Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1906 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 28/01/2020), n.1906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19104/2018 R.G. proposto da:

L.A. e L.L., quali eredi di L.S.,

rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al ricorso,

dagli avv.ti Beatrice FIMIANI e Berardo LANCI, ed elettivamente

domiciliati presso lo Studio Legale e Tributario CMS Adonnino Ascoli

& Casavola Scamoni, sito in Roma, alla via Agostino Depretis, n.

86;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7625/03/2017 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, depositata il 18/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Fatto

RILEVATO

che:

– in controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento prot. n. 189630/2014 con cui l’amministrazione finanziaria rigettava l’istanza del contribuente, avanzata in data 6/10/2005, di rimborso di quanto versato in data 31/03/1993 per la definizione delle pendenze tributarie in materia di IVA, ai sensi della L. n. 413 del 1991, in relazione agli anni d’imposta dal 1978 al 1983, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello dell’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo tardiva la richiesta di rimborso, perchè avanzata quando erano decorsi il termine biennale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 e quello decennale di prescrizione ordinaria, avuto riguardo alla data del versamento (effettuato in data 31/03/1993), che non costituiva duplicazione di quello effettuato in data 15/05/2003, a seguito di adesione al condono di cui alla L. n. 289 del 2000, art. 12;

– avverso tale statuizione le contribuenti propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui non replica l’intimata;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale le ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, per avere la CTR omesso di rilevare l’inammissibilità del ricorso d’appello dell’amministrazione finanziaria per difetto di specificità dei motivi di impugnazione.

2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21,artt. 2033 e 2946 c.c., per avere la CTR escluso l’applicazione al caso di specie del termine di prescrizione decennale ed applicato, invece, quello decadenziale biennale di cui all’art. 21 citato, e per avere individuato il dies a quo in quello di effettuazione del versamento con riferimento alla definizione agevolata ex lege n. 413 del 1991, invece che alla data in cui era sorto il diritto al rimborso, ovvero dalla data di “rinnovato pagamento delle somme occorse in data 15 maggio 2003” a seguito di definizione agevolata della L. n. 212 del 2000, ex art. 12.

3. Il motivo è infondato.

4. Invero, quanto alla prima delle censure mosse con il mezzo in esame alla sentenza d’appello, deve ricordarsi il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “Nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) o, comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 6 e, ora, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 1, lett. g, e art. 21, comma 2), regime che impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune. Ne discende che, da un lato, all’istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale in materia tributaria – idonea, come tale, ad orientare anche l’interprete -, e, dall’altro, le norme che contemplano l’istituto del rimborso ufficioso (che, ove applicabile, esclude ovviamente l’operatività del primo), data la loro natura eccezionale, vanno considerate di stretta interpretazione” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 15840 del 12/07/2006, Rv. 591752; Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 6900 del 24/03/2014, Rv. 630533; Cass., Sez. 6 – 5, Sentenza n. 7069 del 2015, in motivazione, e Cass., Sez. 5, Ordinanza interlocutoria n. 11456 del 25/05/2011, in motivazione).

4.1 Quanto alla seconda censura, ritiene il Collegio che la CTR abbia correttamente individuato il die a quo per la presentazione dell’istanza di rimborso in quello di effettuazione del versamento ritenuto indebito (nella specie, il 31/03/1993), giacchè l’altro versamento, effettuato in data 15/05/2003 per l’adesione del contribuente al condono di cui alla L. n. 289 del 2000, art. 12, costituisce presupposto per la restituzione delle somme versate per tale finalità, che, peraltro, diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti, la CTR ha affermato che “non rappresentano il duplicato l’uno dell’altro, riferendosi a fattispecie del tutto diverse” (sentenza, pag. 4).

5. Tale accertamento le ricorrenti hanno censurato con gli ultimi due motivi di ricorso che vanno esaminati, non potendosi ritenerli assorbiti, come invece proposto dal relatore.

6. Con il terzo motivo le ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, sostenendo che la CTR aveva omesso di rilevare che le deduzioni difensive svolte in grado di appello dall’amministrazione finanziaria, ovvero di irrevocabilità della dichiarazione integrativa presentata ai fini dell’adesione al condono ex lege n. 413 del 1991, con conseguente acquisizione di quelle somme a titolo definitivo, e di inadempimento delle contribuenti all’onere di provare l’identità del titolo per il quale erano stati effettuati i due versamenti, costituivano eccezioni nuove come tali inammissibili.

7. Il motivo è manifestamente infondato alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui “In tema di contenzioso tributario, ove la controversia abbia ad oggetto l’impugnazione del rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo, il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita, costituiscono mere difese, non soggette ad alcuna preclusione processuale. Ne consegue che l’esclusione del diritto al rimborso, derivante dall’adesione del contribuente al condono, può essere dedotta per la prima volta anche in appello dall’Amministrazione finanziaria, trattandosi di questione che, pur non esclusivamente processuale, partecipa a tale natura ed è, dunque, rilevabile d’ufficio” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21197 del 08/10/2014, Rv. 632495; v. anche Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20650 del 14/10/2015, Rv. 636896, nonchè Cass., Sez. U, Sentenza n. 1518 del 27/01/2016, Rv. 638457).

8. Con il quarto motivo hanno dedotto un vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la CTR aveva omesso di esaminare il fatto che la non coincidenza degli importi versati per l’adesione ai due condoni discendeva solo ed esclusivamente dalle disposizioni condonistiche che prevedevano diverse modalità di determinazione delle somme da versare per l’adesione all’uno e all’altro condono.

9. Al riguardo occorre precisare che la CTR “in base alla documentazione allegata dalle ricorrenti” ha escluso che il versamento effettuato nel 1993 costituisse un duplicato di quello effettuato nel 2003, in quanto quest’ultimo era stato effettuato con riferimento a nove cartelle di pagamento, di cui solo tre per IVA, i cui importi, però, non erano “affatto coincidenti” con quelli “oggetto della prima definizione”.

9.1. Da tale necessaria precisazione discende che il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della statuizione impugnata che, per quanto sopra detto, ha rilevato la non coincidenza tra quanto dovuto a titolo di IVA dal contribuente con riferimento all’istanza di condono avanzata ai sensi della L. n. 413 del 1991 e quella risultante dalle tre cartelle di pagamento oggetto di definizione ex lege n. 289 del 2000 e non, invece, tra le somme versate in occasione dell’adesione ai due condoni, come erroneamente assumono le ricorrenti nel motivo in esame.

10. Conclusivamente, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese processuali stante la mancata costituzione in giudizio dell’intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 gennaio 2020

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