Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19044 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 31/07/2017, (ud. 12/04/2017, dep.31/07/2017),  n. 19044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19535/2015 R.G. proposto da:

CARPENTERIA CARENA S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dagli Avv. Milena Cordero e Nicola

Giancaspro, con domicilio eletto in Roma, via Postumia, n. 31;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore p.t. dott.

A.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Laura Presti e

Maddalena Ferraiuolo, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultima in Roma, via dei Gracchi, n. 20;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Torino depositato il 22 giugno

2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 aprile

2017 dal Consigliere Guido Mercolino.

Fatto

RILEVATO

che la Carpenteria Carena S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso il decreto indicato in epigrafe, con cui il Tribunale di Torino ha rigettato l’opposizione da essa proposta avverso lo stato passivo del fallimento della (OMISSIS) S.r.l., negando il riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751-bis c.c., n. 5 ad un credito di Euro 52.710,41, ammesso al passivo in via chirografaria.

che il curatore del fallimento ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, censurando il decreto impugnato per aver negato qualsiasi rilevanza all’iscrizione della società nel registro delle imprese artigiane, in contrasto con il testo vigente della predetta disposizione, introdotto dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla L. 4 aprile 2012, n. 35;

che la censura è inammissibile, per difetto di autosufficienza, in quanto, pur essendo volta a contestare l’applicabilità ratione temporis dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento al testo previgente dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, puntualmente richiamati dal decreto impugnato, non reca alcuna precisazione in ordine alla data di maturazione del credito, in tal modo impedendo di stabilire se la fattispecie in esame risulti assoggettata alla predetta formulazione o a quella novellata dal D.L. n. 5 del 2012;

che, infatti, le norme che disciplinano i privilegi non hanno carattere processuale, configurandosi invece come disposizioni di diritto civile che conferiscono una particolare qualità ad alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, sicchè, in mancanza di un’espressa deroga normativa, nella specie non prevista, la loro applicazione resta assoggettata al principio d’irretroattività sancito in via generale dall’art. 11 preleggi;

che, pertanto, il privilegio introdotto da una nuova disposizione di legge o le modifiche apportate alla disciplina di un privilegio già esistente possono trovare applicazione soltanto nel caso in cui il credito al quale si riferiscono sia sorto lo stesso giorno o in un giorno successivo a quello dell’entrata in vigore delle relative disposizioni, non assumendo alcun rilievo, ai fini della graduazione dei crediti, il momento in cui gli stessi siano stati fatti valere (cfr. Cass., Sez. Un., 20/03/2015, n. 5685; Cass., Sez. VI, 5/11/2015, n. 22593);

che con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione, censurando il decreto impugnato per aver dichiarato inammissibile, in quanto generica ed implicante valutazioni, la prova testimoniale da essa articolata ai fini della dimostrazione della tipologia dell’attività svolta e della prevalenza dell’apporto personale dei soci rispetto agli altri fattori produttivi;

che, in quanto implicante un apprezzamento in ordine alla genericità della prova, la predetta censura non può trovare ingresso in sede di legittimità, riguardando una valutazione di merito sindacabile soltanto sotto il profilo dell’inosservanza di principi giuridici, nella specie neppure specificati (cfr. Cass., Sez. 2, 10/09/2004, n. 18222; 19/02/ 1997, n. 1513), nonchè per vizio di motivazione, configurabile, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 34, esclusivamente nell’ipotesi, prospettata dalla ricorrente in modo estremamente generico, in cui la mancata ammissione della prova si sia tradotta nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio;

che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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