare S.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memorie.

M.A. resiste ai soli fini della discussione orale.

La Residenza Madonna di campagna S.r.l. non ha svolto difese in questa fase.

3. Preliminarmente occorre dare atto della tempestività del ricorso, notificato in data lunedì 21 dicembre 2015, atteso che l’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 ter c.p.c., della Corte d’Appello di Milano risulta essere stata comunicata (come da attestazione telematica di cancelleria in atti) e notificata dalla controparte in data 21/10/2015, risultando quindi rispettato il termine di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 3.

Va invece rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto avverso l’ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., la quale è stata emessa nel rispetto della previsione di cui all’art. 348 bis c.p.c., senza che si profili in ricorso la presenza di vizi suoi propri che eccezionalmente ne permettano l’autonoma impugnabilità in questa sede, come precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 1914/2016.

Va altresì rilevata la superfluità della richiesta di rinnovare la notifica del ricorso alla originaria società committente e ciò sia in ragione del fatto che la materia del contendere implicata dai motivi di ricorso coinvolge solo la ricorrente ed il contro resistente, sia in ragione della manifesta infondatezza del ricorso, come si avrà modo di illustrare nel prosieguo.

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., artt. 28,29,808,809 ed 810 c.p.c., quanto al rigetto dell’eccezione di improponibilità della domanda per la presenza di una clausola compromissoria devolutiva della cognizione della controversia ad un collegio arbitrale.

Il giudice di primo grado ha escluso che la clausola, potesse spiegare efficacia nella fattispecie, atteso che nella stessa clausola, pur prevedendosi che ogni eventuale controversia scaturente dal contratto di subappalto dovesse essere decisa da un collegio arbitrale, si contemplava altresì che “Il foro di competenza è il Tribunale di Napoli”.

Stante quindi la necessità di interpretare in maniera restrittiva le eventuali deroghe dalla giurisdizione ordinaria in favore della cognizione degli arbitri, si è ritenuto che la previsione contrattuale non deponesse per la competenza esclusiva degli arbitri, atteso il richiamo alla competenza del foro di Napoli. Sostiene parte ricorrente che tale assunto sia infondato, in quanto l’art. 16 del contratto di subappalto, contenente la detta previsione, faceva riferimento al Tribunale di Napoli al solo fine di individuare il giudice al quale rivolgersi per di perfezionare la designazione del collegio arbitrale in caso di disaccordo tra le parti.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha affermato, conformemente a quanto sostenuto dal giudice di merito, che atteso che il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri implica una deroga alla giurisdizione ordinaria, in caso di dubbio in ordine alla interpretazione della portata della clausola compromissoria, deve preferirsi un’interpretazione restrittiva di essa e affermativa della giurisdizione statuale (Cass. n. 22841/2007). Per l’effetto, ribadito che il favore per la competenza arbitrale contenuto nell’art. 808-quater c.p.c., si riferisce ai soli casi in cui il dubbio interpretativo verta sulla quantificazione della materia devoluta agli arbitri dalla relativa convenzione e non anche sulla scelta compiuta dalle parti, è stato di recente affermato che anche in presenza di una clausola che faceva riferimento alla cognizione del collegio arbitrale per “ogni e qualsiasi controversia”, il riferimento anche al ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria rendeva incerta la volontà delle parti sulla stessa scelta della compromissione in arbitri, non consentendo quindi di poter invocare il disposto di cui all’art. 808-quater c.p.c. (Cass. n. 22490/2018).

Orbene, è pacifico che nella fattispecie la clausola invocata dalla ricorrente, sebbene nella prima parte disponesse che in caso di disaccordo ogni eventuale controversia dovesse essere risolta da un Collegio Arbitrale, nel suo successivo sviluppo recitava che “Il foro di competenza è il Tribunale di Napoli”.

Rileva il Collegio che l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., o di motivazione inadeguata (ovverosia, non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione). Sicchè, per far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione (mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti), ma altresì precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato; con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536). D’altra parte, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (tra le altre: Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178). Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi già dallo stesso esaminati; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).

Ne deriva che è inammissibile il ricorso che ambisce a conseguire una differente determinazione della portata di una clausola contrattuale.

Posti tali principi ai quali si intende assicurare continuità, la critica della ricorrente mira nella sostanza a contestare, senza nemmeno offrire un puntuale riferimento alle norme di ermeneutica contrattuale asseritamente violate dal Tribunale, l’interpretazione della volontà negoziale offerta dal giudice di merito, che in maniera non implausibile, ha ravvisato una contraddittorietà tra l’iniziale devoluzione agli arbitri del contenzioso scaturente dal contratto di subappalto ed il successivo riferimento al Tribunale di Napoli quale foro di competenza.

La tesi della ricorrente secondo cui tale ultimo richiamo sarebbe limitato alla sola necessità dell’intervento dell’autorità giudiziaria al fine di assicurare la valida designazione del collegio arbitrale, non trova un chiaro riscontro nella volontà esternata dal testo contrattuale e si profila come uno dei potenziali approdi interpretativi suscettibili di essere favoriti dal testo stesso, ma senza che si palesi l’assoluta inattendibilità o insostenibilità della diversa soluzione fatta propria dal Tribunale) che ha invece riscontrato una duplice previsione in merito all’individuazione del soggetto cui devolvere la decisione della controversia, tale quindi da escludere la portata vincolante della designazione degli arbitri, idonea quindi a precludere l’accesso alla giustizia ordinaria.

Il motivo deve pertanto essere rigettato.

5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1260, 1418, 1343, 2512, 2513, 2513, 2514 e del D.Lgs.C.P.S. n. 1577 del 1947, art. 26.

Si deduce che la CFM, cedente il credito azionato dal M., era una società cooperativa a responsabilità limitata, iscritta nell’albo delle società cooperative nella sezione a mutualità prevalente, cui si applicano le previsioni di cui agli artt. 2512,2513 e 2514 c.c..

In ragione dei regimi agevolati che lo Stato accorda a tale tipologia di società, sia sul piano finanziario che tributario, la normativa prevede che, in caso di scioglimento della società, si devolva il patrimonio sociale per scopi di pubblica utilità conformi allo spirito mutualistico.

Ne deriva, a detta della ricorrente, che il credito azionato dal M. non poteva essere ceduto e che il relativo contratto è affetto da nullità, per causa illecita.

Il motivo è infondato.

L’esigenza posta dalla normativa vigente di assicurare il perseguimento di finalità mutualistiche di pubblico interesse anche nel caso in cui la società cooperativa cessi la propria attività, se effettivamente implica la devoluzione del patrimonio sociale al netto del capitale sociale e dei dividendi, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art. 2514 c.c.), non può ritenersi che imponga il divieto per le società in esame, ancorchè in fase di liquidazione, di poter disporre dei propri beni, o come nel caso in esame, dei crediti scaturenti dall’esercizio dell’attività sociale.

Depone in tal senso la considerazione che, proprio in vista del completamento delle operazioni di liquidazione, a fronte di un credito ancora oggetto di contestazioni, quale quello al corrispettivo del rapporto di subappalto, oggetto della cessione in favore del M., la cessione del credito può garantire il recupero di immediata liquidità, accelerando l’attività liquidatoria, ponendosi poi solo all’esito del completamento della fase di liquidazione, l’esigenza di assicurare la destinazione per finalità mutualistiche del patrimonio sociale.

A tal fine il motivo di ricorso difetta evidentemente del requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui, al fine di supportare la tesi sostenuta nel motivo in esame, assume apoditticamente che la cessione del credito in favore del M. non preveda alcun corrispettivo (salvo poi aggiungere che, ove previsto, occorreva dimostrare che lo stesso fosse stato corrisposto e che fosse congruo), riporta il testo dell’atto di cessione ma in maniera solo parziale, trascrivendo a pag. 14 con omissis proprio la parte del contratto nella quale, come si rileva dalle espressioni parzialmente riportate (“Le parti, in proprio e come sopra rappresentate, convengono che il valore del credito ceduto – e considerati i rischi del giudizio e l’aleatorietà delle posizioni acquisite, viene prudenzialmente abbattuto del OMISSIS”), ragionevolmente si addiveniva alla fissazione del prezzo per la cessione, evidentemente a titolo oneroso, e tale da contemperare l’esigenza della cedente di ricevere immediata liquidità, con quella del cessionario di versare un corrispettivo, inferiore rispetto al valore nominale del credito, accollandosi però i rischi della durata del giudizio e dell’eventuale fondatezza delle contestazioni della subcommittente.

6. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1655 e 1657 c.c., nonchè dell’art. 181 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 8, art. 696-bis c.p.c., penultimo comma, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

La sentenza d’appello, una volta rigettata la domanda di nullità del contratto di subappalto, ha tuttavia riconosciuto il diritto del cessionario al saldo del corrispettivo del contratto di subappalto, avvalendosi delle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, esperito dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio, e ciò anche in mancanza di un provvedimento formale che ne avesse disposto l’acquisizione.

Si deduce che le norme di rito impongono che l’utilizzo dell’accertamento tecnico preventivo sia preceduto da un formale provvedimento di acquisizione da parte del giudice (art. 696-bis c.p.c., penultimo comma), laddove nella fattispecie il giudice aveva inizialmente negato tale acquisizione, sul presupposto dell’espletamento della perizia tra soggetti terzi.

Inopinatamente è stato poi posto a fondamento della decisione, in violazione delle regole del contraddittorio.

Inoltre, nell’elaborato peritale in esame sono state valorizzate due circostanze inveritiere, e cioè sono state incluse opere non realizzate dalla subappaltatrice, e sulla base dei prezzi di mercato e non di quelli asseritamente concordati.

Rileva il Collegio che il motivo è inammissibile nella parte in cui denuncia l’omessa disamina di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, stante l’applicabilità alla fattispecie della previsione di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 4, avendo la Corte d’Appello dichiarato l’inammissibilità del gravame, reputando che l’inadempimento dell’appellante, quanto all’obbligazione di pagamento del saldo del corrispettivo, fosse stato debitamente accertato nel merito in primo grado.

Ne consegue che risulta preclusa in questa sede ogni contestazione in merito alle circostanze fattuali sulla base delle quali si fonda la valutazione espressa nell’ATP poi ripresa dalla decisione di primo grado (e ciò in disparte anche il difetto di specificità del motivo nella parte in cui denuncia una quantificazione del costo delle opere eseguite avvenuta in contrasto con le puntuali previsioni contrattuali, di cui però omette di riportare il contenuto).

Quanto invece alla dedotta violazione delle regole di acquisizione dell’ATP, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte secondo cui l’acquisizione dell’accertamento tecnico preventivo tra le fonti di prova che il giudice di merito può utilizzare, non deve necessariamente avvenire a mezzo di un provvedimento formale, bastando anche la sua materiale acquisizione ed essendo sufficiente che il giudice l’abbia poi esaminato, traendone elementi per il proprio convincimento, sempre che la parte che ne lamenti l’irrituale acquisizione e l’impossibilità di esame delle risultanze dell’indagine sia stata posta in grado di contraddire in merito ad esse (Cass. n. 23693/2009; Cass. n. 6591/2016).

Avuto riguardo alla vicenda in esame, come si ricava dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata e dalle conclusioni rese dalle parti, si era posta la questione circa la possibilità di avvalersi dell’ATP esperito ex art. 696-bis c.p.c., di modo chef deve escludersi che ricorra una situazione tale da legittimare il richiamo all’art. 101 c.p.c., posto che, sebbene l’utilizzo dell’elaborato de quo rientri nell’ambito dei poteri d’ufficio del giudice, è altrettanto evidente che la sollecitazione ad avvalersi di tale potere e le contestazioni in merito all’effettiva acquisizione ed utilizzazione avevano costituito oggetto di dibattito tra le parti nel corso del giudizio di primo grado.

Inoltre, trattasi di elaborato tecnico già prodotto nel corso dello stesso giudizio e sul quale le parti avevano avuto possibilità di controdedurre, essendo quindi soddisfatte le condizioni che, in base alla citata giurisprudenza di questa Corte, ne consentono l’acquisizione ed utilizzazione da parte del giudice ai fini della decisione.

Anche tale motivo deve quindi essere disatteso.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto alle parti che non hanno svolto difese in questa fase.

8. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso in favore del resistente delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

 

 

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