Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19051 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 31/07/2017, (ud. 16/06/2017, dep.31/07/2017),  n. 19051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13672/2016 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE G. CESARE 21,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MALATESTA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO CONTI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSSANA BASILE in

virtù di procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

R.G., D.A., D.F., D.C.,

V.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2699/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 24/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/06/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L.A. promuoveva dinanzi al Tribunale di Verona un giudizio di scioglimento della comunione relativa a vari immobili siti nel Comune di Bussolengo, ed appartenenti secondo quote differenziate alle parti in causa.

All’esito delle indagini peritali, all’udienza dell’8 gennaio 2009 i germani R., da una parte, ed il L. e la V. dall’altro, chiedevano l’assegnazione dei due fabbricati principali in maniera speculare rispetto a quanto prospettato dal CTU nell’iniziale progetto di divisione, dichiarandosi i secondi disponibili anche a versare il conguaglio dovuto ai primi.

Procedutosi agli ulteriori frazionamenti, il Tribunale di Verona con la sentenza n. 2443 del 2012 assegnava gli immobili originariamente in comunione in proprietà esclusiva secondo le indicazioni fornite dalle parti alle precedenti udienze, con la condanna al pagamento dei conguagli nella misura indicata dal CTU.

Avverso tale decisione proponeva appello il L., e la Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2699 del 24 novembre 2015 rigettava il gravame.

Osservava quanto alla successiva revoca da parte del L. della iniziale manifestazione di volontà resa all’udienza dell’8 gennaio 2009, che le parti avevano dapprima aderito al progetto poi approvato dalla sentenza gravata, atteso che anche coloro che non erano personalmente presenti, erano rappresentati dai loro difensori. Inoltre il Tribunale non aveva attribuito all’accordo efficacia negoziale divisionale, ma aveva esclusivamente ritenuto di assecondare quelli che riteneva essere i “desiderata” delle parti. Inoltre, sebbene l’art. 727 c.c., costituisca il criterio preferenziale di attribuzione dei beni, può anche essere disatteso in presenza di diverse indicazioni provenienti dalle parti, come appunto avvenuto nella fattispecie.

Quanto alla censura concernente la flessione del mercato immobiliare, che avrebbe inciso sulla stima dei beni, osservava che la stessa era generica e priva di specifico riferimento al compendio immobiliare oggetto di causa.

Infine, quanto alla suddivisione del conguaglio richiamava quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 26170/2009, che ha appunto negato la sussistenza di una solidarietà passiva tra i condividenti tenuti al suo pagamento. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.A. sulla base di tre motivi.

Ha resistito con controricorso R.L. mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

I primi due motivi del ricorso principale possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione.

Con il primo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Si rileva che il ricorrente in primo grado, dopo avere inizialmente manifestato la propria adesione per un determinato progetto divisionale, successivamente revocava tale scelta come da dichiarazioni rese all’udienza del 24/11/209, del 31/01/2012 e del 15/6/2012.

Trattasi di una scelta del tutto legittima della parte, e che è stata segnalata con uno specifico motivo di appello.

La Corte distrettuale ha però omesso di pronunciarsi su tale doglianza, violando pertanto la previsione di cui all’art. 112 c.p.c..

Il secondo motivo, invece, denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 727 c.c..

Infatti, la sentenza impugnata non ha considerato che il condividente può sempre richiedere una modifica delle modalità di attuazione della divisione, ed addirittura anche in grado di appello.

Non può essere quindi ritenuta legittima l’affermazione secondo cui la divisione intendeva assecondare una richiesta delle parti, in quanto non si era tenuto conto della revoca dell’iniziale manifestazione di volontà del ricorrente.

Il primo motivo appare evidentemente destituito di fondamento, in quanto la decisione gravata, lungi dall’omettere di fornire risposta alle censure formulate con il primo motivo di appello, ha in realtà ritenuto priva di rilevanza ai fini della correttezza della sentenza del Tribunale, la circostanza che il L. avesse successivamente mutato opinione, osservando che in ogni caso si era inteso assecondare una volontà, comunque espressa da parte degli altri condividenti.

In tal senso si è poi chiarito che non si era in alcun modo inteso attribuire efficacia negoziale alle dichiarazioni di volontà rese dalle parti nel corso del processo, ma che le stesse erano state unicamente valutate al fine di orientare la discrezionalità del giudice in merito all’approvazione della divisione, attesa la non vincolatività dei criteri dettati dall’art. 727 c.p.c., per la formazione del progetto di divisione in natura.

Le motivazioni della sentenza impugnata consentono quindi di escludere che vi sia stata un’ipotesi di omessa pronuncia avendo i giudici di appello fornito ampia ed adeguata motivazione in ordine alle ragioni in base alle quali non poteva influire sulla correttezza della sentenza del Tribunale il successivo mutamento di opinione da parte dell’appellante, rispetto alle sue iniziali indicazioni a favore del progetto poi in concreto approvato.

Quanto al secondo motivo, occorre richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte che ha ribadito che (cfr. Cass. n. 925/1979) una volta stabilito che la ripartizione dei beni ereditari debba avvenire in natura con conguaglio in danaro, il giudice nell’attribuzione delle porzioni diseguali, ha un potere discrezionale, semprechè conformi la scelta a criteri di opportunità e dia conto della sua determinazione in modo adeguato.

Più di recente si è poi confermato che (cfr. Cass. n. 6134/2010) rientra nei poteri del giudice di merito, ed è perciò incensurabile in cassazione, accertare se, nell’ipotesi in cui nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, il diritto del condividente sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo il conguaglio in favore degli altri, apparendo tale affermazione coerente con il principio secondo cui (cfr. Cass. n. 21319/2010) il giudice di merito gode di un’ampia discrezionalità nell’esercizio del potere di attribuzione delle porzioni ai condividenti, salvo l’obbligo di darne conto in motivazione, ben potendosi, nell’esercizio di tale potere discrezionale, considerare anche gli interessi individuali delle parti addirittura aventi ad oggetto beni estranei alla comunione – confrontandoli con gli altri interessi rilevanti nella specie – allo scopo di compiere la scelta più appropriata.

Nella fattispecie, la Corte d’Appello si è ben guardata dall’attribuire immediata efficacia negoziale alle intese intervenute nel corso delle udienze, ritenendo le stesse meramente indicative dei desiderata delle parti, che ha inteso assecondare, nel legittimo esercizio del proprio potere discrezionale, avendo in ogni caso assicurato la formazione di un progetto divisionale che appare rispettoso dei criteri di omogeneità qualitativa delle quote, nei limiti della diversa entità quantitativa dei diritti vantati dai condividenti.

A tal fine ha offerto anche un’adeguata motivazione il che rende la sentenza impugnata immune dalle critiche mosse dal ricorrente, il quale incentra la propria critica unicamente sulla pretesa mancata rispondenza della decisione adottata a quella che era la propria mutata volontà, la quale non è stata intesa come avere carattere vincolante, ma come meramente indicativa di una possibilità che la divisione potesse assecondare le aspettative dei condividenti.

Con il terzo motivo si denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 728 c.c. quanto alla determinazione dei conguagli dovuti.

Si rileva che la decisione non tiene conto delle variazioni di valore intervenute nel corso del giudizio divisorio, e che avevano comportato un notevole decremento del valore degli immobili, destinato anche a riflettersi sulla misura dei conguagli dovuti.

Pertanto, poichè la stima del bene da dividere deve essere in ogni caso aggiornata al momento della decisione, i giudici di merito avrebbero dovuto assicurare il richiesto adeguamento, anche alla luce di quanto emergeva da una perizia di parte versata in atti.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

Ed, invero, deve in primo luogo evidenziarsi il difetto di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., n. 6, nella parte in cui, pur richiamando una consulenza tecnica di parte prodotta nel corso del giudizio, e che, a dire del ricorrente, avrebbe attestato il mutamento di valore degli immobili, omette in ogni caso di riprodurne in ricorso il contenuto, quanto meno nella parte direttamente afferente la questione oggetto di censura, impedendo in tal modo di apprezzare la decisività dell’argomento.

Ma a ciò deve aggiungersi che secondo questa Corte (cfr. Cass. n. 3029/2009; Cass. n. 21632/2010) nel giudizio di divisione di beni immobili, poichè occorre assicurare la formazione di porzioni di valore corrispondenti alle quote, la stima dei relativi beni deve essere effettuata in epoca non troppo lontana rispetto a quella della decisione; tuttavia, in considerazione della possibile stasi del mercato e del conseguente deprezzamento di alcuni beni, la parte che sollecita una rivalutazione degli immobili per effetto del tempo trascorso dall’epoca della stima deve allegare ragioni di significativo mutamento del valore degli stessi intervenute “medio tempore”, non essendo sufficiente il mero riferimento al lasso temporale intercorso.

Nel caso di specie, tuttavia la Corte di merito, con apprezzamento in fatto, e come tale insuscettibile di sindacato in questa sede, ha ritenuto che le doglianze della parte fossero generiche e comunque prive di specifico riferimento ai beni oggetto della divisione, il che esclude la ricorrenza della denunziata violazione di legge.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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